Gli Stati Uniti sono il primo partner commerciale per il comparto del vino italiano. Ora con i dazi le cose rischiano di cambiare e si prospettano pesanti perdite.
- Il 2 aprile Donald Trump ha annunciato pesanti dazi per le merci straniere. L’Ue sarà colpita al 20 per cento.
- In Italia tra chi soffrirà di più c’è il comparto del vino, che esporta negli Usa per oltre 1,9 miliardi di euro annui.
- Le spedizioni sono saltate già da prima dell’entrata in vigore dei dazi e molte cantine sono in difficoltà.
Nella serata del 2 aprile il presidente statunitense Donald Trump ha annunciato un aumento sostanzioso dei dazi sulle merci straniere. La misura ha colpito oltre cento paesi in modo variabile e prevede una base comune del 10 per cento, su cui è stata calcolata in modo economicamente discutibile una ulteriore percentuale in base ai singoli paesi e ai loro scambi commerciali con gli Usa.
Trump l’ha definito il “giorno della liberazione” ed era da almeno un secolo che gli Stati Uniti non prendevano misure protezionistiche così estreme. Tra i paesi colpiti c’è anche l’Italia, per cui sono stati calcolati dazi al 20 per cento (come per tutta l’Unione Europea). I comparti più vocati all’esportazione saranno pesantemente danneggiati e tra questi c’è l’industria vitivinicola. Gli Stati Uniti sono i primi compratori a livello globale di vino italiano e i nuovi dazi sono destinati a ridurre la domanda americana. Per la viticoltura italiana, già messa in difficoltà dagli effetti dei cambiamenti climatici, si prospettano tempi difficili. Intanto gli effetti negativi per il comparto si fanno sentire già da diverse settimane, cioè da prima che Trump implementasse le sue misure protezionistiche.
I dazi di Trump
Mercoledì 2 aprile, dopo settimane di minacce e smentite, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha annunciato i nuovi dazi. Le tariffe scattano immediatamente e partono da un minimo del 10 per cento per tutti i partner commerciali degli Stati Uniti, a cui si aggiungono i dazi reciproci, cioè tariffe aggiuntive per quei paesi che secondo Trump sfavoriscono gli Stati Uniti nelle relazioni commerciali. Queste misure si sono aggiunte ai dazi già in vigore, che sono del 25 per cento su tutte le importazioni di acciaio e alluminio, sui beni importati da Canada e Messico non compresi nell’accordo di libero scambio e sulle automobili e le loro componenti.
Gli Stati Uniti importano molto più di quanto esportano, con una differenza nella bilancia commerciale che supera il miliardo di dollari all’anno. Trump ha detto di voler mettere fine a “pratiche commerciali scorrette” da parte dei paesi stranieri e di voler proteggere l’economia statunitense, ma le sue misure così come sono state concepite non faranno altro che far aumentare costi e prezzi delle merci per chiunque, Stati Uniti compresi. Intanto lo shock si sta facendo già sentire, con le Borse di tutto il mondo che da giorni stanno facendo registrare perdite disastrose.
L’impatto sul vino italiano
I calcoli di Trump si sono tradotti in dazi al 20 per cento per l’Unione europea. Tra i settori più colpiti in Italia c’è quello agroalimentare e in particolare il mondo del vino, proprio mentre il mondo, buyer statunitensi compresi, si ritrova a una delle manifestazioni di settore più importanti al mondo, il Vinitaly in scena a Verona dal 6 al 9 aprile.
Il valore delle esportazioni dell’agroalimentare italiano negli Usa è di 7,8 miliardi di euro e solo il vino conta per oltre 1,9 miliardi di euro, con gli Stati Uniti che sono il primo partner commerciale delle cantine italiane. Come ha sottolineato il presidente di Unione italiana vini (Uiv), Lamberto Frescobaldi, “con i sanguinosi dazi americani al 20 per cento il mercato dovrà tagliare i propri ricavi di 323 milioni di euro all’anno, pena l’uscita dal mercato per buona parte delle nostre produzioni”. Il vino italiano, apprezzato negli Stati Uniti per la sua qualità e per il suo prezzo competitivo, ora subirà un’impennata nel costo e il rischio è che i buyer statunitensi possano volgere lo sguardo altrove. Intanto alla produzione vitivinicola statunitense stessa, come quella californiana, e poi a quella di altri paesi a cui sono stati imposti dazi più bassi, come Argentina e Cile. Tra i prodotti più a rischio ci sono il Moscato d’Asti, il Pinot Grigio friulano, il Chianti Classico, il Prosecco, il Lambrusco e i grandi rossi piemontesi. Ma anche territori storicamente meno inclini alle esportazioni negli Stati Uniti e che da qualche tempo si sono affacciati in quel mercato.
