La nuova edizione del Climate change performance index constata pochi passi avanti, da troppi paesi, per abbandonare le fossili. Italia 43esima.
Perché il prezzo del petrolio è così basso e cosa significa per il settore rinnovabile
Per la prima volta nella storia il prezzo del Wti ha segnato un prezzo negativo in borsa raggiungendo i -37,63 dollari al barile con un calo del 300%. L’impatto potrebbe essere negativo per lo sviluppo delle rinnovabili, ma non è detto.
Dall’inizio della crisi abbiamo visto crollare il valore del petrolio giorno dopo giorno. Il motivo? Con il lockdown imposto per contrastare la diffusione del coronavirus la domanda di petrolio a livello mondiale ha registrato una netta riduzione mentre i produttori stanno cercando di proteggere le proprie quote di mercato pompando al massimo la produzione. Ma non è solo una questione di equilibrio tra la domanda e l’offerta.
I tre fattori che hanno generato il crollo del prezzo del petrolio
La dinamica dei prezzi è piuttosto complessa, in gioco entrano fattori meramente fisici di produzione, stoccaggio e consumo, fattori finanziari e gli equilibri politici.
Partendo dall’aspetto forse più semplice, quello della domanda e offerta, è evidente che la pandemia e i lockdown che si sono registrati in tutto il mondo hanno fatto diminuire il consumo di petrolio passando da 100 a 70 milioni di barili al giorno. Con la produzione che non accenna a diminuire, il fattore “stoccaggi” assume un peso considerevole perché consente di mettere da qualche parte tutto il petrolio in eccesso che in questo momento non viene consumato. Negli Stati Uniti il sistema di stoccaggio è pressoché saturo e chi produce Wti (West texas intermediate utilizzato come prezzo di riferimento per il petrolio americano e come benchmark sul mercato dei futures alla borsa di New York) non sa più dove metterlo e così arriva addirittura pagare chi può stoccarlo, da qui il prezzo negativo. Nel resto del mondo, dove il prezzo del petrolio è regolato dal Brent (prodotto nel mare del Nord) il valore è rimasto attorno ai 20 dollari.
The world’s biggest oil storage company says space for traders to store crude and refined fuels has all but run out https://t.co/4WIG1Bkvex
— Bloomberg (@business) April 21, 2020
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Ci sono poi i fattori finanziari, e qui la questione si complica. In campo entrano i Futures, un tipo di strumento derivato molto particolare, dove le due parti si accordano per eseguire una transazione su una serie di strumenti finanziari o materie prime fisiche, per lo scambio futuro a un prezzo ben preciso.
I contratti Future del petrolio sono sostanzialmente degli scambi sulla carta, mentre la consegna fisica avviene nel centro petrolifero di Cushing, nell’Oklahoma. Cushing è il crocevia dove arriva tutta la produzione di petrolio e in questo momento è pressoché saturo con 55 milioni di barili stoccati e una capacità massima di 76 milioni.
I Future per maggio erano in scadenza in questi giorni e l’agitazione dei trader che avevano paura di non riuscire a vendere il petrolio che, in alternativa, avrebbero dovuto trovare un posto dove stoccarlo, ha fatto sì che questi si siano trovati a pagare chi potesse prendere il petrolio con il conseguente crollo delle quotazioni.
In fine c’è la questione geopolitica. Arabia Saudita e Russia hanno innescato una guerra sui prezzi contro i produttori shale americani nel momento peggiore. I prezzi sono stati sotto pressione per settimane a causa dell’epidemia di coronavirus che ha stroncato la domanda, mentre i due Paesi hanno combattuto la guerra dei prezzi e invece che ridurre la produzione hanno pompato ancora più petrolio. Fino ad arrivare a una settimana fa quando le due parti hanno concordato di tagliare l’offerta di 9,7 milioni di barili al giorno, il mercato non è particolarmente fiducioso e in ogni caso ci vorrà del tempo per ridurre la sovrapproduzione globale.
