Il decreto Lavoro varato il Primo maggio taglia le tasse ai lavoratori, ma solo per 6 mesi.
Il provvedimento cancella il reddito di cittadinanza, ma introduce altri sostegni.
Sarà più facile avere un contratto a termine, ma più difficile averlo a tempo indeterminato.
L’intervento dedicato al mondo del lavoro più importante degli ultimi anni o un sostegno al precariato? Spenti gli ultimi amplificatori del concerto del Primo maggio di piazza San Giovanni a Roma, nelle orecchie rimangono, oltre all’eco delle canzoni, anche le voci (discordanti) sul cosiddetto decreto Lavoro che il consiglio dei ministri (cdm) ha varato, in via eccezionale, proprio nel giorno della Festa dei lavoratori.
Concerto del Primo maggio 2023 – Carlo Rovelli, la guerra e l'invito ai giovani – Video – RaiPlay https://t.co/o9EiJvaLrF.
Di “intervento più importante degli ultimi anni” parla la presidente del consiglio dei ministri Giorgia Meloni, riferendosi in particolare al taglio dei contributi a carico del dipendente per i redditi più bassi, in pratica uno sconto sulle tasse in busta paga. Di “decreto precariato” parlano le opposizioni e anche i sindacati, in particolare per quanto riguarda la possibilità, data alle aziende, di raddoppiare la durata dei contratti a tempo determinato, dagli attuali 12 a 24 mesi, e la reintroduzione dei cosiddetti voucher. Ma nel decreto – o meglio, nel comunicato emesso al termine del consiglio dei ministri, perché il testo definitivo del decreto deve ancora essere pubblicato – c’è anche molto altro, a partire dalla definitiva sostituzione del reddito di cittadinanza con altri tipi di sostegni di inclusioni e incentivi alla formazione. Vediamoli.
Primo maggio: il Governo festeggia con i fatti. Anche oggi al lavoro per migliorare la condizione dei lavoratori. #1maggiopic.twitter.com/1nJmb14UDl
La parte più nota del decreto riguarda le misure volte a ridurre il cuneo fiscale. Il cuneo fiscale, per fare un po’ di chiarezza, è la differenza tra lo stipendio lordo pagato dal datore di lavoro e la cifra netta che poi finisce effettivamente nelle tasche (o meglio nel conto corrente) del lavoratore: quella differenza è la somma delle tasse, dirette o indirette, e dei contributi pagati dal lavoratore. I lavoratori dipendenti con redditi fino a 35mila euro lordi annui (pari a 1.923 euro per t
redici mensilità) usufruiranno di un taglio di 6 punti dei contributi a proprio carico, quelli con redditi fino a 25mila euro di 7 punti: in entrambi i casi, 4 punti in più rispetto al primo taglio già effettuato a dicembre in legge di bilancio. “Se parliamo di un lordo di 1.800 euro al mese, sono circa 75 euro netti in più in busta paga”, spiega Andrea Barbuscia, presidente dell’associazione Giovani consulenti del lavoro di Roma.
La ministra del Lavoro Marina Calderone ha detto che il governo sta studiando un modo per estendere il taglio del cuneo fiscale di 4 punti, introdotto con il decreto 1 maggio, al 2024 https://t.co/0RooPH5gpj
Da sottolineare però che questa misura non sarà strutturale, ma provvisoria: il decreto prevede infatti che il taglio entra in vigore da luglio e si esaurisce a fine dicembre, per un totale di sei mensilità (la tredicesima è esclusa). Questa è una delle critiche che sindacati e opposizioni rivolgono al provvedimento, che sconta i pochi fondi a disposizione, quei 4 miliardi di euro ricavati dallo scostamento di bilancio faticosamente approvato dal Parlamento a fine aprile. 75 euro per sei mesi, dunque: 450 euro in tutto che “comunque sono soldi netti che finiscono nelle tasche dei cittadini con redditi meno alti – sottolinea Barbuscia –. A fine anno vuol dire poter pagare l’assicurazione dell’automobile, o qualcos’altro”.
Per i lavoratori dipendenti il governo conferma anche l’incremento della soglia dei fringe benefit, quella forma di welfare aziendale extra reddito come buoni pasto, auto aziendali, assistenza sanitaria: fino a tremila euro non saranno tassabili, ma esclusivamente per i lavoratori dipendenti con figli a carico.
Il superamento del reddito di cittadinanza
Un’altra grande novità riguarda il superamento – da tempo annunciato – del reddito di cittadinanza, introdotto nel 2018 dal governo gialloverde, ovvero guidato da Lega e Movimento 5 stelle. Dal 1 gennaio 2024 questo sostegno sarà sostituito da una integrazione al reddito in favore dei nuclei familiari che comprendano una persona con disabilità, un minorenne o un ultra-sessantenne e che siano in possesso di determinati requisiti, tra cui condizioni economiche precarie (non c’è una soglia nel comunicato del cdm, ma le bozze dei giorni precedenti parlavano di Isee sotto i 10mila euro) e stato di residenza (da almeno 5 anni in Italia). Il beneficio mensile, di importo non inferiore a 480 euro all’anno, sarà erogato per un periodo massimo di 18 mesi continuativi, con la possibilità di un rinnovo per ulteriori 12 mesi.
