Pezzi unici che conservano la patina del tempo e la memoria della loro storia con legni e metalli di recupero: è il progetto di design sostenibile di Algranti Lab.
Daniele Lago. Vi racconto la vita che anima gli oggetti
Visionario, giovane, carismatico, Daniele Lago è l’imprenditore dietro alla storia di successo di Lago Design. Con la curiosità infinita di un bambino che esplora di continuo nuove strade, con una strategia di comunicazione, di prodotto, di vendita totalmente innovativa nel proprio settore e un business model che si evolve di continuo, ha creato una design community sui
Visionario, giovane, carismatico, Daniele Lago è l’imprenditore dietro alla storia di successo di Lago Design. Con la curiosità infinita di un bambino che esplora di continuo nuove strade, con una strategia di comunicazione, di prodotto, di vendita totalmente innovativa nel proprio settore e un business model che si evolve di continuo, ha creato una design community sui social media che punta a un milione e mezzo di follower che lo seguono e lo amano.
Qual è stata la strategia che hai adottato, innovativa rispetto alle aziende del settore arredamento, circa dieci anni fa?
Più che un’idea, la mia è stata una lettura attenta dell’evolversi della società che stava cambiando e cambia continuamente alla velocità della luce. Ho colto questo cambiamento in atto e ho cominciato a indagare tutti gli aspetti della comunità digitale, dei social network, dei blog, dello storytelling. Abbiamo costruito piano piano una community e una strategia che è quasi nativa digitale, nel senso che oggi è un tema che neppure più dibattiamo all’interno della Lago: è come l’aria che respiriamo, tutti i reparti dell’azienda hanno a che fare con il digitale. Non è solo un tema di marketing e comunicazione, ma riguarda il vivere l’azienda in tutti i suoi aspetti. Siamo stati una delle prime aziende che ha saputo cogliere questa opportunità che diventa straordinaria soprattutto per le dimensioni delle Pmi, perché ti permette con dei budget possibili di arrivare a parlare a un numero smisurato di persone. Noi parliamo a più di dieci milioni di persone all’anno oggi.
Hai intercettato il cambiamento prima degli altri, proposto una visione di abitare la casa innovativa, lo hai comunicato con modalità nuove e inusuali: come hai fatto?
Le aziende sono come delle orchestre: quando tu metti insieme un’orchestra è condizione ‘sine qua non’ che tutti i tasselli, come in un puzzle di musicisti,producano una sorta di armonia. In questo senso quando ho iniziato in Lago più di dieci anni fa tra le prime cose che abbiamo fatto c’è stata quella di condividere una visione contenuta in un documento che si intitolava ‘La grande idea’ dove l’idea in realtà era l’approccio al modello di impresa che doveva rimettere al centro la persona.
Abbiamo scelto che, strategicamente, il design doveva essere anche un produttore culturale, perciò abbiamo pensato al luogo di lavoro – bio-fabbrica –, ai prodotti che sono degli alfabeti che si plasmano in vari tipi di interni, abbiamo indagato nuove modalità per arrivare a parlare ai consumatori e al mondo del retail attraverso la formula dell’appartamento Lago in varie città (un appartamento realmente abitato, ma visitabile da estranei come uno showroom, ndr).
Cosa significa, oggi, occuparsi di design nell’accezione più completa del termine?
Significa ogni giorno rimodellare il tuo business model, andare a ridefinire continuamente, step-by-step, anche il concetto più strategico.
In questo senso per noi fare design non è mai stato solamente fare un bel prodotto, ma arrivare a definire un bel pezzo, fatto da un materiale di qualità, innovativo, che ha un significato per il suo linguaggio e in relazione al corpo di chi lo userà.
Per noi il design non è mai stato solo cercare il bel prodotto da presentare al Salone del Mobile. Perché, oltre a questo, abbiamo sempre pensato che il design possa essere uno strumento straordinario del pianeta per creare cose significative.
