Ci salveremo? Forse no e in parte deriverà anche da quello che accadrà dopo le elezioni del 25 settembre. Stamattina mentre mi lavavo i denti ho chiuso l’acqua del rubinetto. Ho pensato a quanto questo piccolo gesto civile può fare per quello che stiamo vivendo. Può sicuramente fare molto, ma la verità è che la partita, come è stato per la pandemia, è per lo più sul terreno politico, strategico e (purtroppo) economico. Poi penso ai ghiacciai che ho visto nelle mie escursioni estive, tra cui la Marmolada. Mi si stringe il cuore, per le vittime e per la montagna stessa. Ho letto tantissimi commenti sull’accaduto, gli alpinisti venivano definiti “incoscienti” perché, sapendo del pericolo, si sono comunque esposti a quella che poi si è rivelata una escursione fatale. Erano sprovveduti? Non credo. Forse si sono solo presi qualche rischio di troppo.
La soluzione è abbandonare i combustibili fossili
C’è però un sottile ed inquietante parallelismo tra quello che è accaduto sul ghiacciaio e quello che noi stiamo facendo, senza sosta, da trent’anni a questa parte. Parto da un dato: la crisi climatica esiste, è grave ed è causata dalle attività umane legate all’uso dei combustibili fossili. Punto. Sono petrolio, carbone e gas. Di questa crisi ne conosciamo anche la causa primaria: le emissioni di gas serra, soprattutto CO₂, dovute al loro utilizzo in tutte le attività umane tra le quali la produzione di energia elettrica, i trasporti, il riscaldamento. Proviamo a metterla in questo modo: se queste premesse sono note da tempo e sappiamo benissimo che se non cambiamo rotta segneranno la fine della nostra esistenza su questo Pianeta, anche guidare una macchina a motore termico, usare il condizionatore o bere una bevanda gassata in una bottiglia di plastica è totalmente da incoscienti. Siamo anche noi degli sprovveduti? C’è quindi un pericolo imminente e fragoroso (come il ghiacciaio che va in frantumi) ed uno invisibile, ma enorme, che non siamo in grado di abbracciare nella sua complessità (la crisi climatica).
Il problema di fondo siamo sempre noi, o meglio, il nostro cervello. Per via della sua evoluzione e adattamento avvenuti in larga parte nel mondo naturale, la nostra materia grigia non è minimamente in grado di poter valutare correttamente un pericolo che non è tangibile ed evidente, come lo poteva essere un animale feroce nella foresta. Se il pericolo non è visibile o tangibile, non si attivano tutta una serie di meccanismo retroattivi di difesa. È un retaggio biologico che fatichiamo a scrollarci di dosso. Questi siamo noi e la nostra struttura neurofisiologica. Fare un ragionamento superiore richiederebbe uno sforzo che la maggior parte degli individui in moltissimi casi non vuole minimamente fare. Eppure quello che stiamo vivendo oggi rappresenta a tutti gli effetti un’epoca caratterizzata dal risveglio di una coscienza ecologica. L’ambiente non è più solo lo sfondo cangiante delle nostre fotografie o il supermarket dalla quale le aziende possono prendere risorse senza limite alcuno per poi lucrare. È parte integrante della nostra vita, siamo noi. Siamo tutti legati, come in cordata. Proprio come gli alpinisti che sono stati trascinati via dalla forza della valanga: siamo un’unica, lunghissima cordata umana che attraversa un fragile ghiacciaio. I cambiamenti climatici rappresentano l’imbuto – il seracco – dentro al quale prima o poi tutti dovremo passare. La domanda è quindi: chi è il capo cordata? Come sceglierà la via migliore? Come sapremo che non ci stanno conducendo, per via di scelte scellerate, al massacro?
Oil and gas mega-projects are polluting ‘carbon bombs’ that spell devastation to the planet, warns International Energy Agency chief Fatih Birol.
Le aziende dei combustibili fossili hanno già approvato enormi progetti per lo sfruttamento di nuovi giacimenti, che porteranno l’aumento delle temperature globali oltre i limiti fissati dagli accordi internazionali. Questi progetti sono stati soprannominati carbon bombs, per motivi che lasciano poco spazio all’immaginazione. Quando si parla di produzione di gas e petrolio di solito si pensa al Medio Oriente e alla Russia, ma gran parte dei nuovi progetti interessa gli Stati Uniti, il Canada e l’Australia, che tra l’altro offrono anche ricchi sussidi ai combustibili fossili. Provo a riformularlo: Paesi come gli Stati Uniti che dominano la diplomazia internazionale del clima e si presentano come leader nella lotta al cambiamento climatico, sono tra i principali promotori di nuovi progetti legati al petrolio e al gas. Per non parlare di Cina, India e compagnia bella che hanno apertamente affermato di non voler arrestare la loro corsa. Così facendo la cordata Sapiens sapiens si sta dirigendo verso il cuore fragile del ghiacciaio e senza volerlo, se i primi cadranno nella gola trascineranno con sé tutti gli altri. Noi compresi. Il punto precedente contiene notizie cattive e angoscianti, ma ne annuncia anche una buona: sappiamo qual è la soluzione del problema. Dobbiamo abbandonare rapidamente i combustibili fossili. Dobbiamo portare a termine nel più breve tempo possibile la transizione energetica. Dobbiamo infatti, prima di tutto, rimuovere la causa del problema. Ma come faremo con i nostri capi cordata? Perché io posso anche chiudere l’acqua del rubinetto mentre mi lavo i denti, ma spesso ho la sensazione che sia un’enorme presa per i fondelli. Non si può rinunciare al petrolio e al gas da un giorno all’altro, e bisognerà bruciarne una quantità sempre più ridotta durante la transizione verso un’economia globale a emissioni zero nel 2050. La domanda è se le aziende e i governi si stanno muovendo abbastanza in fretta. Purtroppo temo di no.
Segavano i rami sui quali erano seduti e si scambiavano a gran voce la loro esperienza di come segare più in fretta, e precipitarono con uno schianto, e quelli che li videro scossero la testa segando e continuarono a segare.
L’albero potrebbe avere fino a mille anni, ma è stato scoperto solo dal 2009, dopo la segnalazione di una band della zona, che ora gli dedicherà un brano.
Il 29 ottobre 2018, le raffiche di vento della tempesta Vaia hanno raso al suolo 40 milioni di alberi in Triveneto. Una distruzione a cui si sono aggiunti gli effetti del bostrico, che però hanno trovato una comunità resiliente.