Prima dell'entrata in vigore dell'assegno di inclusione il 1 gennaio 2024 per i beneficiari non occupabili reddito di cittadinanza fino a fine 2023 senza limite delle 7 mensilità introdotto della legge di bilancio. Lo prevede bozza del decreto lavoro #ANSAhttps://t.co/lHpKqeHoqp
Chi percepiva il reddito di cittadinanza, ma ha meno 60 anni e nessuna fragilità che lo renda inadatto al lavoro (i cosiddetti “occupabili”) sarà invece obbligato ad accettare la prima offerta di lavoro a tempo pieno o parziale a tempo indeterminato, su tutto il territorio nazionale o a tempo determinato, se il luogo di lavoro non dista oltre 80 chilometri dal domicilio. Pena: la perdita del sostegno. Chi assume un beneficiario di questo sostegno, inoltre, potrà usufruire di incentivi. Ai patronati, alle associazioni senza fini di lucro e agli altri enti di mediazione sarà riconosciuto, per ogni persona con disabilità assunta a seguito dell’attività da loro svolta, un contributo compreso tra il 60 e l’80 per cento di quello riconosciuto ai datori di lavori.
Un terzo tipo di sostegno al reddito riguarderà gli “occupabili” che non rientrano nelle altre categorie: a loro verrà riconosciuto un diverso contributo, di 350 euro al mese per un anno al massimo, volto a sostenere il percorso di inserimento lavorativo, attraverso la partecipazione a progetti di formazione, di qualificazione e riqualificazione professionale, di orientamento, di accompagnamento al lavoro e di politiche attive, tra cui il Servizio civile universale. Inoltre, per favorire l’occupazione giovanile sono previsti incentivi pari al 60 per cento della retribuzione per un periodo di 12 mesi, a favore dei datori di lavoro che assumono giovani sotto i trenta anni di età. Anche in questo caso Barbuscia difende il provvedimento, perché “pur eliminando il reddito di cittadinanza, mantiene una tutela per le famiglie numerose e con disabili, e sprona gli occupabili a partecipare a corsi di formazione”.
Voucher e contratti a termine
La parte del decreto che più ha fatto parlare di “incentivo al precariato” è però quella che riguarda i contratti di lavoro a termine e i voucher. Questi ultimi, nati nel 2008 come ‘buoni lavoro’ per regolarizzare stagionali o lavoratori a ore (camerieri, braccianti, colf), eliminati nel 2017 e reintrodotti, per le baby sitter, in pandemia nel 2020, tornano a essere potenziati dopo essere stati reintrodotti a dicembre nel turismo e in agricoltura, con soglie fino a 15mila euro per chi opera nei settori dei congressi, delle fiere, degli eventi, degli stabilimenti termali e parchi di divertimento.
Per quanto riguarda i contratti a tempo, il decreto infatti autorizza la stipula di contratti a tempo determinato non più fino a 12 mesi ma fino a 24, comprese le proroghe e i rinnovi. Il tutto senza le cosiddette causali, ovvero senza che il datore di lavoro debba giustificare l’assunzione: le causali, che rendevano necessaria una specifica autorizzazione da parte di una Commissione e che quindi tutelavano il lavoratore nel riconoscimento di un contratto a tempo indeterminato, erano state eliminate dal jobs act del 2015, e poi almeno parzialmente reintrodotte, limitatamente al rinnovo dopo 12 mesi, dal decreto Dignità del 2018.
“Il paese ha bisogno di migliorare la qualità dei rapporti di lavoro e lo avevamo fatto nel 2018 con il decreto Dignità. Adesso torniamo indietro al jobs act di Renzi ed è singolare ci sia questo dolce abbraccio politico con Meloni a 10 anni di distanza.” #Contepic.twitter.com/DW2ql4C8En
Con il nuovo decreto sarà possibile rinnovare i contratti a termine se questo avviene nei casi previsti dai contratti collettivi, per sostituire altri lavoratori, ma anche per “per esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva, individuate dalle parti, in caso di mancato esercizio da parte della contrattazione collettiva”: quest’ultimo punto, secondo i critici, esporrebbe i lavoratori privi di rappresentanza sindacale alla volontà del datore di lavoro, che potrebbe decidere in totale libertà.
Il decreto aumenta il lavoro o il precariato?
Critiche infondate, secondo il presidente dei Giovani consulenti del lavoro di Roma, per cui anzi il decreto “non aumenterà la precarietà, perché oggi tanti contratti si esauriscono dopo 12 mesi invece così si dà la possibilità di avere una coda, se non sarà usato in maniera strumentale”. Anzi, “eliminando quelle criticità del decreto Dignità si dà possibilità di contrattazione anche oltre i 12 mesi: di fatto si mette nelle mani dei sindacati maggiore rilevanza, quindi invece di criticare dovrebbero essere contenti”. Di fatto, è un po’ come decidere di vedere il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto: se prima, al termine di un contratto di 12 mesi, si poteva sperare di ottenere un indeterminato sapendo però di rischiare anche di rimanere a casa, con la nuova legge sarà più facile ottenere altri 12 mesi. Ma sarà anche più difficile avere l’agognato tempo indeterminato.
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