Casa è dove si trova il cuore, diceva Plinio il vecchio. Quando si è obbligati a lasciarla, rimane lì anche un pezzo di cuore. “Cinque anni fa, stando all’Unhcr, le persone costrette a migrazioni forzate ammontavano a 45 milioni. Nel 2018 erano 60 milioni. Oggi ci sono 85 milioni di esseri umani costretti a fuggire dal loro paese, 22 guerre in atto e 359 conflitti interni”.
Sono le cifre forniteci da Giancarla Boreatti che, per 28 anni, ha lavorato nel comune di Milano occupandosi dei servizi per l’immigrazione e gestendo, fra il 2013 e il 2015, l’emergenza legata alla Libia. Dopodiché ha iniziato a lavorare con Avsi, organizzazione non profit con ampia esperienza nei paesi in via di sviluppo e nelle aree interessate dai conflitti.
La guerra in Ucraina sta causando uno degli esodi più massicci e più rapidi nella storia recente dell’Unione europea. Sono più di un milione gli ucraini che si sono spinti oltreconfine, specialmente donne e bambini anche non accompagnati, ma si stima che possano raggiungere una cifra compresa fra i tre e i sette milioni.
“Rifugiato” e “migrante”, qual è la differenza
Prima di capire come l’Europa gestirà questo incredibile afflusso, è doveroso fare un po’ di chiarezza riguardo ai termini utilizzati per definire coloro che lasciano il proprio paese.
Chi lo fa per colpa di guerre, catastrofi naturali o persecuzioni politiche, viene definito “profugo”. Può a quel punto richiedere la protezione internazionale, divenendo così “richiedente asilo”: se la domanda viene accolta, l’individuo assume lo status di “rifugiato” – come stabilito dalla Convenzione di Ginevra del 1951, recepita dall’Italia nel 1954.
Il migrante, in base alla definizione dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni, è una persona che si allontana dal suo luogo di residenza per altri motivi, legati soprattutto alla ricerca di maggiore benessere. Con questo termine si identificano solitamente i cosiddetti “migranti economici”.
L’accoglienza da parte dell’Unione europea
La stessa Europa che si è più volte dimostrata incapace di rispondere adeguatamente alla sfida delle migrazioni e di creare meccanismi di redistribuzione, ora si è mostrata compatta di fronte all’emergenza. “In risposta a una sfida legata alle sue frontiere, ha deciso di intervenire. Di fronte a una situazione umanitaria tanto complessa, gli stati limitrofi si sono presi in carico questa emergenza in maniera responsabile, con le limitazioni che questi numeri possono portare. Con un unico obiettivo comune: prendersi cura delle persone coinvolte nel conflitto”, dichiara Chiara Cardoletti, rappresentante dell’Unhcr per l’Italia.
Sono state diramate linee guida, sono stati stanziati più di 500 milioni di euro di fondi; Frontex, Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, si è impegnata a monitorare la situazione in Ucraina 24 ore su 24, 7 giorni su 7, rimanendo in contatto con gli stati membri e tenendosi pronta a sostenerli quando richiesto.
#Chelm, #Poland: this train station is one of the first reception points for people escaping #Ukraine.
Circa la metà degli ucraini fuggiti si è recata in Polonia. Nazione che, guidata dal nazionalismo di destra, si era distaccata dall’Ue, mettendo in discussione il principio della preminenza del diritto europeo su quello nazionale. Questione che ha comportato l’arrivo di sanzioni da parte di Bruxelles e l’utilizzo, da parte dei media, dell’espressione “Polexit”.
In un momento così difficile come quello attuale, le cose sono completamente cambiate: in segno di solidarietà i capi delle diplomazie di Francia e Germania, Jean-Yves Le Drian e Annalena Baerbock, hanno incontrato il loro collega polacco Zbigniew Włodzimierz Rau a Łódź, nell’ambito del triangolo di Weimar, un format che riunisce i tre paesi. La Polonia è in prima linea nell’accogliere i profughi, e l’Unione europea è in prima linea per aiutarla.
