La Cop16 sulla biodiversità si conclude con pochi passi avanti. Cosa resta, al di là della speranza?
Si è conclusa il 2 novembre la Cop16 sulla biodiversità, in Colombia. Nonostante le speranze, non arrivano grandi risultati. Ancora una volta.
Dal 1950 più di quattro milioni di cetacei sarebbero morti come “prede accessorie” nelle reti usate per pescare i tonni.
Le cosiddette “catture accessorie”, termine che indica quelle creature marine catturate “per sbaglio” al posto dei pesci bersaglio, rappresentano la principale minaccia per molte specie in via di estinzione. Le prede accessorie sono una diretta conseguenza degli insostenibili metodi di pesca contemporanei, che causano catture abnormi, e tra queste figurano tartarughe marine, pinnipedi, uccelli marini e cetacei.
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Tra i tipi di pesca più impattanti c’è quella al tonno che comporta, mediamente, la cattura e l’uccisione gratuita di altre centoquarantacinque specie. Proprio la pesca al tonno nell’oceano Indiano è responsabile del drastico declino delle popolazioni di delfini, che sarebbero diminuite di oltre l’80 per cento dal 1950 al 2018.
È quanto riferito dallo studio Cetacean bycatch in Indian Ocean tuna gillnet fisheries, pubblicato sulla rivista Endangered species research. Negli ultimi settanta anni, secondo i ricercatori, nelle reti da posta utilizzate per catturare i tonni avrebbero perso la vita oltre quattro milioni di cetacei, dato sottostimato poiché non tiene conto di tutte le catture che non vengono denunciate e di molti effetti collaterali della pesca, che non provocano la morte immediata dell’animale.
Gli autori della ricerca hanno utilizzato i dati riportati da dieci programmi di campionamento delle catture accessorie in Australia, Sri Lanka, India e Pakistan per stimare i tassi di catture accessorie di cetacei, delfini, focene e balene, legate alla pesca del tonno nell’oceano Indiano.
Dallo studio è emerso che circa il 34 per cento delle catture di tonno nell’oceano Indiano avviene con l’uso delle reti da posta derivanti, termine che indica quelle reti che non vengono ancorate al fondo ma sono lasciate libere di muoversi in balìa delle correnti grazie a dei galleggianti. Queste reti, il cui utilizzo è stato totalmente vietato dall’Unione europea nelle acque del Vecchio continente, vengono impiegate per la cattura di specie migratorie, come il tonno e il pesce spada, e, per loro stessa natura, implicano un incalcolabile numero di catture accessorie.
Lo studio ha rilevato che ogni mille tonnellate di tonno catturate, vengono catturati anche circa 175 cetacei. Solo nel 2006 oltre 100mila cetacei, principalmente delfini, sono morti a causa della pesca commerciale. Questi livelli di mortalità, hanno affermato gli scienziati, non sono sostenibili.
“È una morte dolorosa – ha affermato Puti Liza Mustika, ricercatrice della James Cook university e co-autrice dello studio -. I delfini sono intelligenti, ma essendo queste reti molto sottili, il sonar dei delfini non riesce a rilevarle”.
Per frenare lo sterminio dei cetacei dell’oceano Indiano, prima che sia troppo tardi, occorre cambiare metodi di pesca e servono più controlli. “La soluzione deve essere la tecnologia – ha affermato Mustika -. Vietare la pesca non è una soluzione per i paesi in via di sviluppo”.
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