
La mancanza di dati ufficiali è un problema per il controllo del mercato legale di animali, soprattutto per le catture di quelli selvatici.
La scomparsa di squali e razze dipende soprattutto dalla pesca eccessiva. Il riscaldamento globale invece sta costringendo gli squali bianchi a migrare.
Il declino di squali e razze sul nostro Pianeta si avvicina ormai al “punto di non ritorno”. È quanto sostiene un team internazionale di scienziati che a fine gennaio ha pubblicato un allarmante studio sulla rivista Nature. In base alle ricerche svolte, il numero di questi animali marini è diminuito del 71,1 per cento fra il 1970 e il 2018. 24 specie su 31 rischiano l’estinzione; molte di queste sono classificate come “in pericolo critico” nella lista rossa dell’Unione internazionale per la conservazione della natura: si tratta del più alto grado di rischio.
“È un dato spaventoso, più grave di quelli riguardanti la maggior parte degli elefanti e dei rinoceronti, specie talmente iconiche da garantirsi grandi sforzi per la loro conservazione. Se non facciamo qualcosa subito anche per gli squali, sarà troppo tardi”, avverte Nicholas Dulvy, uno dei biologi che hanno condotto lo studio.
Le minacce principali per la fauna marina sono le attività umane, i cambiamenti climatici, l’inquinamento – anche quello acustico – e la pesca eccessiva. In particolare, gli squali vengono cacciati per la loro carne, per l’olio di fegato e per le loro pinne, ingrediente principale di una zuppa molto apprezzata in Asia.
Nella medicina tradizionale cinese vengono impiegate anche le piastre branchiali del trigone, una razza conosciuta comunemente come pastinaca. Gli squali soffrono particolarmente a causa di queste pratiche poiché la loro popolazione cresce lentamente; possono passare diversi anni, anche decenni, fra la nascita di un esemplare e quella del suo primo figlio.
Fortunatamente, non tutte le specie sono in diminuzione. Fra queste c’è il grande squalo bianco (Carcharodon carcharias) che, però, sta modificando le sue abitudini per colpa del riscaldamento globale, come dimostra una ricerca pubblicata su Scientific reports. L’aumento delle temperature oceaniche, da record nel 2020, sta causando la migrazione del più grande pesce predatore esistente sul Pianeta. Dal 2014, lungo le coste della California, gli squali bianchi si sono spostati di circa 600 chilometri più a nord, in acque prima troppo fredde.
Il problema è che questo minaccia gli animali di cui si cibano, come le lontre di mare, le cui doti d’ingegneria sono fondamentali per gli ecosistemi di cui fanno parte, ma il cui numero è calato dell’86 per cento nella baia di Monterey. Gli squali vivono infatti a temperature comprese fra i 15 e i 22 gradi, ma le acque californiane con una temperatura simile si sono ridotte del 5 per cento. Questo significa che c’è meno spazio per i predatori, che finiscono per trovarsi compressi con le loro prede in un areale decisamente più ridotto.
Questo fenomeno sta profondamente alterando l’habitat oceanico, e gli scienziati sono convinti che gli squali siano soltanto la punta dell’iceberg. “Non sono loro il problema. Il problema sono i cambiamenti climatici”, spiega Kyle Van Houtan, dell’acquario della baia di Monterey. Finora le politiche adottate dai governi non sono state sufficienti. Prima di tutto serve che i trattati sulla tutela degli oceani vengano rispettati, e poi servono delle leggi che tutelino gli squali e le razze in particolare, ponendo dei limiti alla loro cattura.
Il dato positivo è che, senza l’aiuto delle persone che hanno segnalato i propri avvistamenti di squali, scoprire l’evoluzione dei loro comportamenti sarebbe stato praticamente impossibile. Questo dimostra che tutti possono contribuire, a modo loro, alla lotta per la salvaguardia della biodiversità.
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