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Cosa succede ora al ddl Zan. La battaglia contro l’omotransfobia non si ferma
Il ddl contro l’omotransfobia è stato affossato in Senato e l’iter dovrà ricominciare daccapo tra almeno 6 mesi. Ma Alessandro Zan non vuole mollare.
L’amarezza per l’epilogo della legge che portava il suo nome, probabilmente non è ancora svanita. Lo scorso 27 ottobre il Senato, con un voto segreto, ha definitivamente affossato la proposta di legge contro l’omotransfobia, la misoginia e l’abilismo, che era stata approvata per la prima volta alla Camera ben undici mesi fa, e le immagini dell’emiciclo trasformato in una curva da stadio hanno fatto il giro del mondo.
Fare la rassegna stampa estera all’indomani della sconfitta, per Alessandro Zan è stato difficile:
“Mi veniva la pelle d’oca a leggere i giornali internazionali che ci descrivevano come un paese arretrato – racconta – Ma siccome il paese reale è molto più avanti della politica e di quella orribile scena che abbiamo visto al Senato, con gente che applaudiva non per aver sconfitto l’omotransfobia ma perché ha affossato una legge, ecco perché noi, a partire dai giovani, dobbiamo cominciare una battaglia perché il paese non si merita questa immagine in giro per il mondo”.
Dopo l’affossamento in Senato, dovranno passare almeno sei mesi prima che un testo analogo possa essere di nuovo presentato, e discusso ex novo. E se allora mancassero ‘solo’ sei mesi meno due giorni a un nuovo ddl Zan, con questo o con un altro nome?
“Noi proveremo in tutti i modi a sfruttare e tutto il tempo utile, da qui alla fine della legislatura, per cercare di approvare una legge sapendo ovviamente le difficoltà che ci sono, perché tornando in commissione giustizia (al Senato, ndr) sotto la guida di Ostellari della Lega che non ha mai voluto una legge contro i crimini d’odio sarà tutto più difficile. Ma io penso che chi fa politica non possa arrendersi se crede in questi valori di civiltà, dunque io penso sia importante continuare questa battaglia fino all’ultimo minuto possibile”.
Rimane la grande domanda: come si è arrivati a tutto questo, se undici mesi fa lo stesso Parlamento di oggi, nell’altro ramo, aveva approvato questo stesso testo? Non c’è una risposta, o almeno non ce n’è una soltanto. C’è piuttosto un insieme di con-cause.
La reazione alle elezioni amministrative
L’ultima, la causa diretta, è prettamente politica: la votazione a scrutinio segreto con cui il Senato ha deciso di non procedere con l’esame della legge Zan. A chiedere il voto segreto, che si applica quando in ballo ci cono questioni che riguardano la sfera etica, sono stati la Lega e Fratelli d’Italia, ovvero un partito che fa parte della maggioranza e uno che fa parte dell’opposizione. Ma anche i senatori di Forza Italia (tranne Barbara Masini, che da tempo ha dichiarato la propria omosessualità) hanno votato con loro. I tre partiti di centrodestra, nelle elezioni amministrative delle scorse settimane, avevano pagato caro il fatto di avere linee diverse, e alla prima occasione utile hanno fatto fronte comune, vincendo.
L’elezione del presidente della Repubblica
Indirettamente, c’entra anche la lotta per il successore di Sergio Mattarella. Il presidente della Repubblica è entrato negli ultimi sei mesi del suo mandato, e non si ricandiderà. Ipotesi e trattative sul prossimo nome già circolano da tempo, e anche in questo caso il messaggio del centrodestra è stato chiaro: “uniti, il prossimo presidente della Repubblica lo scegliamo noi”. Tanto più che all’elezione del Capo dello Stato, oltre ai parlamentari, partecipano anche i delegati delle regioni italiane, governate in maggioranza proprio dal centrodestra.
Il cambio di maggioranza
Quando il ddl Zan fu approvato per la prima volta alla Camera, il presidente del Consiglio era ancora Giuseppe Conte, con la maggioranza formata da Partito democratico e Movimento 5 Stelle, insieme a Liberi e Uguali e Italia Viva: la cosiddetta maggioranza ‘giallorossa’ aveva una connotazione molto più progressista di quella attuale, in cui gli stessi partiti sono chiamati a mediare con altri spiccatamente conservatori.
Tanto è vero che uno dei fattori decisivi per il destino della legge Zan al Senato è stato aver trovato alla presidenza della Commissione Giustizia un leghista, Andrea Ostellari, fortemente contrario al testo uscito dalla Camera.
La prova di forza del centrosinistra
In queste condizioni, lo stallo in Commissione era apparso subito evidente. Lo scorso 7 luglio la maggioranza aveva respinto una proposta di mediazione del presidente Ostellari, che interveniva sui tre articoli più discussi del testo. La mediazione, appoggiata da tutto il centrodestra di maggioranza e anche da Italia Viva, che invece aveva votato a favore del ddl Zan alla Camera, puntava a:
- eliminare la definizione di identità di genere contenuta nell’articolo 1 (“Per identità di genere si intende l’identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione”);
- eliminare dall’articolo 4, relativo alle condotte riconducibili alla libertà di opinione ed espressione, la parte che recita: “Purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti”;
- lasciare autonomia alle scuole sulle iniziative per la giornata nazionale contro l’omo e transfobia, prevista dall’articolo 7, uno dei punti che era stato sottolineato con la matita rossa anche dal Vaticano.
Il centrosinistra, convinto di poter contare comunque sulla maggioranza, si è però sempre rifiutata di voler trattare e modificare anche solo in piccola parte il testo uscito dalla Camera. Facendo però evidentemente male i conti, come è stato evidente il 27 ottobre: più di qualcuno di chi si era dichiarato a favore, alla fine ha votato contro.
La questione etica
L’ultimo fattore è la questione etica, spesso richiamata dai critici nei punti riguardanti l’identità di genere e i presunti limiti alla libertà di espressione. Come detto, per procedere con il voto segreto (che evidentemente ha permesso a diversi parlamentari di centrosinistra, almeno 16, di votare contro per convinzione personale a discapito della linea indicata dal proprio gruppo) ci si è appellati al fatto che il ddl contro l’omotransfobia contenesse temi di carattere etico. Può aver influito, in questo, anche l’intervento del Vaticano che più volte, e ufficialmente con una nota di monsignor Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati, l’equivalente del nostro ministro degli Esteri, lo scorso 22 giugno, si era schierata contro il testo di Alessandro Zan.
Le critiche vertevano su alcuni punti tecnici (l’istituzione della Giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia e la trans fobia nelle scuole cattoliche) e soprattutto contestando che le norme del ddl Zan “addirittura attenterebbero, in senso più generale, alla libertà di pensiero della comunità dei cattolici”. Se invece che una questione etica, la lotta all’omotransfobia fosse stata considerata semplicemente una lotta per i diritti civili, non si sarebbe neanche potuti procedere al voto segreto.
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