La Cop16 sulla biodiversità si conclude con pochi passi avanti. Cosa resta, al di là della speranza?
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Rispetto al 1970, negli Usa e in Canada ci sono 2,9 miliardi di uccelli in meno. Il dato sconcertante arriva da un articolo pubblicato su Science.
Alzare gli occhi al cielo e ammirare il passaggio di uno stormo di uccelli. Oggi è un gesto abitudinario, quasi banale, ma il futuro potrebbe rivelarsi molto diverso. A suggerirlo è uno studio pubblicato su Science, che raggiunge conclusioni sconcertanti: negli ultimi cinquant’anni, negli Stati Uniti e in Canada sono scomparsi 2,9 miliardi di uccelli.
Si tratta della ricerca più completa mai realizzata su questo tema, sulla quale si è messo all’opera un team di ricercatori provenienti da università, agenzie pubbliche e organizzazioni non profit.
Come prima cosa, gli autori hanno studiato i database relativi a 592 specie di uccelli nel periodo 2006-2015. Si tratta del 76 per cento di quelle presenti tra Usa e Canada, quasi la totalità a livello quantitativo (tutte le altre, infatti, contano un numero molto ridotto di esemplari). Attingendo ai registri del bird watching sono stati poi in grado di tornare indietro nel tempo fino al 1970. Il verdetto è chiaro: se è vero che poche specie sono riuscite a prosperare, la stragrande maggioranza ha vissuto un netto calo.
Questi dati sono stati poi incrociati con quelli dei radar meteo di 143 stazioni disseminate nel territorio statunitense. Le rilevazioni sono relative al decennio 2007-2018 e si sono focalizzate soprattutto sulla primavera, che è la stagione delle migrazioni. Queste strumentazioni hanno misurato un declino del 14 per cento, perfettamente coerente con quello dei database del bird watching. Sull’affidabilità dei numeri, quindi, ci sono pochi dubbi.
Complessivamente, dal 1970 ad oggi Usa e Canada hanno perso il 29 per cento degli esemplari. Tra i gruppi più colpiti, con un crollo di 617 milioni di unità, c’è quello degli uccelli canori (che comprende, tra gli altri, allodola, rondine, pettirosso e cinciallegra). Rispetto al passato, oggi si contano 440 milioni di merli e 83 milioni di storni in meno. Secondo Kevin Gaston dell’università di Exeter, non è da escludere che un fenomeno paragonabile si stia verificando anche in Europa.
Qualche sporadico segnale di ottimismo arriva dal monitoraggio di aquila calva, falcone e uccelli acquatici, che mostra invece un incremento numerico. Alcuni casi sono merito delle misure di conservazione messe in atto con successo negli ultimi anni. Altri sono più difficili da spiegare, come il +53 per cento della popolazione di vireoni, che pure abitano nello stesso habitat degli uccelli canori.
Come chiarisce il New York Times, l’obiettivo dello studio era quello di fare un conteggio numerico e non di individuare le cause di questo fenomeno. A giudicare dalla tipologia di specie che stanno sparendo, tuttavia, appare molto probabile che i motivi principali siano due: la perdita di habitat e l’uso massiccio di pesticidi in agricoltura. D’altra parte, solo pochi giorni fa è stato pubblicato un altro studio sui neonicotinoidi, già tristemente famosi perché contribuiscono alla moria delle api. Secondo questa nuova analisi, gli uccelli canori che mangiano semi trattati con i neonicotinoidi perdono peso e devono quindi ritardare la migrazione, cosa che potrebbe compromettere la loro sopravvivenza e la loro capacità di riprodursi.
“Il declino della popolazione dei comuni passeri o di altri volatili bruni di piccole dimensioni magari non riceve la stessa attenzione rispetto alla storica scomparsa di aquile calve o gru canadesi, ma avrà un impatto di gran lunga superiore”, spiega al quotidiano newyorkese Hillary Young, biologa conservazionista dell’università della California a Santa Barbara, che non ha contribuito alla ricerca pubblicata su Science. Le specie più comuni, infatti, tengono sotto controllo i parassiti, favoriscono l’impollinazione, disperdono i semi e contribuiscono, così, a rigenerare le foreste. Scomparsi i volatili, gli ecosistemi non sono più gli stessi.
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