Disastri naturali e carestie pesano soprattutto sui Paesi già provati dai conflitti. Per i loro abitanti, emigrare potrebbe essere l’unica via d’uscita. Lo sostiene l’Institute for economics & peace.
I cambiamenti climatici avanzano inesorabili, rendendo sempre più ardue – a volte impossibili – le condizioni di vita in vaste aree del Pianeta. Come se non bastasse, i Paesi più esposti a disastri naturali e carestie sono anche quelli meno stabili a livello politico e sociale. Come risultato, ben presto i loro cittadini potrebbero non avere altra scelta se non quella di abbandonare le case in cui sono cresciuti per cercare un futuro migliore altrove. Creando un immenso flusso migratorio che potrebbe arrivare a coinvolgere 1,2 miliardi di persone entro il 2050, con tutto il carico di sofferenze umane e tensioni internazionali che ciò comporta. È l’evidenza più preoccupante che emerge dall’Ecological threat register pubblicato dall’Institute for economics & peace, il think tank internazionale già noto per aver elaborato l’Indice di pace globale e l’Indice globale del terrorismo.
I numeri dell’emergenza ambientale
Il report fa una mappa dei territori più esposti alla scarsità di risorse (legata a insicurezza alimentare, carenza idrica e rapido incremento della popolazione) e ai disastri naturali come cicloni, innalzamento del livello dei mari, inondazioni, siccità e aumento delle temperature. Le cifre sono eloquenti. Ben 141 Stati, cioè il 90 per cento di quelli coperti dall’indagine, affronteranno almeno una di queste minacce ecologiche da qui al 2050.
Il numero di disastri naturali è triplicato negli ultimi quattro decenni. Già oggi 2,4 miliardi di persone vivono in territori sottoposti a stress idrico, ma nel 2040 saranno 5,4 miliardi. Il 22 per cento dei paesi coperti dalla ricerca andrà incontro a una grave penuria di generi alimentari nell’arco dei prossimi tre decenni. Tutto questo mentre la popolazioneglobale – secondo le stime Onu – raggiungerà i 9,7 miliardi di persone entro il 2050, per sfiorare gli 11 miliardi entro la fine del secolo.
⭕ 3.5 billion people could suffer from food insecurity by 2050, a 1.5 billion increase from today.
I diciannove Paesi che subiscono il maggior numero di minacce ambientali ospitano il 25 per cento della popolazione globale. Dieci di loro – Afghanistan, Ciad, Etiopia, India, Iran, Iraq, Pakistan, Siria, Tagikistan e Zimbabwe – risultano nelle ultime quaranta posizioni dell’Indice globale della pace. Territori già duramente provati da guerre, disordini interni e instabilità istituzionale, che con ogni probabilità non saranno in grado di mettere in campo quella resilienza indispensabile per affrontare condizioni ambientali estreme.
“Questo gruppo di Paesi è già intrappolato in un circolo vizioso in cui la competizione per le risorse scarse crea conflitti, e i conflitti portano a un ulteriore esaurimento delle risorse”, si legge nel rapporto. La conseguenza, secondo gli autori, è che sono ben 1,2 miliardi le persone che potrebbero trovarsi costrette a emigrare altrove per garantirsi condizioni di vita dignitose.
🌍 The 19 countries facing the highest number of ecological threats are also among the world’s 40 least peaceful countries.
“Tutto ciò avrà un considerevole impatto sociale e politico non solo sui Paesi in via di sviluppo ma anche su quelli industrializzati, visto che gli spostamenti di massa aumenteranno i flussi migratori verso gli Stati più ricchi” sottolinea tramite una nota Steve Killelea, fondatore e presidente esecutivo dell’Institute for economics and peace. Dovrà tenerne conto anche l’Europa, che già tra il 2010 e il 2016 è stata la meta di 5,2 milioni di rifugiati, provenienti soprattutto da Paesi – come Siria, Iraq e Afghanistan – che anche nei prossimi decenni saranno fortemente sotto pressione.
Interpellato da Euractiv, Killelea invita i leader del Vecchio Continente a “considerare le cause che stanno alla base delle migrazioni e chiedersi cosa possono fare per migliorare la resilienza dei Paesi più a rischio”. Il tema è di stretta attualità. Con ogni probabilità, infatti, la crisi economica innescata dalla pandemia da coronavirus metterà in bilico gli stanziamenti per la cooperazione allo sviluppo. Intanto procede tra mille difficoltà la riforma del Sistema comune europeo di asilo (Ceas); la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen aveva intenzione di presentare una nuova proposta alla fine di settembre 2020, ma tutto fa pensare che la data slitterà.
Si parla tanto di finanza climatica, di numeri, di cifre. Ma ogni dato ha un significato preciso, che non bisogna dimenticare in queste ore di negoziati cruciali alla Cop29 di Baku.
Basta con i “teatrini”. Qua si fa l’azione per il clima, o si muore. Dalla Cop29 arriva un chiaro messaggio a mettere da parte le strategie e gli individualismi.
La presidente del Consiglio Giorgia Meloni, intervenendo alla Cop29 a Baku, ha ribadito il proprio approccio in materia di lotta ai cambiamenti climatici.