Dove si trova il petrolio in eccesso
Con la riduzione della domanda le raffinerie lavorano molto meno greggio del normale, per cui centinaia di milioni di barili sono confluiti in impianti di stoccaggio in tutto il mondo. I trader di petrolio hanno noleggiato navi solo per ancorarle e riempirle con il petrolio in eccesso. Oggi 160 milioni di barili si trovavo nelle petroliere di tutto il mondo, un record mai raggiunto prima.
In questa situazione i prezzi di noleggio delle navi sono cresciuti vertiginosamente. Se a febbraio noleggiare una nave cisterna costava 20mila dollari al giorno, a marzo siamo arrivati a 200-300mila al giorno.
“È un momento folle, ma mostra davvero cosa succede quando testiamo vincoli logistici come oleodotti e serbatoi di stoccaggio in un mercato delle dimensioni del petrolio”, ha commentato Pierre Andurand, uno dei gestori di hedge fund più noti al mondo specializzato nel settore petrolifero. “Quando non c’è abbastanza stoccaggio per il petrolio che il mondo continua a produrre, allora i prezzi possono andare ovunque verso il basso”.
E così succede che il gigante statunitense dei servizi petroliferi Halliburton Co. ha riportato una perdita di 1 miliardo di dollari nel primo trimestre e ha annunciato il più grande taglio di bilancio mai registrato tra le principali compagnie energetiche.
Una minaccia o un’opportunità per le rinnovabili?
L’analisi più immediata fa pensare che il crollo del valore delle materie prime inciderà negativamente anche sulle rinnovabili, ma forse non è così.
“L’elettricità non è una materia prima, ma una ‘merce’ prodotta con materie prime (petrolio, gas, carbone , sole, vento e acqua). Ora, se le materie prime valgono meno perché si è ridotta la domanda, ovviamente valgono meno anche le risorse primarie rinnovabili e quindi potenzialmente l’elettricità con esse prodotta”, ci spiega Stefano Cavriani, Director di EGO Energy e consigliere di Italia Solare. “Se i nuovi impianti rinnovabili realizzati per produrre l’energia non hanno incentivi, e quindi i loro ricavi derivano solo dalla vendita dell’elettricità, se questa vale meno è chiaro che gli impianti faranno più fatica a ripagarsi”.
Ma in realtà si può fare un ragionamento differente ed è quello che tutti ci auspichiamo. Il prezzo di energia già oggi è slegato dal costo del petrolio. Il legame è blando e del tutto indiretto, perché in realtà il valore prezzo dell’elettricità è connesso molto di più al gas, che a sua volta è ormai piuttosto indipendente dal petrolio. Il suo valore dipende anche dal carbone e dalle quote CO2, queste ultime del tutto slegate dal petrolio, e ovviamente dall’incrocio domanda-offerta di elettricità sul mercato. Se poi si considera che in questo momento il 40 per cento circa di energia elettrica arriva dalle fonti rinnovabili il legame del prezzo dell’energia elettrica con i combustibili fossili si indebolisce ulteriormente.
“Se il petrolio vale di meno, mentre l’elettricità no perché non viene più prodotta con il petrolio, gli interessi di tutti gli investitori si sganceranno sempre di più e più rapidamente dal petrolio e andranno verso le fonti rinnovabili. Se tutto il mondo punta alle rinnovabili, la transizione accelera, non per scelta ecologica ma economica” afferma Cavriani.
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“La crisi del virus ci insegna, più di qualsiasi altro evento finora capitato, che l’uomo non è affatto padrone del mondo, anzi. Chi comanda è la Natura, l’uomo è fragilissimo. Quindi – conclude Stefano Cavriani – tutto ciò che ci porterà a vivere in modo meno in contrasto con la Natura, da adesso in poi non sarà più visto come una scelta utile ma facoltativa, piuttosto come una scelta necessaria per sopravvivere o per correre meno rischi. La Natura vince sempre, purtroppo ce lo sta dimostrando”.
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