Da Platone a Hillman vi sono filosofi e psicologi che sostengono che siamo chiamati a decifrare il codice della nostra anima, affinché possiamo cogliere con nitore il senso compiuto della nostra presenza nel mondo.
Dalla falsità all’autenticità
Molti credono di proteggersi dalla sofferenza mettendo una grata alle finestre della propria anima, ma il danno causato dall’isolamento rischia di essere peggiore.
La finestra e la grata si impongono con la forza e la
vitalità proprie delle metafore per tracciare in modo netto
il confine tra la relazione ammalata e quella autentica con gli
altri.
Alcuni uomini, a causa di esperienze dolorose non rielaborate
intimamente o per una deformata inclinazione dello spirito o per
una esasperata chiusura egotica, fanno della loro anima una grata
con inferriate così strette, da permettere solo frammenti
sparsi di relazione con gli altri.
Essi hanno un’anima ammalata, sono afflitti da “oncologia
relazionale”, vivono in una squassante solitudine interiore ed
esteriore, la cui parabola termina inesorabilmente nella
disperazione e, quindi, nella stasi esistenziale.
Eppure la persona è soggetto e oggetto di relazioni,
è dialogo, condivisione, parola che unisce pur nella
irriducibilità di ognuno.
Ecco perché gli uomini, pur nella naturale espansione della
loro potenza d’essere, devono sempre cercare di comunicare con
altre potenze d’essere, facendo delle loro anime finestre aperte
sul mondo.
Martin Buber, a questo proposito, fissa il mistero per cui l’uomo
è sollecitato all’incontro con l’altro nell’espressione
Io-Tu: “Io divengo attraverso i miei rapporti col Tu; nel momento
in cui divengo Io, dico Tu. Ogni vero vivere è
incontrare”.
Fare della propria anima una finestra aperta sugli altri significa
costruire una comunità autentica, un “regno dei fini”, dove
la dignità di ogni essere è colta in tutta la sua
calda, avvolgente, vitale carica etica, sacrale.
Esistere equivale, allora, a una costante comunicazione che, da
finestra a finestra, finisce per dare vita ad una umanità
consapevole del suo compito originario: il dialogo, come
espressione dello stare insieme, dove l’altro non è freddo
straniero ma oggetto d’amore.
Leggiamo, dunque, le bellissime parole del padre del Personalismo
francese, Emmanuel Mounier:
“La persona ci appare come una presenza volta al mondo e alle altre
persone, senza limiti …. Le altre persone non la limitano, anzi
le permettono di essere e di svilupparsi; essa non esiste se non in
quanto rivolta verso gli altri, non si conosce che attraverso gli
altri, si ritrova soltanto negli altri. La prima esperienza della
persona è l’esperienza della seconda persona: il tu; quindi
il noi viene prima dell’io o, per lo meno, lo accompagna ….
Quando la comunicazione si allenta o si corrompe, io perdo
profondamente me stesso. Ogni follia è uno scacco al
rapporto con gli altri: l'”alter” diventa “alienus”, uno straniero,
e io a mia volta divento estraneo a me stesso, alienato. Si
potrebbe quasi dire che io esisto soltanto nella misura in cui
esisto per gli altri e, al limite, che essere significa amare”.
Fabio Gabrielli
Letture consigliate sul tema:
David Maria Turoldo, Diario dell’anima, San Paolo, 2003.
Le riflessioni, le massime, la straordinaria testimonianza di Padre
Turoldo sulla ricerca quotidiana dell’Assoluto; un libro
provocatorio e profondo, capace davvero di metterci di fronte a noi
stessi.
E. Mounier, Il personalismo, AVE, 1964.
Un libro da biblioteca, per riflettere con questo grande filosofo
francese sulla natura della persona, sul suo aprirsi agli altri,
sul suo impegno etico e sociale.
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In questo passo estremamente lucido e puntuale, accompagnato, di conseguenza, da uno scarno commento, Seneca si presenta al lettore in tutta la sua schietta umanità.
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