Tutto quello che sta intorno al prodotto lo fa diventare ancora più rilevante e in questo senso negli ultimi anni abbiamo aggiunto un altro tassello che va a intensificare la forza Lago: i ‘talking furniture’, delle tag che sono applicate al prodotto che permettono un dialogo tra smart phone e la design community dell’azienda.
Tutte queste cose messe insieme generano nuovi significati e valori. Abbiamo pensato sempre più in questi ultimi tempi che se il design si ferma agli atomi – cioè ai prodotti – è un po’ poco. Abbiamo visto tante case piene di begli ‘atomi’ ma senza vita. Il design deve occuparsi della vita nel suo significato più esteso. Allora queste modalità di attivazione di nuova vita intorno e attraverso gli oggetti, aggiungono loro valore.
Ad esempio?
Ad esempio si potranno caricare e condividere le ricette delle persone che hanno cucine Lago in tutto il mondo oppure le fiabe raccontate intorno al tavolo Lago, e così via.
Credo che si riesca a creare valore solo se si riesce a tenere in sintonia tutta questa orchestra che è l’azienda. C’è la famosa metafora: “la catena è forte soltanto quanto il suo anello più debole”, quindi se nell’orchestra ci sono dei toni che mi “portan giù”, tutta l’orchestra ne risente.
Il design ha a che fare con il product design certamente, ma sempre più la visione deve comprendere sia la generazione di profitto sia di significato, che non puoi dimenticare se vuoi fare design oggi.
Il pubblico della comunità digitale Lago che compra e ama i tuoi prodotti è prevalentemente un pubblico giovane?
Abbiamo una consapevolezza abbastanza elevata e precisa del nostro pubblico attraverso il digitale. In realtà negli anni noi siamo diventati più adulti nel porci al mercato e questo sta dando grandi risultati. Nel senso che mi sono sempre preoccupato di essere innanzitutto un attrattore universale. Ho cercato di crearmi un’identità nel tempo, non badando a seguire o assecondare le cosiddette ‘sette sorelle del design’ (cioè le aziende storiche più famose, ndr) ma cercando di definire una precisa “identità Lago” sul mercato a prescindere dal lato economico.
In questo senso facciamo ancora un po’ guerra al concetto borghese di casa, ma ci piace comunque tenere una durata di prodotto lungo, una qualità elevata.
Non posso neanche parlare a un pubblico soltanto giovane che magari poi non ha le capacità economiche per comprare i prodotti Lago, lontani dal prodotto di lusso inteso come sfarzo, ma del pari anche dal prodotto Ikea. Noi riusciamo ad attrarre persone aperte culturalmente e che, quindi, non rientrano nelle vecchie categorie di marketing. Nello showroom di Londra, ad esempio, abbiamo avuto un cliente di 85 anni che ha acquistato il letto Fluttua, che ha una sola gamba ed è un modello molto innovativo e azzardato, e ci siamo chiesti: cosa definisce oggi l’aggettivo ‘giovane’? Conosco giovani che sono più vecchi come mentalità di persone anagraficamente definibili vecchi!
L’età non dunque è più la discriminante, ma lo è il fattore culturale?
Noi cerchiamo di essere innanzitutto inclusivi cercando di fare cose straordinariamente belle e di qualità. Sono più sedotto dal fare progetti eccellenti, che di lusso. Anche se possiamo dire che il tempo è il vero lusso contemporaneo! Sono temi che negli ultimi anni si sono tanto ibridati. La società è cambiata e sta cambiando molto, siamo in una continua ricerca di un assetto di comprensione, di risposte. Dobbiamo farci domande giuste ed essere capaci di darci risposte adeguate. È il modello culturale che guida l’azienda, che produce design, marketing e la politica del retail.
Il design Lago è capace di generare empatia tra gli interni e le persone che ci vivono, consegnando un alfabeto con cui ognuno può costruire la propria visione dell’abitare. C’è una richiesta di sostenibilità da parte del pubblico che acquista i tuoi prodotti?
