Tutti vogliono un data center in Irlanda, ma la stabilità della rete è a rischio
Un data center @ Morris MacMatzen/Getty Images
Sempre più colossi hi-tech costruiscono data center in Irlanda, che dovrà rendere la rete in grado di rispondere alla domanda. Ma di quale energia parliamo?
Un data center @ Morris MacMatzen/Getty Images
L’Irlanda ospiterà il primo data center d’Europa di Tiktok. Il social network cinese, al momento al centro di tensioni tra Washington e Pechino, è solo l’ultimo in ordine cronologico ad aver deciso di costruire nel paese europeo una struttura per l’elaborazione e l’archiviazione dei dati. L’annuncio è stato fatto ad agosto dal responsabile globale per la sicurezza delle informazioni, Roland Cloutier.
Microsoft, Facebook, Google e Amazon hanno posizionato in Irlanda enormi data center, centri di stoccaggio dei dati che operano sette giorni su sette, 24 ore su 24. Amazon, ad esempio, gestisce diverse strutture e solo due mesi fa ha annunciato mille nuovi posti di lavoro per la costruzione di un impianto a Drogheda, sulla costa orientale d’Irlanda.
Nel 2020 online per 1,25 miliardi di anni
Per garantire ai propri iscritti “un’esperienza sicura e senza rischi” e “tempi di caricamento più rapidi” dell’applicazione, ha detto Cloutier, Tiktok investirà 420 milioni di euro con l’auspicio di accendere i sistemi agli inizi del 2022. Sistemi fisici come questi sono indispensabili per sostenere il ritmo di navigazione degli utenti nel mondo, considerando l’impennata del traffico di rete e dei volumi di calcolo.
Stando ai dati del Digital 2020. Global digital overview, di We are social e Hootsuite, sono 4,5 miliardi le persone che a livello globale usano internet e che, solo nel 2020, si stima vi trascorreranno 1,25 miliardi di anni. Una enormità se si guarda anche solo ai dati riferiti all’Italia: 49,48 milioni di utenti navigano su internet. Senza contare il tempo speso online: in media 2 ore e 24 minuti al giorno per 3,8 miliardi di utenti.
Data center sempre più energivori
Le riflessioni circa l’elevato consumo energetico, incluso quello per il raffrescamento, sono sempre attuali. Eppure i progressi compiuti in ambito tecnologico hanno permesso di ridurre il consumo di dischi, come si usa dire di Watt per Terabyte, e di rendere più efficienti i processi, ossia di Watt per MegaFlo.
Anche messi da parte gli aspetti legati alla protezione dei dati personali e all’impatto ambientale di questi sistemi, seppure importantissimi, la “sfida energivora” che si prospetta al Paese è già di per sé senza tempo. I primi a guardare all’Irlanda come terra dell’oro per la costruzione dei propri data center sono state aziende come Intel e Pfixer tra gli anni Sessanta e Ottanta. Nel 2004 è arrivata Interxion. Nel 2011 Google ha annunciato un investimento di 75 milioni di euro e ha convertito una zona industriale di Dublino ovest. “Dublino ha la giusta combinazione di infrastruttura energetica, terreno edificabile e forza lavoro disponibile per il data center”, scrive la stessa azienda. E questi sono solo alcuni esempi degli enormi flussi d’investimento dirottati nel Paese.
Data center, in Irlanda fino al 47% della domanda totale di energia entro il 2028
L’ultimo rapporto di EirGrid riporta uno scenario interessante circa l’incremento esponenziale del consumo energetico dei data center. Entro il 2028, scrive, potrebbero mangiare la fetta più grande di consumi dell’Irlanda. Nella migliore delle ipotesi, nei prossimi dieci anni il fabbisogno di energia per i data center crescerà del 23 per cento. Altrimenti raggiungerà il 47 per cento.
La necessità di trovare fonti di energia più pulite rispetto a quelle tradizionali è sempre più pressante. Ad agosto Facebook ha siglato un accordo con il fornitore locale Brookfield Renewable per alimentare con energia eolica il proprio centro dati di Clonee, paese nella contea di Meath. Amazon, poi, ha annunciato che investirà in un nuovo progetto eolico di 115 megawatt ad Ardderroo, nella zona di Galway. Secondo le previsioni, questo impianto potrà alimentare tutti i suoi data center in Irlanda dal 2022.
Maggiore efficienza energetica se il data center è inabissato
Pochi giorni fa Microsoft ha recuperato il cilindro contenente un data center inabissato nel 2018 al largo delle isole isole Orcadi, in Scozia, per osservarne la risposta sott’acqua. Le operazioni per recuperare il cilindro, parte del cosiddetto progetto Natick, sono durate un’intera giornata. A parte lo strato di alghe e anemoni che lo ricopriva, il data center era perfettamente funzionante. I server che si erano danneggiati sott’acqua erano solo 855, percentuale più bassa di quella registrata sulla terraferma. Alla base della maggior efficienza del sistema, stimano i ricercatori, ci sono due fattori: l’aver pompato azoto anziché ossigeno e l’assenza di esseri umani.
Microsoft has pulled its second underwater data center out of the water in Scotland https://t.co/Grlh7E1C74
Come evitare che il consumo di fonti fossili aumenti
Non sempre le compagnie sono attente al tipo di energia che alimenta i propri server. A Luglio il Business Post ha riportato la notizia dell’uso da parte di alcuni colossi hi tech di impianti alimentati a combustibili fossili. La causa: la mancanza di capacità della rete elettrica. Per questo An Taisce, famosa organizzazione non governativa ambientalista d’Irlanda, oggi chiede una più attenta supervisione e una più efficace regolamentazione delle fonti energetiche che alimentano i data center.
A questo fattore si aggiunge il bisogno di snellire le procedure autorizzative. Il caso più infelice è l’abbandono da parte di Apple della costruzione a Galway di un data center dopo tre anni di opposizioni. Una parte della popolazione locale temeva l’impatto ambientale sul territorio, mentre l’altra puntava ad aumentare l’occupazione locale.
Certo è che sempre più colossi energivori costruiranno sistemi di archiviazione ed elaborazione dati in queste terre, con il bisogno di processare quantità prima impensabili di informazioni. Creare infrastrutture più intelligenti e resilienti, a prova di qualsiasi richiesta, che integrino tecnologie rinnovabili e favoriscano la produzione decentralizzata di energia, potrebbe aiutare a bilanciare i picchi di domanda.
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