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Spirito del Tor, inizia l’avventura in solitaria di Daniele Persico tra le montagne
Daniele Persico farà in solitaria uno dei trail più duri al mondo, per raccontare il suo spirito, quello della montagna e delle persone che la abitano. La sua avventura diventerà un documentario: Lo spirito del Tor.
Non si tratta solo di me, ma della bellezza del percorso, dei posti, dello spirito di un viaggio
In questi giorni a Courmayeur, in Valle d’Aosta, sarebbe stato normale vedere diverse persone indaffarate nel preparare gli ultimi dettagli. Tutto sarebbe dovuto essere pronto per oggi. Centinaia di atleti avrebbero raggiunto la cittadina aostana da diversi paesi per prendere parte al Tor des Geants, una delle gare di trail running più note e dure al mondo.
Tra di loro, per sorteggio, ci sarebbe stato anche Daniele Persico, bergamasco ma trapiantato per lavoro a Genova, papà di Teresa, compagno di Laura ma soprattutto appassionato di montagna. Poi è arrivata la pandemia, che si è portata via la possibilità di disputare quella che sarebbe stata l’undicesima edizione della gara, ma non la voglia di Daniele di mettersi in gioco.
330 chilometri di corsa in solitaria tra le montagne
E allora da quella scintilla ha preso piede un’idea, quella di correre lo stesso quell’anello di 330 chilometri con 24mila metri di dislivello positivo, rispettando il tempo di 150 ore che gli sarebbe stato imposto dalla competizione.
Mi impegnerò a non lasciare alcuna traccia del mio passaggio, se non le impronte sui sentieri
Un documentario racconterà l’avventura, Lo spirito del Tor
Il suo viaggio per le valli aostane lo racconteranno in un documentario i ragazzi di Babel Collective, un collettivo indipendente di documentaristi, fotografi, filmmaker e registi, e sarà supportato dalla compagnia che la gente del luogo e i rifugisti non mancheranno di dargli. A LifeGate il compito di seguire in diretta la sua avventura (c’è anche un live tracking) e dare tutto il suo appoggio come media partner di questo viaggio.
Nonostante tutto, qualcuno partirà per un’avventura da Courmayeur e quel qualcuno è Daniele, che abbiamo sentito poco prima del grande giorno.
Cominciamo dalle basi: come si è avvicinato alla corsa in montagna?
È una cosa che è sempre stata latente in me, come se avessi una predisposizione naturale. Fin da piccolo la mia famiglia mi ha portato in montagna, avendo per giunta un padre appassionato. Già da quell’età avevo un certo tipo di approccio ai monti, al percorrerli, mi attirava la scoperta, la bellezza, l’avventura. Anche da ragazzo, mi ricordo, mi capitava di vedere dei cartelli di paesi che io sapevo essere lontani, ma vedevo il segnale del sentiero e avevo la spinta ad avventurarmi per arrivarci a piedi piuttosto che in macchina come avevo sempre fatto.
Negli ultimi dieci anni è intervenuto il lato più sportivo, quello della corsa. Inizialmente in maniera graduale. Se dovessi ricercare il momento in cui è scoccata la scintilla è stato sicuramente un articolo sulla corsa naturale, un filone di pensiero che si è sviluppato negli ultimi anni che riscopre questa attività come dinamica naturale intrinseca dell’uomo. Mi affascinava moltissimo, anche perché rappresenta uno dei lati che più mi piace della corsa in generale, la sua semplicità, la naturalezza del movimento in grado di riportarti in sintonia con il tuo corpo.
Ogni volta scopri la forza che hai dentro
Da quel momento ho cominciato a correre sempre di più e in maniera più strutturata, macinando sempre più chilometri. Solo dopo i primi due anni di quel periodo ho scoperto l’esistenza del mondo del trail running, con le sue gare a cui ho cominciato a partecipare. Finire una mezza maratona per la prima volta, dire ce l’ho fatta, mentre pensavi di non farcela è qualcosa di bellissimo e quella mezza maratona è diventata poi una maratona, poi sono diventati gli 80 chilometri e ancora di più. Ogni volta scopri la forza che hai dentro, che alla fine ce la fai e che tutti i limiti che ti eri posto erano principalmente mentali.
A proposito delle gare che ha disputato, da dove nasce l’idea di percorrere comunque il percorso del Tor de Geants nonostante la cancellazione dell’evento?
La prima volta che ho partecipato al Tor de Geants è stato nel 2017 e ancora oggi rimane la gara più bella, l’unica che ho subito ammesso di voler rifare, cosa poco comune per me. È stata un’esperienza meravigliosa ma anche dura. Sono riuscito ad arrivare alla fine ma fisicamente e come approccio non ero decisamente preparato. Mi ha portato tanto oltre il mio limite, ma avevo voglia di rifarla in maniera adeguata. Quest’anno sembrava l’anno buono, ho provato il sorteggio e sono passato tra i primi. Durante il lockdown perciò ho cominciato a prepararla, ma poco più avanti è arrivata la notizia della cancellazione.