La nostra community la percepisce ancora in maniera marginale, ma sono anni che l’azienda crede nella sostenibilità e va avanti nella direzione di aumentare la sensibilità ambientale. Lo dimostrano le certificazioni 14001 (lo standard internazionale per i Sistemi di Gestione Ambientale) e 18001 (per la gestione salute e sicurezza). Proprio sabato mattina ero ad ascoltare uno scienziato italiano premio Nobel per la pace che ha studia i cambiamenti climatici, ed è ormai sempre più chiaro che non c’è più tempo per aspettare.
Per noi il tema della sostenibilità deve abbracciare un tema sociale più ampio. Non puoi produrre delle cose che sono ecologicamente attente e far lavorare le persone in modo eccessivo o in luoghi di lavoro non felici.
Credo che fare impresa oggi, come piace fare a noi, implichi una certa sensibilità sociale nel suo termine più ampio. I temi delle certificazioni e della sostenibilità non possono essere affrontati dalle aziende a piccoli pezzi, bensì con l’intera orchestra! In questo senso continuiamo a credere in un modello di sviluppo che tenga conto della revisione del capitalismo che ha sempre guidato l’economia: abbiamo cercato di fare delle azioni che ci portino ad avere un po’ più di rispetto, come per esempio l’avvio della bio-fabbrica.
Anche il progetto dell’appartamento Lago ha una volontà che sottende un approccio diverso alla società. Aprire le case e farle visitare a degli ‘stranieri’ che non sono mai entrati a casa tua implica di per sé un approccio diverso alla vita, la possibilità e l’interesse a conoscere altre persone e allargare la comunicazione. Questo è significativo in un momento storico ricco di flussi migratori in cui si tende a chiudersi anziché ad aprirsi.
Sono tutti tasselli che hanno diverse sfaccettature, ma uniti da un sentimento analogo.
Parlaci del progetto della bio-fabbrica e dei criteri adottati dall’azienda nell’edificio e negli impianti produttivi.
Posso spiegare la ragione alla base di questo progetto: dieci anni fa abbiamo acquisito il pezzo di terra su cui edificare la fabbrica per la necessità di unificare le due sedi dislocate in due aree diverse. Abbiamo scelto un architetto, Italo Chiucchini, che non aveva mai progettato fabbriche. Gli abbiamo chiesto di realizzare una grande abitazione secondo i principi della bio-edilizia moderna. È un edificio che ha l’aspetto di una casa in vetro e legno, immerso nella natura, con grandi vetrate e una luce incredibile, e dove si vedono tramonti incredibili. L’abbiamo costruita con una logica molto nordica, con le architetture di Alvar Aalto come modello di riferimento. Per costruirla sono state impiegate materie nobili inusuali per le industrie: travi in legno, mattoni, vetro, cotto, acciaio e alluminio. Sequenze armoniche di falde inclinate creano un sistema architettonico a misura d’uomo che rende piacevole il tempo dedicato alla produttività.
È una delle poche fabbriche in Italia che è stata concepita come un organismo vivente: generalmente si mette del valore nella parte uffici, che è più di immagine, e la parte retrostante della produzione è spesso di qualità inferiore.
Da noi la parte uffici rappresenta la testa che ibrida tutta la parte manifatturiera ed è interessante perché qui si respira un’aria ancora più bella che nella parte creativa. È tutta in legno lamellare armato per avere degli aggetti profondi.
Credo che per la qualità del made in Italy l’importanza dei processi sia determinante: non possiamo più produrre negli scantinati, nei prefabbricati. Se vogliamo produrre ‘atomi con l’anima’ dovremmo tornare a concepire anche ‘luoghi con l’anima’ dove si producono le cose.
