Per l’ultimo rapporto Istat, la denatalità in Italia aumenta: la popolazione continua a calare e invecchiare.
Il rischio, avvisa il presidente del Forum famiglie De Palo, è che il nostro welfare non regga.
Pensioni, servizio sanitario e aree interne le criticità principali da qui al 2070.
Nel 1953 Elvis Presley incideva il suo primo singolo, Elisabetta II d’Inghilterra viene incoronata regina di Gran Bretagna, Alcide De Gasperi si presentava in Parlamento per l’ultima per chiedere la fiducia (senza ottenerla) su un governo Dc sostenuto dai monarchici. E i residenti in Italia erano solamente 47,7 milioni, quanti torneranno ad essere nel 2070. Quando Cormac McCarthy scrisse Non è un paese per vecchi, probabilmente non pensava all’Italia.
È di qualche giorno fa, infatti, la previsione dell’Istat sul futuro demografico del Paese, che certifica la denatalità in Italia, con il trend di costante invecchiamento della popolazione italiana e la conseguente futura diminuzione del numero di cittadini italiani. O meglio, di residenti in Italia. Siamo in decrescita, avvisa l’Istituto nazionale di statistica: dai 59,2 milioni di cittadini del 2021, secondo le stime saremo 57,9 milioni nel 2030, per scendere a 54,2 milioni nel 2050 fino addirittura appunto a 47,7 milioni nel 2070: quasi 12 milioni di persone in meno.
La denatalità in Italia
In un mondo che viaggia a ritmi di crescita altissimi, a pesare sulla decrescita sarà ovviamente il fenomeno della denatalità, che del resto è già presente da un paio di decenni. Già dal 1993 a oggi in Italia ogni anno ci sono più morti che nuovi nati (tranne che nel 2004 e nel 2006) ma il fenomeno si è acuito moltissimo: dal 2015 lo scarto annuale ha superato le 100mila unità, e nel 2021 e 2021, anche a causa del Covid, siamo oltre le 300mila.
Per questo, il rapporto tra individui in età lavorativa (15-64 anni) e non (0-14 e 65 anni e più) secondo l’Istat passerà da circa tre a due nel 2021 a circa uno a uno nel 2050. Sul territorio entro 10 anni in quattro Comuni su cinque è atteso un calo di popolazione, in nove su dieci nel caso di Comuni di zone rurali, sempre più in via di spopolamento. E le famiglie avranno un numero medio di componenti sempre più piccolo: entro il 2041 una su quattro sarà composta da una coppia con figli, più di una su cinque non ne avrà.
Sì, ma tutto questo cosa comporta?
Già nel 1968, alla fine del decennio del boom economico, Paul e Anne Ehrlich sostennero nel libro “La bomba demografica” che il continuo, esponenziale, aumento della popolazione (a livello globale) avrebbe alla lunga portato ad altrettanti aumenti di bisogni e consumi causando crisi di risorse e carestie. Non solo: già al tempo gli studiosi preconizzavano il rischio di un carico eccessivo di emissioni di gas. In una fase in cui il cambiamento climatico è ormai in corso e la transizione ecologica un obiettivo a breve termine, gli Ehrlich erano stati facili indovini.
🔴@gigidepalo: «Nel 2050 ci saranno 12 milioni di abitanti in meno. Significa meno forza lavoro, meno consumi, meno sanità pubblica. Natalità sia il tema della prossima campagna elettorale e della prossima legge di bilancio»
— Stati Generali della Natalità (@SGDNAT) July 14, 2022
A livello nazionale, però, almeno nel breve termine un trend come quello illustrato dall’Istat rischia di creare anche gravissimi problemi alla sostenibilità dello Stato. A spiegarlo è Gigi De Palo, presidente della Fondazione per la natalità e presidente nazionale del Forum famiglie.
Il crollo del Pil e del welfare
Secondo De Palo, innanzitutto la denatalità in Italia comporterà il crollo del prodotto interno lordo e, se per qualcuno questo è un indicatore solo parziale dello stato di salute di un Paese, soprattutto il sistema di welfare: “Nel 2018 la spesa sociale italiana ha mobilitato risorse pari a 493,5 miliardi. Nel 2021 – nel post Covid – questo fabbisogno ha raggiunto 632 miliardi” spiega De Palo, che cita il Cnel: “La questione demografica è la prima urgenza da affrontare per la sostenibilità del debito pubblico”. Quindi, “avremo un Paese dove i fragili saranno meno tutelati”.
Crollo del sistema pensionistico
La diminuzione della popolazione va di pari passo con il suo invecchiamento. Il problema italiano infatti non è di certo l’aspettativa di vita, (che oggi è di 84,8 anni) ma il fatto che si fanno pochi figli. “Avremo una popolazione sempre più anziana e sempre meno lavoratori – avvisa De Palo – Quindi avremo un Paese dove le giovani generazioni potrebbero non avere alcuna pensione o, comunque le pensioni saranno talmente basse da non permettere una vita dignitosa dopo anni e anni di lavoro”. Già oggi l’Istituto nazionale di Previdenza sociale, nel report 2022, avvisa che la fascia critica è quella dei nati tra il 1977 e il 1980.
