È partito il processo davanti alla Corte penale internazionale a carico di Ali Kushayb, il “Colonello dei colonelli” del Darfur. Sull’uomo pendono 31 capi di accusa.
Il conflitto in Darfur è iniziato nel 2003 e non si è mai realmente concluso. Sono morte oltre 300mila persone, 2.5 milioni gli sfollati.
Durante la guerra le milizie Janjaweed vicine al governo centrale del Sudan hanno commesso violenze, stupri e pulizia etnica.
Ora Ali Kushayb, tra i comandanti Janjaweed, è finito a processo all’Aia per crimini contro l’umanita e di guerra.
Il 5 aprile è partito il processo davanti alla Corte penale internazionale dell’Aia a carico di Ali Muhammad Ali Abd-Al-Rahman (Ali Kushayb), il “Colonello dei colonelli” del Darfur. L’uomo è incriminato per 31 capi di accusa nel campo dei crimini contro l’umanità e di guerra, relativamente al suo operato nel conflitto che ha insanguinato la regione occidentale del Sudan nei primi anni Duemila e che ha visto fronteggiarsi milizie locali e il governo centrale, a cui Ali Kushayb era affiliato.
Secondo l’Onu quella guerra, che in realtà non si è mai del tutto conclusa, ha causato circa 300mila morti. Ora uno dei suoi protagonisti si trova imputato presso la Corte penale internazionale, in quello che è considerato un passo importante per la giustizia.
La guerra del Darfur
Il conflitto del Darfur è ufficialmente esploso nel 2003 ma ha origini più lontane. Il Darfur è una regione al confine con il Ciad che non ha sempre fatto parte del Sudan ed è stata annessa al paese nel 1916. Le tribù locali africane si sono così trovate in uno stato a maggioranza arabofona e questa distanza etnico-culturale, unita alla competizione sulla terra e i giacimenti di risorse naturali di cui è ricco il Darfur, ha fatto salire la tensione nel corso dei decenni.
Con l’inizio del nuovo millennio si verificano le prime violenze nella regione, con le tribù locali che alzano il livello della tensione in risposta alle discriminazioni e all’emarginazione a opera delle istituzioni centrali del Sudan. La richiesta è l’ottenimento dell’indipendenza da Khartoum. E nel 2003 si arriva allo scontro vero e proprio tra le milizie locali, composte perlopiù dalle tribù Zaghawa e Fur, e l’esercito di Khartoum, rafforzato dalla milizia arabofona Janjaweed, composto dalle etnie Baggara e Abbala. I ribelli nei primi giorni di conflitto riportano importanti risultati, occupando alcune aree strategiche del Darfur. Poi arriva la risposta con il pugno duro delle forze armate guidate dal presidente del Sudan, Omar Al Bashir.
I villaggi delle etnie africane del Darfur vengono rasi al suolo, si crea un’imponente diaspora verso il Ciad e si inizia a parlare di pulizia etnica e genocidio, anche all’interno dell’Onu. Nel 2006 viene raggiunto un accordo per la deposizione delle armi che però regge per poco tempo. I Janjaweed vicini al governo centrale proseguono le loro incursioni nella regione, con veri e propri eccidi come quelli nei villaggi di Tiero e Marena, dove sono uccisi centinaia di civili. L’arrivo dei caschi blu dell’Onu smorza in parte la tensione, ma nel 2008 i combattimenti arrivano fino ai sobborghi di Khartoum.
Dopo una fase di stallo l’Onu dichiara conclusa la guerra nel 2009 e l’anno successivo a Doha vengono firmati gli accordi di pace tra il governo del Sudan e le milizie del Darfur, con la regione che assume più autonomia. Ma gli scontri, per quanto più localizzati, non sono mai terminati.
La ricerca della giustizia
In quasi 20 anni di guerra in Darfur, considerando sia il primo periodo di scontri su larga scala che le violenze più sporadiche dell’ultimo periodo, il bilancio è stato di oltre 300mila morti. Gli sfollati sono arrivati all’impressionante cifra di 2.5 milioni. E altre milioni di persone nella regione oggi necessitano di assistenza umanitaria.
Sul Darfur è intervenuta già nei primi anni di guerra la Corte penale internazionale, che ha avviato un’inchiesta a carica dell’allora presidente del Sudan Omar Al Bashir (deposto nel 2019 e oggi incarcerato nel paese) e di altre figure legate in modo più o meno diretto a Khartoum, come il ministro per gli affari umanitari, Ahmed Haroun, e il comandante Janjaweed Ali Kushayb. E proprio a carico di quest’ultimo nelle scorse ore è cominciato il processo davanti al tribunale internazionale dell’Aia. L’uomo è stato arrestato nel 2020 nella Repubblica Centrafricana dopo 13 anni di latitanza e su di lui pendono 31 capi di accusa nel campo dei crimini contro l’umanità e di guerra. In particolare, la Corte parla del suo timbro in 504 omicidi, 20 stupri e nella fuga di 41mila persone dai loro villaggi.
— Int'l Criminal Court (@IntlCrimCourt) April 6, 2022
Per quanto riguarda invece l’ex presidente sudanese e altri funzionari incriminati, c’è un mandato di cattura internazionale pendente dal momento che il Sudan, dove si trovano incarcerati, non li ha ancora consegnati all’Aia nonostante varie promesse al riguardo. Quello contro Ali Kushayb non è il primo processo della Corte penale internazionale nei confronti di un protagonista della guerra del Darfur. Nel 2009 era toccato a uno dei capi delle milizie ribelli della regione, Bahar Idriss Abu Garda, ma le accuse nei suoi confronti erano cadute. Ora, per la prima volta, i giudici sono chiamati a esprimersi su una delle figure di punta delle forze legate al governo centrale.
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