Il Green Deal europeo e i piani di ripresa post-Covid incideranno sulla finanza sostenibile? L’abbiamo chiesto a Davide Tentori, ricercatore dell’Ispi.
“L’architettura del sistema finanziario globale è stata trasformata per arrivare all’obiettivo del net zero”, cioè l’azzeramento delle emissioni nette di gas serra. È la promessa fatta da Mark Carney, ex governatore della Banca d’Inghilterra, alla Cop26 di Glasgow, per poi ribadire: “Ogni decisione finanziaria deve prendere in considerazione il clima”. Ormai è inconfutabile: serviranno immensi capitali per affrontare una transizione ecologica così vasta e radicale. Ma cosa ci dicono gli ultimi dati sugli investimenti Esg, cioè allineati a criteri ambientali, sociali e di governance? E la pandemia ha inciso in qualche modo su questo settore? L’abbiamo chiesto a Davide Tentori, ricercatore presso l’Osservatorio Geoeconomia di Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale).
Quale sarà il ruolo degli investimenti Esg per la transizione ecologica? Gli investimenti che corrispondono ai cosiddetti criteri Esg sono cresciuti molto negli ultimi anni. In questo caso ci riferiamo alla E di environment, quindi agli investimenti che hanno una ricaduta per la sostenibilità ambientale. Secondo l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), nel 2021 gli investimenti che corrispondono a questi criteri hanno raggiunto i 40 miliardi di dollari a livello globale e l’80 per cento delle aziende che sono capitalizzate in Borsa rispondono comunque a questi criteri. Siamo quindi in una situazione molto favorevole.
Qual è il principale ostacolo da affrontare? Il principale problema è quello dell’omogeneità e uniformità di questi criteri, dal momento che le agenzie di rating li valutano in maniera spesso disarticolata o, comunque, non coordinata tra di loro. Le organizzazioni internazionali hanno il compito di trovare una risposta a quest’esigenza. L’anno scorso, durante la presidenza italiana del G20, è stato creato un gruppo di lavoro (il Sustainable finance working group) che tra i suoi obiettivi ha proprio quello di armonizzare i criteri Esg. Invece la Cop26 che si è svolta a Glasgow, anche in coordinamento con il G20 italiano, ha favorito l’istituzione dell’International sustainability standards board, un organismo che sarà preposto a trovare una soluzione all’esigenza di armonizzare questi criteri. Anche l’Unione europea è in prima linea, con la recente pubblicazione della tassonomia sugli investimenti green che servirà a fare chiarezza.
Molti hanno auspicato una ripresa verde e sostenibile dopo la pandemia. Le cose stanno andando davvero così? Secondo la Global sustainable investment alliance, nel triennio 2018-2020 c’è stato un aumento del 15 per cento degli investimenti sostenibili rispetto al periodo precedente, raggiungendo i 35mila miliardi di dollari a livello globale. L’aspettativa è che d’ora in poi ci sia una crescita ancora più significativa, alla luce anche di quanto accaduto e dei piani di ripresa che sono stati varati negli Stati Uniti, in Europa e in altre zone del mondo. Per fare un esempio, il Green Deal europeo ha posto come obiettivo lo stanziamento di 100 miliardi di euro di investimenti green da qui al 2030 che dovrebbero servire come catalizzatore per almeno il triplo di investimenti privati.
Le prospettive quindi sono molto favorevoli anche nell’ottica della transizione energetica, un imperativo ormai da seguire. C’è però il problema del greenwashing, cioè il fatto che le aziende potrebbero semplicemente prendere impegni per la sostenibilità senza mantenerli. Secondo un recente rapporto, in media solo il 40 per cento degli impegni complessivi viene applicato dalle aziende; bisogna fare in modo che questa percentuale aumenti sempre di più. Come dicevo prima, la definizione di criteri Esg più trasparenti e più omogenei potrà creare un clima più favorevole.
L’intervista è stata realizzata prima dello scoppio della guerra in Ucraina e non può dunque tenere conto delle sue implicazioni sul mercato dell’energia.
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