Sei anni fa l’Indonesia era avvolta dal fumo degli incendi, oggi viene citata come esempio per la lotta alla deforestazione. Ma il quadro resta delicato.
È l’autunno 2015 e vaste zone dell’Indonesia sono avvolte da una foschia tossica color seppia. Gli ospedali sono affollati di pazienti alle prese con problemi respiratori, gli oranghi scappano dagli alberi su cui sono sempre vissuti. È l’impatto devastante dei roghi che per oltre due mesi hanno inghiottito milioni di ettari di foresta. Aprile 2021, il World resources institute pubblica il Global forest review, l’atlante sulle condizioni delle foreste nel mondo, in cui elogia l’Indonesia indicandola come l’esempio da seguire per i suoi brillanti risultati nella lotta alla deforestazione. Cerchiamo di capire cos’è cambiato in questi sei anni e se questi progressi sono destinati a durare.
Dai roghi impressionanti alla moratoria sull’olio di palma
Le conseguenze degli incendi del 2015 in Indonesia assumono i contorni di un bollettino di guerra. Sono stati dati alle fiamme oltre 2,6 milioni di ettari di foreste, torbiere e altri terreni. Sono all’incirca le dimensioni del Montenegro, moltiplicate per due. Nel mese di ottobre le emissioni si attestavano su una media di 15,95 milioni di tonnellate di CO2 al giorno, più di quelle dell’intera economia statunitense. L’aria che si respirava nelle vicinanze dei roghi si manteneva perennemente al di sopra di un punteggio di 1.000 nell’indice di qualità dell’aria Psi (Pollutant standards index); la soglia di tossicità è 300.
Su chi sia stato il responsabile di questo disastro ambientale ci sono pochi dubbi. Appena placate le fiamme, sui terreni ricoperti di rami inceneriti già spuntavano le prime piantine di palme da olio. Anche per i produttori di polpa di cellulosa rimpiazzare le foreste con le sterminate piantagioni era una prospettiva molto allettante.
Da qui la presa di posizione del governo indonesiano che ha introdotto una moratoria temporanea sulle licenze per le nuove piantagioni di palma da olio e una seconda moratoria, stavolta permanente, sulla conversione di foreste primarie e terreni torbosi.
Grandi risultati nella lotta alla deforestazione in Indonesia
I risultati sono stati immediati. Stando al Global forest review, il picco della deforestazione in Indonesia è stato raggiunto nel 2016 con la distruzione di 929mila ettari di foreste primarie umide. Già l’anno successivo questo dato era crollato fino a 373mila ettari, continuando poi a decrescere stabilmente fino ai 270mila ettari del 2020. Quattro anni consecutivi di deforestazione in calo sono un’eccezione, sottolinea il report, non certo la regola. Nel 2020 ha giocato a favore delle foreste anche un clima umido che ha reso più difficoltoso il propagarsi degli incendi; era successo il contrario nel 2019.
Le foreste primarie, che numericamente rappresentano circa il 26 per cento delle foreste globali, si distinguono perché sono intoccate dall’agricoltura e dall’industria. Le loro particolari caratteristiche le rendono capaci di assorbire CO2 per i secoli a venire, in modo molto più incisivo rispetto a qualsiasi altra area ricoperta da alberi. Proteggerle, quindi, significa fare un investimento nel futuro del clima.
È quello che ha fatto il governo di Giacarta, da un lato con le moratorie e dall’altro con le riforme sociali e agrarie che hanno alleviato la povertà e incoraggiato l’uso sostenibile del suolo. Nel 2020 il mandato dell’Agenzia per il ripristino delle torbiere è stato prorogato per altri quattro anni e il suo raggio d’azione è stato allargato fino a comprendere anche le mangrovie. Sono andati nella stessa direzione anche diversi regolamenti adottati su scala locale.
Sulla deforestazione in Indonesia non è stata detta l’ultima parola
Tirare un sospiro di sollievo è lecito, ma non è un buon motivo per abbassare la guardia. Il caso del Brasile è emblematico. Nel periodo compreso tra il 2004 e il 2016 ha fatto passi da gigante, passando da 2 milioni a 830mila ettari di foresta umida primaria distrutti in un anno, ma ben presto ha vanificato quasi del tutto questi progressi. La curva della deforestazione infatti è tornata a impennarsi verso l’alto fino agli 1,7 milioni di ettari del 2020, con un aumento pari addirittura al 25 per cento rispetto all’anno precedente.
— Global Forest Watch (@globalforests) April 9, 2021
Ora l’Indonesia, come le altre economie mondiali, sta cercando di risollevarsi dalla crisi pandemica. A novembre ha varato una legge ‘omnibus’ orientata a ridare slancio alle imprese, attrarre investimenti e creare posti di lavoro, alleggerendo parecchio i vari iter burocratici e amministrativi. Peccato, però, che anche alcune normative a tutela dell’ambiente abbiano fatto le spese di quest’ondata di semplificazioni.
Sempre in considerazione dell’emergenza Covid, il governo ha promesso di fermare sul nascere il problema dell’insicurezza alimentare. A tale scopo, ha individuato vaste aree da convertire alla produzione agricola: si parla di 770mila ettari nel Kalimantan centrale, 2 milioni a Papua e 32mila nella Sumatra settentrionale. In passato, denunciano alcune associazioni ambientaliste, simili progetti si sono rivelati “un disastro sociale e ambientale”. Ben poco il cibo realmente prodotto, a fronte di vaste aree forestali date alle fiamme.
— Global Forest Watch (@globalforests) April 9, 2021
Il prezzo dell’olio di palma torna a salire
L’osservato speciale, però, è sempre l’olio di palma. La moratoria ha avuto un peso, evitando almeno in parte che si sacrificassero foreste vergini per fare spazio a nuove piantagioni. Parte del merito va anche a tutte quelle persone che, da un capo all’altro del Pianeta, hanno contribuito a una gigantesca mobilitazione dal basso sul tema. Se innumerevoli aziende hanno eliminato quest’ingrediente dalle ricette dei prodotti da forno o dalla formulazione dei detergenti, infatti, è proprio grazie alla pressione da parte dei consumatori.
Da tempo i prezzi di questa materia prima sono in calo, facendone un business poco appetibile. In questi ultimi mesi però si sono risollevati fino a toccare i livelli del 2012, uno degli anni peggiori in quanto a deforestazione. Questo accade proprio mentre la moratoria si avvicina alla sua scadenza e non è chiaro se verrà rinnovata.
Interpellati dalla testata Mongabay, gli ambientalisti invitano quindi a non abbassare la guardia. Il fatto che il suo ritmo sia rallentato non deve farci dimenticare che, comunque, la deforestazione in Indonesia esiste. Le nationally determined contributions (cioè gli obiettivi di riduzione delle emissioni nell’ambito dell’Accordo di Parigi) lasciano inoltre spazio alla distruzione di 325mila ettari di foresta ogni anno. Da qui al 2030 il totale ammonterebbe quindi a 3,25 milioni di ettari, una superficie più grande di quella del Belgio. Tutto questo rispettando a menadito gli impegni presi. Insomma, la battaglia in difesa delle foreste del Sudest asiatico è ben lontana dal dirsi conclusa.
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