Nel Nord-est è tipico ancora il progetto di geometri/architetti fatto con i prefabbricati, un meccanismo dove ancora le fabbriche sono concepite come caramelle. Tutte uguali. È un grande errore strategico, dobbiamo tornare al Rinascimento, alla qualità della ‘bottega’ dove si producono cose belle. Non più nel centro storico, ma in aree dedicate con la qualità che c’era all’inizio, con uno spirito umanistico.
Quando arrivano da noi i buyer da tutto il mondo rimangono sconvolti dalla capacità empatica dell’architettura e del racconto del luogo e questo è un elemento che si portano a casa e che contribuisce alla percezione della qualità non solo della nostra azienda e dei nostri prodotti, ma più in generale del nostro Paese.
Cos’è il “lean thinking”?
Nella ‘Lagofabbrica’ si produce con la metodologia ‘lean thinking’, un pensiero snello che evita i tempi morti e riduce gli sprechi, ottenendo così un miglioramento costante e un design accessibile e personalizzabile. La continua ricerca sull’impatto che ogni prodotto/servizio ha per l’intera durata del suo ciclo di vita permette di produrre in maniera sostenibile con vernici a base acquosa o con materiali interamente riciclabili come il vetro.
Quali sono i progetti nuovi che Lago presenterà a Milano al Salone del Mobile 2018 e a Casa Lago?
Quest’anno è particolarmente ricco di prodotti nuovi. Dal 2016 ogni anno prendiamo a cuore un tema legato alla società e cerchiamo di sviscerarlo.
Il primo anno abbiamo toccato il tema del viaggio, allestendo una mostra che indagava il mondo al di fuori delle case.
Lo scorso anno il tema è stato la gentilezza: abbiamo scelto otto testimonial per indagare la gentilezza.
Quest’anno il tema sarà legato a Leonardo da Vinci, di cui ricorre il prossimo anno il 500° anniversario della morte. Svilupperemo un progetto legato al Cenacolo. Leonardo con la sua genialità è stato capace di cambiare il paradigma della pittura e di dipingere l’anima, con un approccio all’eccellenza in tutti i campi in cui ha operato che ancora oggi è stupefacente.
Presentiamo dei prodotti che hanno lo spirito di sfidare la consuetudine e di avere un po’ di magia, come il grande tavolo Bold con una sola gamba decentrata che tocca i nostro temi dell’empatia, del coraggio e dell’innovazione e una nuova cucina destrutturata.
Chi sei tu, Daniele Lago? come ti definiresti?
Potrei dire che sono un “bambino curioso contento”. Sono padre adesso di due gemelli, ma c’è sempre un bambino in me! Bruno Munari e Achille Castiglioni sono i due personaggi di riferimento che amo di più. Mi piacciono molto le persone che sanno rimanere giovani di spirito come Miles Davis e Prince in campo musicale. Credo che riuscire a mantenere il bambino che c’è in te e la capacità di stupirti delle cose sia un dono prezioso che va tenuto stretto perché ti aiuta ad alimentare nuove visioni.
Alcuni tuoi prodotti di design sono un po’ magici, cercano di realizzare delle utopie, come il letto sospeso, il tavolo immenso con la struttura in vetro invisibile. Sono sogni di bambino?
Abbiamo bisogno di tornare a sognare tanto e a fare pensieri potenti. Dobbiamo tornare a produrre utopie perché le utopie ti fanno fare cose incredibili. Se non ti dai questa possibilità di generarle ti precludi il futuro. È un tema che dobbiamo capire tutti insieme per produrre un futuro più rilevante. Sono sempre molto interessato e sconvolto di come va il mondo e per vederlo come sarà tra trent’anni devi guardarlo con gli occhi di un bambino altrimenti fai veramente fatica ad immaginarlo. Il design si collega al mondo, ha la capacità di diventare un fatto pragmatico, non è un fatto artistico. È una disciplina che ti permette di avere la testa tra le nuvole e i piedi piantati in terra e di realizzare alcuni di questi sogni!
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