Testimonianze dalla Romania
Anche Ungheria e Romania hanno affermato che chi scappa dalla guerra in Ucraina sarà accolto senza problemi. “Abbiamo visitato le strutture messe a disposizione dalle nostre ong partner nella regione rumena di Suceava, che confina con l’Ucraina, e le stiamo sostenendo in vari modi, fra cui l’invio di generi alimentari, coperte, assorbenti. Abbiamo visitato anche un campo allestito dalle autorità locali a Rădăuţi, a venti chilometri dal confine”, racconta Simona Carobene, direttrice dell’associazione Fdp – protagonisti nell’educazione.
“In questo campo, sotto al tendone, sono arrivati studenti principalmente indiani e pakistani perché sembra che in Ucraina ci fossero tanti studenti stranieri. Loro hanno un problema doppio, non avendo il passaporto europeo: riescono a entrare in Romania, perché qua i confini sono stati aperti, ma poi magari non riescono a uscire. Stanno aspettando che le loro ambasciate li aiutino con i documenti per tornare a casa”.
La denuncia di studenti e lavoratori africani al confine
A preoccupare in modo particolare sembra essere proprio il destino dei fuggitivi che non sono europei. Alcune persone di origini africane affermano di essere rimaste bloccate per giorni alla frontiera ucraina senza cibo né riparo, e sostengono di essere state ostacolate e persino picchiate dalle autorità locali che, invece, lasciavano passare i connazionali. È quanto riporta il New York Times. Le condanne da parte dell’Unione africana e del presidente della Nigeria, Muhammadu Buhari, non si sono fatte attendere.
Quanto accaduto fa ripensare alla denuncia di don Moses Zerai, sacerdote eritreo fondatore dell’Agenzia Abeshia che, nel 2015, accusò l’Europa di privilegiare i profughi siriani a discapito di quelli eritrei, somali e sudanesi.
Un caso più recente riguarda la condizione degli afgani fuggiti in Iran, dove si trovano soggetti al destino di tante minoranze etniche e nazionali: vivono vite dimezzate, privi di diritti fondamentali. Un dramma raccontato in punta di piedi dalla regista iraniana Afsaneh Salari nella pellicola The Silhouettes.
L’approccio “razzista” di alcuni media occidentali
Nella situazione attuale, alcuni mezzi di informazione occidentali sono stati criticati per il loro approccio “razzista”, poiché sembrava suggerire che il popolo ucraino, solo perché bianco ed europeo, fosse più degno di solidarietà rispetto ad altri popoli coinvolti in tragedie simili.
Come riporta Vice Italy, un esempio è la frase del reporter di Cbs Charlie D’Agata, che ha dichiarato: “L’Ucraina non è come l’Iraq e l’Afghanistan, posti che hanno visto conflitti per decenni. Kiev è una città relativamente civilizzata ed europea dove non ci si aspetta possa succedere qualcosa di simile”.
Anche la giornalista di Nbc Kelly Cobiella è stata criticata per questa sua affermazione: “Questi non sono rifugiati dalla Siria, sono rifugiati ucraini… Sono cristiani, sono bianchi, sono molto simili a noi”. Infine, il politico ucraino David Sakvarelidze ha dichiarato alla Bbc di essere sconvolto per aver assistito all’uccisione di “persone europee con gli occhi azzurri e i capelli biondi”.
La direttiva Ue in caso di afflusso massiccio di sfollati
Il 3 marzo, le autorità europee hanno annunciato l’attivazione della direttiva 2001/55/CE, contenente le norme minime per la concessione della protezione temporanea in caso di afflusso massiccio di sfollati e misure che promuovono l’equilibrio degli sforzi tra i paesi dell’Ue. I quali devono fornire a chi ha ottenuto protezione temporanea un titolo di soggiorno, valido per tutta la durata della protezione. Le persone che godono di protezione temporanea hanno il diritto di:
esercitare attività di lavoro subordinato o autonomo;
accedere all’istruzione per adulti, alla formazione professionale e a esperienze di lavoro;
ottenere un alloggio adeguato;
ottenere assistenza sociale, sostegno economico e cure mediche.
