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De Rocchi, Cobat. Riciclo batterie, così l’Italia può giocare un ruolo da protagonista
Intervista a Luigi De Rocchi della piattaforma italiana per l’economia circolare: “Per la mobilità elettrica è centrale il tema delle materie prime”.
Il riciclo delle batterie, ci spiega Luigi De Rocchi, è anche una questione di geopolitica. A fronte dello sviluppo crescente della mobilità elettrica, il litio e il cobalto stanno diventando preziosi come il petrolio. Materie prime sulle quali l’Europa, e in particolar modo l’Italia, non possono contare. Per questo motivo, l’R&D Manager di Cobat è convinto che è necessario accelerare sul tema del riciclo. Una questione fondamentale per garantire una più rapida diffusione della mobilità elettrica che sostenga l’Ue nella sfida epocale della transizione ecologica.
Si sostiene da sempre che uno dei più grandi limiti a uno sviluppo massivo dell’auto elettrica sia legato all’autonomia delle batterie. Quali sono stati i passi in avanti più importanti registrati negli ultimi anni?
Sul tema dell’autonomia, che in effetti è centrale per la diffusione della mobilità elettrica, negli ultimi anni la tecnologia ha fatto passi da gigante, consentendo di aumentare notevolmente la capacità di carica delle celle al litio. Difficilmente, però, si potranno migliorare in maniera considerevole le performance raggiunte: il prossimo passo sarà l’introduzione di nanotecnologie nella struttura del catodo per aumentarne la capacità di ricarica, oppure il passaggio a chimiche nuove.
Stiamo parlando quindi delle batterie allo stato solido. Potranno sostituire quelle agli ioni di litio? Quali sono le principali differenze fra le due tecnologie?
Le batterie allo stato solido sono ancora in fase di sperimentazione ma si registra un interesse sempre crescente, a livello di studi e di investimenti. Sicuramente presentano due vantaggi: possono essere ricaricate più velocemente e offrono maggiore sicurezza. Un accumulatore rischia di incendiarsi soprattutto per la combustione degli elettroliti, che sono materiali facilmente infiammabili; una batteria allo stato solido ha invece un elettrolita realizzato con materiali ceramici. Si tratta però di un prodotto nanotecnologico che deve essere particolarmente leggero e sottile: ciò non presenta problemi in caso di utilizzo stazionario, mentre su un’auto viene sottoposto a continue sollecitazioni.
Sempre a proposito dei limiti alla diffusione della mobilità elettrica, un’altra questione centrale è quella dei costi.
Anche da questo punto di vista è stata fatta molta strada: per quanto riguarda le batterie siamo passati dai 400 dollari per chilowattora del 2010 ai 130 dollari attuali, e tutto lascia pensare che in pochi anni si scenderà al di sotto del muro dei 100 dollari. Ciò determinerà una maggiore competitività rispetto a un’auto tradizionale, senza peraltro considerare l’impatto ambientale dell’intera vita del veicolo. Oltretutto, se si spingerà con decisione sul tema del “second life” delle batterie, ciò trasferirà i costi di fine vita sugli operatori che se ne occuperanno: questo si ripercuoterà positivamente sui prezzi di produzione a monte, e quindi sui costi di acquisto per i clienti finali.
Un recente studio dell’International council on clean transportation è giunto alla conclusione che, già oggi, le auto elettriche inquinano meno di quelle tradizionali nell’intero ciclo di vita. Cosa ne pensa?
Sono d’accordo, a patto però che si utilizzi il giusto mix energetico. La produzione delle auto elettriche e delle batterie sono fasi altamente energivore, e molti dei paesi leader nella produzione hanno un mix ancora molto orientato sul fossile. La questione non investe solo la mobilità elettrica, ma il sistema energetico nel suo complesso. Anzi, l’e-mobility potrà sostenere la transizione, per esempio con il riutilizzo di pacchi batterie a fine vita come sistemi di accumulo da affiancare alle fonti rinnovabili.
Come si evolverà la mobilità elettrificata nei prossimi anni?
