Con lo scoppio della guerra Russia-Ucraina stiamo attraversando una crisi energetica senza precedenti. Nemmeno la crisi petrolifera del 1973, anno in cui il prezzo del greggio e dei suoi derivati schizzò in seguito agli effetti dello scoppio della guerra del Kippur, determinò uno stravolgimento globale di tale portata.
A differenza del 1973, come spiegato dal direttore scientifico di Lifegate Simone Molteni nell’intervista andata in onda a Le Iene, la crisi non è circoscritta al settore petrolifero ma tocca tutta la filiera dell’energia, dall’approvvigionamento di materie prime alla distribuzione di prodotti finiti. Il costo dell’elettricità, bene primario ed essenziale, è schizzato, considerato in Italia la produzione dipende per il 50 per cento dal gas che per il 90 per cento del totale è importato.
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Come ci siamo arrivati? Negli ultimi venti anni la geopolitica dell’energia è molto cambiata e si è definita una maggiore dipendenza dell’Italia dalla Russia. Anche la volatilità dei prezzi è aumentata, si può dire decuplicata, a causa anche delle dinamiche fortemente speculative che dominano il mercato energetico, per il quale in molti auspicano una rimodulazione di tutte le regole di prezzo.
La crisi energetica che stiamo vivendo, fortemente intrecciata con quella climatica globale, sta avendo e continuerà ad avere nel lungo termine, si stima per almeno i prossimi quattro inverni, un impatto significativo sulla crescita e sullo stile di vita dell’Italia, ricalcando quanto avvenuto negli anni Settanta quando l’energia è stata la principale responsabile del deterioramento della crisi economica e si sono registrati importanti riflessi su inflazione e disoccupazione.
Le sanzioni basteranno a fermare guerra? In molti sostengono di no, quello che potrebbe aiutare è ridurre l’acquisto dell’energia dalla Russia. Nel 2020 il Paese aveva esportato in tutto il mondo prodotti per un valore complessivo di 330 miliardi di dollari, circa 305 miliardi di euro, metà dei quali di origine fossile.
Ora che la guerra sta contribuendo a far salire i prezzi, i prodotti petroliferi potrebbero fruttare da soli l’ammontare complessivo delle esportazioni di due anni fa. O anche di più: nel 2022 si stima che la Russia guadagnerà circa 100 miliardi di dollari con il petrolio, 200 miliardi con il gas e 40 con il carbone. Cifre che si sommano ai 60 miliardi di dollari derivanti dalla vendita di materiali come alluminio, ferro, rame, nickel, oro, platino e ai 15 miliardi per i cereali. La guerra, per Putin, è un affare.
Piccoli accorgimenti per grandi cambiamenti
Tuttavia, rendersi più autonomi dal gas russo e risparmiare in bolletta, lottando anche contro la crisi ambientale, è possibile, eliminando tutti insieme molti sprechi ed evitando i rischi di razionamento.
“La cosa migliore è diventare tutti più consapevoli di quanta energia sprechiamo inutilmente. Dobbiamo risparmiare il più possibile per renderci indipendenti” commenta Matteo Viviani delle Iene durante il servizio.
Nel nostro piccolo, tutti possiamo fare qualcosa. Evitare di sprecare è il primo passo per risparmiare energia. Il 40 per cento dei consumi energetici finali è riconducibile agli edifici, dunque anche all’energia che si consuma in casa. Già facendo attenzione all’accensione di luci e dispositivi elettronici si risparmia gas e si favorisce lo stoccaggio delle risorse nei serbatoi, in vista di inverni molto duri. Per ridurre ulteriormente il consumo di energia è fondamentale adottare tecnologie efficienti – tra cui le pompe di calore per il riscaldamento e il raffreddamento degli immobili – e spronare l’uso razionale dell’energia negli edifici.
L’associazione di consumatori Altroconsumoha stimato che risparmiando sui sistemi a gas, riscaldamento, acqua calda sanitaria e fornelli, si potrebbe evitare il consumo di 2,5 miliardi di metri cubi di gas all’anno. Aiutano in tal senso, per la cottura dei cibi, usare la pentola a pressione o spegnere il gas sotto i fornelli una volta raggiunta la temperatura di bollore. Contribuisce anche fare docce più brevi o abbassare la temperatura del termostato della caldaia, anche solo di un grado.