Chi ha meno di 18 anni ha diritto ad accedere all’istruzione alle stesse condizioni dei cittadini del paese ospitante.
“Perché possa entrare in vigore, ci dev’essere una disposizione approvata dal Consiglio d’Europa. Devono essere d’accordo tutti gli stati membri. Nel caso dell’Afghanistan, i paesi di Visegrád non avevano dato parere favorevole. Oggi sono i più interessati”, spiega Giancarla Boreatti. “Questa direttiva semplifica molto le procedure”.
L’arrivo in Italia
È attraversando la frontiera friulana che gli ucraini giungono in Italia. A una settimana dall’inizio dell’offensiva russa, i profughi arrivati nel nostro paese sono già quasi 4mila. Secondo le stime dell’associazione Italia-Ucraina, i civili che scappano dalle granate per rifugiarsi nelle regioni della penisola potrebbero superare gli 800mila.
Nel nostro caso, è stata la legge Turco-Napolitano del 1998 a dare linee guida generali per la gestione del fenomeno migratorio che, in realtà, fra il 1990 e il 2012 è stato governato da varie sanatorie destinate ad affrontare la questione della migrazione irregolare. Chi arriva illegalmente, attraverso il traffico di esseri umani, fa domanda di protezione internazionale. Nel 2020 le Commissioni nazionali hanno valutato 42mila domande di protezione e hanno ottenuto una forma di riconoscimento 11mila persone. Nel 2021 sono salite a circa 53mila, 23mila delle quali riconosciute: i paesi di provenienze sono Pakistan, Bangladesh, Tunisia, Afghanistan, Nigeria, Egitto.
C’è poi chi arriva grazie al dispositivo del ricongiungimento familiare: chi ha regolarizzato la propria permanenza nel paese può infatti essere raggiunto dai figli e dal coniuge. “Nel 2021 sono arrivati più di 10mila minori non accompagnati, prevalentemente dall’Egitto, dal Bangladesh, dalla Tunisia e dall’Albania”, prosegue Boreatti.
“Con Avsi abbiamo deciso di attivare dei servizi che completassero i percorsi di accoglienza già messi a punto dallo stato e dalla pubblica amministrazione”, conclude la referente dell’organizzazione. Dal 2016 ad oggi, insieme a una rete di organizzazioni del terzo settore, sono stati investiti circa 1,5 milioni di euro per avviare percorsi di formazione volti all’inserimento lavorativo di rifugiati e richiedenti asilo nella città di Milano, nel Lazio, in Veneto e in Campania. Sono state formate più di 400 persone, arrivando a un tasso di integrazione di circa il 50 per cento.
I rifugiati dall'Ucraina arrivano in Polonia, e i volontari come Joanna sono lì per aiutare, insieme all'UNHCR. pic.twitter.com/xQNXrSQmwj
Anziché farci credere che questa volta la guerra sia diversa, perché riguarda gli europei, questa situazione dovrebbe farci capire che le guerre sono tutte uguali, una più spaventosa dell’altra.
“Ieri, mentre viaggiavamo in macchina e stavamo andando al confine, mi è arrivata una telefonata da un numero ucraino: era una donna che piangeva e ci chiedeva di aiutarla a mandare dispositivi di protezione ai soldati. Quella telefonata di una persona disperata mi ha come ridestato; in quel momento ho capito che la guerra è una cosa che io non conosco. Grazie a Dio non l’abbiamo mai vissuta sulla nostra pelle, ma forse ora inizieremo a conoscerla anche noi europei. Una realtà che sembrava così lontana, forse adesso non lo è più”.
Con queste parole si conclude la nostra telefonata con Simona Carobene. Abbiamo visto la guerra con i nostri occhi, e le immagini sono simili a quelle che i nostri genitori o i nostri nonni ci avevano dipinto. Forse possiamo finalmente capire la sofferenza degli afgani, dei siriani, di tutti coloro che continuano a vivere un conflitto sulla loro pelle. Ogni essere umano ha diritto alla pace.
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