La perdita di foreste è peggiorata nel 2022, nonostante gli impegni internazionali sulla deforestazione

Nel 2022 è sparita un’area di foresta pluviale grande quanto la Svizzera. Brasile, Rdc e Bolivia guidano questa triste classifica.

  • Pubblicati i dati del Global Forest review sulla deforestazione.
  • Nel 2022, la deforestazione è cresciuta del 10 per cento rispetto all’anno precedente.
  • Gli accordi internazionali per eliminare il problema entro il 2030, non stanno funzionando.

Nonostante le promesse e gli obiettivi di protezione, nel 2022 è stata disboscata un’area delle dimensioni della Svizzera. Parliamo di 4,1 milioni di ettari, più del 10 per cento rispetto all’anno prima, e parliamo solo di foreste pluviali primarie, le più “incontattate” della Terra. Le cause della deforestazione sono note: nuovi allevamenti di bestiame, espansione agricola ed estrazione mineraria. Dall’Amazzonia al Ghana è sparito l’equivalente di 11 campi da calcio ogni minuto. Inutile ricordare che le foreste pluviali sono gli ecosistemi più ricchi di biodiversità al mondo, oltre che essere tra i maggiori “contenitori” di CO2. Questo significa che l’essere umano sta distruggendo uno degli strumenti più efficaci nella mitigazione del riscaldamento globale.

A rivelare questo triste traguardo sono i dati raccolti dal World Resources Institute (Wri) insieme all’Università del Maryland e pubblicati nell’annuale Global Forest review. A poco – per non dire nulla – sono serviti gli accordi sulle deforestazione: uno dei più recenti è stato siglato tra Brasile, Indonesia e Repubblica democratica del Congo, a novembre dell’anno scorso a margine della Cop 27. Un déjà vu, dal momento che già l’anno prima, durante la Cop 26 di Glasgow, era stato redatto il Global deforestation pledge al quale aderirono oltre 100 leader globali, tra cui Joe Biden, Xi Jinping e Jair Bolsonaro, i quali si erano impegnati per invertire la deforestazione entro il 2030, attraverso una serie di azioni che interessavano oltre il 90 per cento delle foreste del mondo. Ora possiamo dirlo: quel piano è fallito.

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Perdita di foresta primaria tropicale dal 2002 al 2022 © World resource institute

Il Brasile è il paese con più deforestazione

Brasile, Repubblica Democratica del Congo e Bolivia (uno dei pochi paesi a non aver sottoscritto gli impegni della Cop26 sulla deforestazione) sono in testa alla classifica per la perdita di foreste primarie tropicali nel 2022. Indonesia e Malesia sono riuscite a mantenere ridurre i tassi di perdita, dopo aver adottato significative azioni negli ultimi anni. Risultati positivi arrivano anche dall’Africa, in particolare dal Gabon e dal Congo. Il Ghana, invece, che è uno dei principali produttori di cacao, negli ultimi anni ha assistito al più grande aumento relativo alla perdita di foreste, sebbene le cifre assolute siano molto minori rispetto ad altri paesi.

Il Brasile domina le perdite di foresta tropicale primaria e nel 2022 questa è aumentata di quasi il 15 per cento. Nello stato di Amazonas, che ospita oltre la metà delle foreste intatte del Brasile, il tasso di deforestazione è quasi raddoppiato negli ultimi tre anni. In Bolivia, gli incendi boschivi e le coltivazioni di soia hanno aumentato la deforestazione di oltre il 30 per cento.

E poi ci sono i territori indigeni minacciati, perché tagliare alberi significa privare le popolazioni native delle loro terre. I conservatori brasiliani stanno tentando di introdurre una legge, conosciuta come marco temporal, per privare gli indigeni del loro diritto a vivere nelle proprie terre.

Nel 2022, nella sola Amazzonia, i territori di Apyterewa, Karipuna e Sepoti hanno tutti registrato livelli record di perdita di foresta primaria correlata alla deforestazione. La perdita primaria di foreste dovuta all’attività mineraria è visibile anche nel territorio indigeno Yanomami, al centro di un’operazione governativa d’inizio 2023 con il fine di cacciare i minatori illegali.

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Alla Cop26 di Glasgow, più di 100 leader globali hanno firmato un accordo per fermare la deforestazione entro il 2030 © EVAN VUCCI/POOL/AFP via Getty Images

Il Brasile potrebbe aver già superato il punto di non ritorno

L’ex-presidente Jair Bolsonaro ha lasciato in eredità al suo paese livelli record di deforestazione (addirittura a un ritmo di 21 alberi abbattuti ogni secondo) che il nuovo leader Lula da Silva si è impegnato a invertire. Per ora i risultati sono promettenti: dal momento dell’insediamento dell’ultimo presidente, il disboscamento in Brasile è crollato del 68 per cento.

Ciò nonostante il Brasile rimane per ora il paese con il più alto tasso di deforestazione, anche se ha promesso di porre fine alla deforestazione in Amazzonia e in altri biomi entro il 2030. Non sarà un compito facile e i primi risultati tangibili non saranno visibili prima del 2024. Ma soprattutto la speranza è che i danni compiuti negli ultimi 20 anni (nel 2022, il Brasile ha rappresentato il 48 per cento delle perdite globali di foresta pluviale primaria) non abbiano già comportato il superamento di un “tipping point”, ovvero di un punto di non ritorno. Perché questo significherebbe che l’Amazzonia stia già diventando, poco a poco, una savana.

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Manifestazioni contro Bolsonaro e la deforestazione a Washington © Aurora Samperio/NurPhoto via Getty Images

Quali soluzioni?

Quello che la comunità di scienziati ci sta dicendo è che se non fermiamo la deforestazione sarà molto improbabile limitare l’aumento del riscaldamento a 1,5 gradi rispetto ai livelli preindustriali. Quali sono, però, le soluzioni? Inger la Cour Andersen, direttrice esecutiva del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (Unep), sostiene che aumentare i valore dei famigerati carbon credit legati a progetti di riforestazione e afforestazione aiuterebbe paesi come il Gabon o il Brasile a proteggere le proprie foreste.

Giorgio Vacchiano, ricercatore forestale, sulla deforestazione nel mondo nel 2022 e sul ruolo dei paesi del sud del mondo.

Ma al di là della cifra enorme richiesta per il mantenimento (che per esempio il report della coalizione Energy transition commissions calcola circa 130 miliardi di dollari l’anno; cifre simili sono quelle comunicate dalla Coalition of Rainforest Nations), ci sono forti dubbi sull’efficacia di queste misure: pochi mesi fa, un’inchiesta del settimanale tedesco Die Zeit ha svelato come più del 90 per cento dei progetti di riforestazione legati ai crediti di carbonio sono in realtà sovrastimati.

C’è da dire che proprio nell’ultimo accordo sottoscritto, dagli esperti battezzato “l’Opec della conservazione forestale”, Brasile, Indonesia e Rdc hanno deciso di controllare i prezzi dei crediti di carbonio rilasciati dai progetti, proprio per regolarne la quantità emessa sul mercato, onde evitare la generazione di crediti “fantasma”. È un’iniziativa credibile che però va ancora esaminata nei dettagli.

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