Facendo attenzione ai consumi elettrici, si possono risparmiare all’anno altri 2,45 miliardi di metri cubi di gas all’anno, per un totale di 5 miliardi di metri cubi e il 7 per cento dei 76 miliardi che utilizziamo in Italia. In termini economici? 4,48 miliardi di euro in meno, con i prezzi riferiti al mercato tutelato, senza rinunciare a nulla ma usando in maniera oculata le risorse a disposizione.
L’elettrificazione del sistema energetico, di cui oggi si parla tanto come chiave di volta per la transizione energetica, favorirà l’adozione di mezzi elettrici, il cui motore è molto più efficiente di quello endotermico tradizionale. Allargando ancora di più lo sguardo, esistono soluzioni come l’idrogeno che hanno un grosso potenziale in termini di decarbonizzazionedei settori cosiddetti hard-to-abate, come l’industria energivora o i trasporti pesanti.
Dall’austerity economica alle opportunità con le rinnovabili
Per evitare una escalation degli effetti del conflitto, e arrivare a razionamenti che oggi sembrano impensabili, bisogna agire subito. Il governo presieduto da Mariano Rumor fronteggiò la crisi petrolifera del 1973 varando un piano nazionale di “austerity economica”. Prevedeva cambiamenti immediati per risparmiare energia: il divieto di circolare in auto la domenica, la fine anticipata dei programmi televisivi – considerato che la televisione vale oltre l’1 per cento del totale dei consumi, pari a 4 GWh su 318 TWh – e la riduzione dell’illuminazione stradale e commerciale.
Oggi si può stimolare la produzione di energia da fonti rinnovabili in loco, evitando così di importarla dall’estero. Per farlo occorre incrementare l’installazione di nuova potenza: oggi installiamo un decimo di quello che costruivamo nel biennio 2011-2012. I ritmi dell’autorizzazione degli impianti sono lentissimi, la costruzione di un sito di biometano richiede sei anni al posto di sei mesi. Tempi che si riflettono, di conseguenza, sul rilascio delle risorse messe in campo attraverso il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Veri paradossi se si pensa che esistono impianti solari fotovoltaici già produttivi ma non allacciati alla rete.
Il momento migliore per installare nuova potenza rinnovabile e accrescere l’infrastruttura esistente è proprio oggi, a discapito del costo delle materie prime alle stelle ma considerata l’attenzione da parte dell’industria. Bisogna rimodellare il concetto di transizione energetica, ancora troppo agganciato al ruolo “ponte” del gas verso le rinnovabili: in Italia ci sono più di 14 GW di nuove centrali a gas in corso di sviluppo attivo (pre-costruzione e costruzione), un vero e proprio record europeo.
Su scala globale, se tutti i progetti di impianti a gas in fase di valutazione fossero costruiti si aggiungerebbero oltre 615 GW di nuova potenza, alimentata con investimenti pari quasi a 509 miliardi di dollari (470 miliardi di euro). Numeri inarrivabili anche per il carbone, che a livello mondiale si ferma a 456 GW per le nuove centrali.
L’istituto di ricerca tedesco per il clima, l’ambiente e l’energia Wuppertal Institute spiega come smettere di usare gas e gasolio per la produzione di calore negli edifici in Germania. Il Paese entro il 2035 potrebbe liberarsi dall’uso di combustibili fossili per riscaldare gli edifici, puntando tutto sull’efficienza energetica e sulle fonti rinnovabili. Per questo, il Governo tedesco intende investire massicciamente nella crescita di eolico e solare fotovoltaico così da anticipare al 2035 lo sviluppo di un sistema elettrico al 100 per cento rinnovabile.
Le guerre sono anche foriere di opportunità: le vecchie crisi hanno favorito il cambio di mentalità e fatto nascere nuove infrastrutture o anche nuove parole, come ecologia. L’auspicio è che questa guerra finisca subito e ci si possa concentrare in Italia.
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