👉🏼“Per raggiungere l’obiettivo dei 500mila nati dobbiamo lavorare per rialzare i livelli di fecondità, non per aggiungerlo tra 40 o 50 anni ma tra 10.”
Come già segnalato, il rapporto tra individui in età lavorativa, per convenzione quelli tra i 15 e i 64 anni (ma l’età pensionistica, per gli effetti di quanto spiegato sopra, è destinata ad aumentare fino a quota 75!) e non (0-14 e 65 anni e più) passerà da circa tre a due nel 2021 a circa uno a uno nel 2050. E questo rappresenterebbe un problema serio per il nostra sistema sanitario nazionale – a volte tanto bistrattato, ma sicuramente un vanto a livello internazionale per gratuità e universalismo – che si sostiene attraverso i cittadini che pagano le tasse in proporzione al proprio reddito e con il pagamento dei ticket relativi alle prestazioni sanitarie da parte di chi non ha diritto all’esenzione.
De Palo sottolinea infatti che “se diminuiscono i lavoratori (se non riparte la natalità, ci saranno meno persone che lavorano e, quindi, ci saranno meno persone che pagheranno le tasse) riusciremo a rendere sostenibile il meccanismo? Aggiungiamoci anche un altro fattore: secondo le stime attuali il numero di anziani non autosufficienti raddoppierà fino a quasi 5 milioni entro il 2030”.
La bolla immobiliare
Una delle conseguenze più sottovalutate del trend di denatalità, sottolinea il presidente del Forum famiglie, è il probabile crollo del costo delle case. Un bene per chi dovrà acquistare, sicuramente. Un male per chi lo ha già fatto, accollandosi magari un mutuo trentennale. “Crollerà il valore delle nostre case pagate – o che stiamo pagando – faticosamente. Il loro valore dopo tanti sacrifici si dimezzerà. Perché se non nascono più bambini le città si spopolano e avendo a disposizione una quantità maggiore di immobili, perdono il loro valore”.
Aree interne spopolate
Ultimo, ma non ultimo, c’è la questione dello spopolamento di alcune aree del Paese. Se le città, anche nel 2070, continueranno a essere in media densamente popolate, la denatalità in Italia secondo l’Istat colpirà soprattutto le aree rurale e il Mezzogiorno, dove già decenni si verifica un forte esodo a favore del più produttivo Nord.
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Entro 10 anni andrà incontro a un calo demografico l’80 per cento dei Comuni. Ciò si deve alla bassa fecondità, ma anche a livelli migratori sfavorevoli per alcune realtà territoriali, laddove è più forte tanto l’emigrazione per l’estero quanto quella per l’interno. E per i 1.060 Comuni che ricadono nelle aree interne, quelle montane e comunque lontane dal mare che si contraddistinguono per la distanza fisica dall’offerta di servizi essenziali, secondo l’Istat la condizione demografica
sarà ancor più sfavorevole, con una riduzione della popolazione pari al 9,1 per cento, che sale al 10,4 considerando il solo Mezzogiorno.
E le migrazioni?
Oggi il fenomeno migratorio in entrata in Italia è visto prevalentemente come un problema di politica interna e di sicurezza nazionale vedi, ultima in ordine di tempo, la campagna elettorale appena conclusa. In realtà, ad oggi, dal punto di vista economico il lavoro dei cittadini stranieri in Italia vale 134 miliardi e incide per il 9 per cento sul prodotto interno lordo, secondo il Rapporto annuale 2021 sull’economia dell’immigrazione della Fondazione Leone Moressa. E se il trend della natalità italiana dovesse veramente confermare le attese, l’apporto degli stranieri (a prescindere da modalità di arrivo e provenienza) diventerà sempre più importante. “Serve una via italiana all’integrazione degli immigrati che non possono essere coinvolti nel progetto Italia solo per pagare le pensioni” spiega De Palo.
Sfida demografica, @GigiDePalo: «La Germania dimostra che si può fare». ➤ Il presidente della Fondazione per la natalità: «Non serve un ministro alla famiglia, semmai un ministro all’economia con un mandato forte sul tema famiglia e natalità» https://t.co/h26Yt9MZDk
Che ovviamente non si ferma qui, nei suggerimenti: “Urge un commissario per la natalità che abbia un grande peso politico e che lavori gomito a gomito con il prossimo ministro dell’economia per fronteggiare e vincere questo inverno demografico investendo risorse sulle giovani coppie e sulle famiglie con figli. Servono politiche familiari sul modello francese e tedesco. Serve mettere al centro del Pnrr la ripartenza della natalità”. Perché – in conclusione – non possiamo essere considerati in Europa il Paese delle pensioni.
Secondo l’Istat, neppure durante la crisi la povertà era così diffusa nel nostro paese. In difficoltà soprattutto minorenni, stranieri e famiglie numerose.
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