Non solo nell’Unione Europea, anche negli Stati Uniti e in Cina ci sono ormai forti politiche di incentivazione per elettrificare il comparto automotive. La fase di transizione durerà almeno per un decennio, con i veicoli ibridi e plug-in che rappresenteranno un buon compromesso, soprattutto per l’utilizzo cittadino. Ma restano centrali i temi dell’infrastrutturazione e dell’urbanizzazione, soprattutto in un paese come l’Italia nel quale, ad esempio, poche persone hanno un garage di proprietà nel quale poter ricaricare il proprio mezzo. Ed è fondamentale anche la questione dell’approvvigionamento delle materie prime.
Parla del litio e del cobalto?
Esattamente. Sia il litio che il cobalto sono concentrati in poche nazioni del mondo e si sta creando un nuovo equilibrio geopolitico, come è avvenuto con il petrolio. Il cobalto, oltretutto, ha un impatto ambientale non indifferente e infatti già si immagina che possa essere sostituito da altri metalli. Di conseguenza, per non frenare lo sviluppo dell’auto elettrica bisogna spingere anche sul tema del riciclo.
Soprattutto in Italia e in Europa, dove queste materie prime mancano…
La chiave è proprio quella di rendere meno stringente la dipendenza economica dei produttori europei rispetto ai mercati asiatici: la maggior parte delle batterie arrivano dalla Cina e dalla Corea del Sud, dove peraltro il costo del lavoro è molto più basso, mentre una produzione più euro-centrica ci garantirebbe maggiore autonomia. Si tratta di una sfida difficile ma fondamentale, se davvero l’Ue vuole percorrere la strada epocale della transizione ecologica.
Nel processo di riciclo delle batterie al litio, un’altra tematica centrale è quella della sicurezza, soprattutto rispetto al rischio di incendi e di incidenti. Come si è organizzata la filiera?
Ormai oltre alle leggi, ci sono conoscenze tecniche che consentono di gestire al meglio il processo. Quando è montata su un’auto, una batteria ha dei sofisticati sistemi di controllo che riducono al minimo il rischio di incendi, anche in caso di incidente. Il problema nasce quando viene smontata per avviarla a riciclo, perché non “comunica” più con l’auto. Per il trasporto esistono tre gradi di rischio crescenti a seconda dello stato di salute dell’accumulatore, e per il più grave Cobat ha realizzato e brevettato dei particolari contenitori di acciaio che garantiscono la sicurezza.
Fino a che punto si è spinta l’industria del riciclo?
Attualmente la normativa impone il riciclo del 50 per cento dei materiali rispetto al peso della batteria, senza entrare nel merito di cosa venga recuperato. Ma entro il prossimo anno è atteso un nuovo regolamento europeo che, per la prima volta, introdurrà dei target specifici sul riciclo dei metalli, dal litio al cobalto, fino al nickel. Un altro tema da rimarcare è che solo pochi impianti di riciclo si possono occupare dell’intero processo: ci si concentra sul trattamento meccanico della batteria per recuperare alcuni materiali, mentre l’aspetto chimico viene affidato a impianti di idrometallurgia, un passaggio che rende il processo meno efficiente e più costoso.
Va in questa direzione l’accordo tra Cobat e Cnr?
Sì, con il pre-trattamento termico delle batterie il litio finisce per perdersi nei fumi. Noi abbiamo studiato un approccio diverso che ci consente, in un unico processo basato sulla tecnologia idrometallurgica, di massimizzare il recupero di tutti i materiali e anche del litio, sotto forma di carbonato. Lo abbiamo testato in laboratorio e ora con un partner industriale stiamo lavorando alla realizzazione di un impianto pilota, che sarebbe strategico per il nostro paese.
Strategico per il discorso geopolitico che abbiamo fatto in precedenza?
Assolutamente, perché difficilmente l’Italia potrà ritagliarsi uno spazio come leader europeo nella produzione di celle: con le gigafactory i giochi francamente mi sembrano fatti. Forti invece della nostra grande esperienza sul tema del riciclo, possiamo giocare un ruolo da protagonista nel campo del riciclo degli accumulatori e del riutilizzo dei pacchi batterie.
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