“I vini della Romagna non vantano una presenza storica e massiccia negli Stati Uniti, a differenza di altre denominazioni italiane. Tuttavia negli ultimi anni, abbiamo iniziato a scommettere e a ricevere i primi riscontri importanti, in particolare sui nostri Sangiovese e Albana”, spiega Aldo Rametta, co-titolare delle cantine Ronchi di Castelluccio e Poggio della Dogana. “Abbiamo lavorato e investito molto per avviare le esportazioni dei vini di entrambe le nostre realtà negli Stati Uniti, consolidare contatti commerciali importanti e iniziare a farci conoscere. A livello aziendale il rischio che viviamo è di vanificare tutti gli sforzi profusi negli ultimi anni”.
Le reazioni dal mondo del vino
Trump a metà marzo aveva annunciato che su vino, champagne e alcolici prodotti nell’Unione Europea le tariffe sarebbero state addirittura del 200 per cento. Questo è bastato per bloccare le spedizioni di vino italiano.
Il vino italiano viene spedito oltreoceano con le navi e tra le spedizioni nei porti, i tempi di imbarco e le lunghe traversate ci vogliono settimane prima che arrivi a destinazione. L’annuncio di Trump di imminenti dazi al 200 per cento è stato sufficiente per bloccare molte spedizioni, perché gli importatori statunitensi hanno avuto timore di ritrovarsi con un’impennata improvvisa dei prezzi quando gli ordini erano già in viaggio. Il risultato è che da marzo intere partite di bottiglie sono rimaste ferme nei porti italiani, con perdite economiche per le cantine italiane. Ma anche per quei locali statunitensi che da anni cercano di promuovere una filosofia differente, quella del vino naturale che si basa proprio sulle importazioni. “Dagli importatori ai ristoratori, passando per i negozianti di vino, gli organizzatori di fiere, i giornalisti e i blogger – è tutto un ecosistema dedicato al vino naturale che potrebbe essere minacciato”, ha commentato la minaccia dei dazi al 200 per cento Raisin, l’app diffusa in tutto il mondo che segnala locali, vignaioli e fiere di vino naturale.
Il Prosecco ha trovato una forte e crescente domanda nel mercato statunitense. I dazi potrebbero ostacolare l’accesso ai nostri prodotti e aumentare i costi per i consumatori.
Stefano Gava, direttore Generale di Val d’Oca
“Il settore del vino subirà dei danni enormi. Basti pensare che il prezzo dei nostri prodotti nel mercato Usa si attesta attorno ai 13-14 dollari e con i dazi rischiano di salire oltre i 15”, il commento di Giuseppe Bursi, Presidente di Cantine Settesoli (Agrigento). “La situazione è quindi complicata, mi auguro che l’Unione Europea intervenga con decisione sul tema”. Stefano Gava, direttore Generale di Val d’Oca (Valdobbiadene), ha sottolineato invece che “il Prosecco, simbolo della nostra tradizione vitivinicola e rappresentante di qualità e autenticità, ha trovato una forte e crescente domanda nel mercato statunitense. I dazi potrebbero ostacolare l’accesso ai nostri prodotti e aumentare i costi per i consumatori, riducendo il volume di vendite e danneggiando le relazioni commerciali che abbiamo costruito nel corso degli anni”.
A inizio aprile l’imposizione dei dazi per l’Italia è arrivata per davvero ed è stata del 20 per cento invece che del 200 per cento. Poteva andare peggio rispetto allo scenario prospettato, ma gli effetti negativi sulle realtà vitivinicole italiane si stanno facendo sentire ugualmente e molte cose cambieranno.
Siamo anche su WhatsApp.
Segui il canale ufficiale LifeGate per restare aggiornata, aggiornato sulle ultime notizie e sulle nostre attività.

Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.