In Danimarca i bambini vanno a lezione di empatia. E in Italia?
In Danimarca fin dai sei anni i bambini imparano a scuola a condividere con gli altri le proprie emozioni. In Italia siamo la situazione è molto diversa, ma non mancano anche esempi virtuosi di istituti che investono anche su questo. Ne abbiamo parlato con il dott. Mario Di Pietro, che si occupa di questo da molto tempo
Nelle scuole in Danimarca, oltre alla matematica e alle altre materie tradizionali, i bambini vanno anche a lezione di empatia. Ogni settimana gli studenti dai sei ai sedici anni hanno a disposizione la Klassens tid, ovvero un momento in cui tutti possono condividere emozioni, problemi personali o difficoltà per ascoltare consigli e trovare soluzioni con l’aiuto dei compagni e dell’insegnante.
Il tutto è reso ancora più piacevole dalla Klassens time kage, una torta al cioccolato che i ragazzi preparano e portano in classe a turno. L’obiettivo? Creare un’atmosfera piacevole, chiamata “hygge”, e aiutare i giovani a far crescere la propria empatia – dal greco en pathos, “sentire dentro” – e quindi la loro capacità di percepire e condividere le emozioni altrui in un clima di collaborazione, con tutti i benefici che ne conseguono.
Imparare l’empatia a scuola, anche in Italia
Il valore di questo approccio non è solo intuibile ma è addirittura dimostrato. Ad esempio, un notevole calo del livello di empatia tra i giovani statunitensi di oggi rispetto a quelli degli anni Ottanta-Novanta è stato registrato da uno studio dell’Università del Michigan e questo è coinciso con un aumento dei problemi di salute mentale e depressione degli stessi.
Per capire come la scuola italiana prenda in considerazione questa tematica ne abbiamo parlato con il dottor Mario Di Pietro. Psicologo e psicoterapeuta, negli anni Novanta portò in Italia l’Educazione razionale emotiva, procedura psicoeducativa che “educa la mente per metterla al servizio del cuore” e aiuta ad acquisire consapevolezza delle proprie emozioni, superando, in modo costruttivo, pensieri negativi che alimentano emozioni dannose.
Da molti anni il dottor Di Pietro si adopera proprio in ambito scolastico affinché questa procedura possa essere applicata anche alla didattica con diversi obiettivi, tra cui: favorire l’accettazione di se stessi e degli altri; facilitare il superamento di stati d’animo spiacevoli; aumentare la tolleranza alla frustrazione; favorire l’acquisizione di abilità di autoregolazione del comportamento; incentivare la cooperazione in alternativa alla competizione.
Oltre a essere psicologo, psicoterapeuta e docente il dottor Di Pietro è anche terapeuta cognitivo-comportamentale. Specializzatosi a New York con Albert Ellis (fondatore della terapia razionale emotiva comportamentale) è autore di diversi testi, tra cui L’Educazione razionale emotiva e L’Abc delle mie emozioni.
Sappiamo che nelle scuole danesi l’empatia e le emozioni sono materia scolastica. In Italia esiste qualcosa del genere? Sì, anche in Italia esistono sperimentazioni di questo genere ma non così su vasta scala come in Danimarca. Da noi si tratta più che altro di realtà isolate e legate alla lungimiranza dei dirigenti scolastici. Io negli anni ho seguito e ispirato vari progetti nelle scuole. Anche l’Istituto superiore di Sanità se n’era interessato e aveva finanziato una ricerca su questo.
Ci può dare una misura della diffusione di questi progetti in Italia? Io formo circa cinquecento insegnanti l’anno sulle tematiche dell’Educazione razionale emotiva. Di recente sono andato anche in Abruzzo, dove hanno avuto problemi di resilienza coi bambini e, attualmente, sto seguendo un progetto a Pordenone legato a una rete internazionale sponsorizzata anche dall’Organizzazione mondiale della sanità.
Come mai in Danimarca la situazione è così differente dalla nostra? In Danimarca c’è un retroterra culturale diverso, molto ricettivo. Da loro non c’è un clima politico e culturale così caotico e selvaggio come da noi e hanno molto più senso civico. Perciò lì c’è terreno fertile per certe cose. Qui da noi, specialmente in certi contesti, per esempio al Sud, esistono problematiche sociali ben più impellenti da risolvere. Questo è un lusso che si possono permettere solo società più evolute.
Gli insegnanti come applicano in classe le procedure dell’Educazione razionale emotiva? Attraverso percorsi mirati o applicandola alle varie discipline. Per esempio l’insegnante di lettere può aiutare i ragazzi a espandere il loro vocabolario emotivo; l’insegnante di scienze può spiegare quali sono i segnali fisici che il nostro corpo ci trasmette quando proviamo certe emozioni; quello di studi sociali può parlare del controllo della rabbia nell’interazione. Ci sono varie possibilità di introdurre nell’ambito delle discipline curriculari argomenti che riguardano l’Educazione razionale emotiva, però alla base ci dovrebbe essere un percorso strutturato che richiede diverse settimane. Se poi si vogliono fare le cose in modo completo, il percorso andrebbe ripetuto per tre anni consecutivi, perché, come qualsiasi nuova competenza anche questa richiede una reiterazione per essere consolidata.
È davvero così importante imparare a essere empatici? La mancanza di empatia deriva da una visione negativa della realtà. Chi non prova empatia ha delle modalità di pensiero distruttive nei confronti dell’altro, per questo è incapace di provare e sentire quello che l’altro può provare. Però, attenzione, identificarsi con l’altro non è sempre utile perché può togliere le energie per aiutarlo. All’empatia deve unirsi la compassione che significa proprio “soffrire con l’altro” per aiutarlo a superare la sofferenza stessa.
Tutti possono imparare a essere più empatici e compassionevoli? I fattori in gioco sono sia temperamentali che ambientali. Certe persone hanno una maggiore predisposizione all’empatia e quindi faticano meno ad apprenderla e applicarla, chi è meno predisposto dovrà impegnarsi di più, ma tutti possono migliorare.
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