Emanuele, amico filmmaker e regista, mi ha però proposto di farla da solo. All’inizio non ero affatto convinto, a livello motivazionale soprattutto. Durante una gara del genere ci sono dei momenti in cui sei costretto a tirare fuori tutto e essere veramente motivato ad andare avanti, era difficile rispondere di no a chi ti proponeva di riportarti giù a Courmayeur. In questo caso non ci sarebbe stato nemmeno lo stimolo della competitività. Ma poi ci ho riflettuto, dopo essermi nuovamente confrontato con lui riguardo il progetto e mi sono convinto.
Sono abituato a correre e ad andare in montagna da solo ed è sempre stata la modalità che preferisco
Per assurdo ora sono quasi più contento così, perché non si tratta solo di una gara da replicare da solo, non si tratta solo di me, ma della bellezza del percorso, dei posti, dello spirito di un viaggio. La mia parte sportiva è la scintilla, che passando spera di attivare tutta l’energia che c’è in questo evento e incanalarla e raccontarla nel documentario.
È evidente perciò che sarà spesso solo con l’ambiente che la circonderà: cosa la incuriosisce e cosa la spaventa di più?
Sono abituato a correre e ad andare in montagna da solo ed è sempre stata la modalità che preferisco. È il mio momento, sono con me stesso, i miei pensieri, mi immergo totalmente. Per questo preferisco questa modalità piuttosto che la gara, seppure l’affollamento ci sia poi solo all’inizio anche in quel caso. Quando sei da solo, è la difficoltà che fa un po’ più paura: se mi devo immaginare in condizioni meteo non facili, mi spaventa un po’ di più in solitudine ma da questo punto di vista mi aiuterà la tecnologia. Un’altra sicurezza fondamentale sarà anche quella di avere una persona di riferimento che mi accompagnerà nelle parti notturne, dove ci possono essere difficoltà maggiori.
Anche i luoghi probabilmente avranno aspetti in più da mostrarle dopo il lungo periodo di lockdown: quale le piacerebbe condividere maggiormente con chi la seguirà in questa sua esperienza?
La voglia di tornare in montagna è fortissima e questo so che si percepirà, ma soprattutto di attraversare questi luoghi, di rivedere questi posti, sia di giorno che di notte, vivermela con intensità totale. Cercherò di trasmettere questo entusiasmo e cosa significa ritornare in montagna dopo tanto tempo. Mi aspetto anche una reazione diversa da parte del luogo, di quelli che lì sono rimasti isolati e anche limitati nel non poter procedere con una serie di manifestazioni culturali e sportive, come il Tor. Mi preme che questa sia un’occasione per mostrare agli altri che sono ancora lì. Voglio condividere la montagna, le persone che la abitano, i rifugi, i piccoli borghi montani e anche le cittadine più grandi.
Le persone del luogo avranno perciò un ruolo in questo suo viaggio. Quanto ritiene importante questo lato?
La gente che incontri è fondamentale. Prima di tutto perché è una componente del viaggio, che ha sia una sua estetica legata all’ambiente ma anche alle persone. Il fatto di avere a che fare con chi vive e lavora in montagna, che ha un certo spirito è stimolante come conoscenza, come entusiasmo che ricevo, come dono. Una cosa che mi scioglie il cuore è quando vedo la voglia che hanno di accoglierti, di donare, soprattutto quando vedono qualcuno in difficoltà, stanco emotivamente o fisicamente che sia. Sono contenti di offrirti appoggio, un piatto caldo o qualcosa di fresco da bere. È un dono incredibile.
Avere a che fare con chi vive e lavora in montagna è un dono
In termini di sostenibilità, ha pensato a come ridurre il suo impatto sugli ambienti che attraverserà?
Ovviamente mi impegnerò a non lasciare alcuna traccia del mio passaggio, se non le impronte sui sentieri. È un’accortezza che mi segue sempre, non solo in questo caso. Mi fa imbestialire quando vedo della carta per terra e se ne ho la possibilità non manco di raccoglierla. Per il resto, la modalità con cui mi muoverò, ovvero usando i miei piedi e le mie gambe, è sicuramente una delle meno inquinanti che esista. È un aspetto importante della mia vita l’attenzione che metto nel modo in cui mi sposto o in cui vivo rispetto all’ambiente.
La modalità con cui mi muoverò, ovvero usando i miei piedi e le mie gambe, è sicuramente una delle meno inquinanti che esista
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