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Luisa Bocchietto, World design organization. Il design deve essere sostenibile
Architetto, designer, presidente della World design organization, Luisa Bocchietto ha una visione ampia del design come strumento capace di migliorare il mondo.
Architetto, designer, presidente della World design organization (Wdo), Luisa Bocchietto ha una visione molto ampia della funzione del design come strumento capace di migliorare il mondo. Il suo principale obiettivo istituzionale è quello di diffondere il concetto di sostenibilità che ritiene oggi imprescindibile per qualsiasi attività di progettazione. Consumare meglio, ridurre gli sprechi, proteggere il pianeta e le risorse che abbiamo devono diventare gli obiettivi primari di tutti i progettisti.
Cos’è la World design organization?
La World design organization è l’organizzazione mondiale che raccoglie tutte le associazioni che si occupano di design nel mondo, sia a livello professionale sia a livello promozionale. L’associazione ha sessant’anni e inizialmente si chiamava Icsid, International council of society of industrial design, che poi è diventato, appunto, World design organization. È scomparsa quindi la parola “industrial” con buona pace di tanti designer industriali che sono affezionati a questo termine, che però è una parola che ci riporta al secolo scorso, alla rivoluzione industriale e quindi al prodotto. Oggi il design non si occupa più soltanto di prodotti, e quindi i designer non si occupano più soltanto del rapporto con gli imprenditori per creare mobili, lampade o automobili.
Il design oggi si occupa di servizi e di processi, e quindi si amplia il campo e si ampliano anche le opportunità per i giovani in termini di lavoro.
Quindi c’è stato addirittura un re-branding, cioè è stata rinominata l’associazione perché il termine industrial faceva pensare alla rivoluzione industriale e all’inquinamento. Questo significa che è talmente tanto forte oggi la richiesta che viene dal mercato di avere un prodotto sostenibile, da portarvi a ridisegnare il vostro nome?
Proprio così, perché oggi siamo dentro ad un’altra rivoluzione, quella digitale, che comprende la progettazione, ad esempio, delle app, e che quindi si relaziona anche con la città. Il design diventa così uno strumento anche della collettività, per cambiare e migliorare anche la vita nelle metropoli. Non il design da solo, ma il design insieme a altri attori ovviamente, come i pianificatori e gli architetti. In questo contesto, il fatto interessante è che insieme al cambio di nome c’è stato anche un cambio di visione; l’obiettivo originale era quello dell’industrial design, cioè creare oggetti in cui la forma e la funzione fossero in perfetta armonia. Questo abbiamo imparato a farlo ormai. In questo nuovo momento, invece, gli obiettivi sono esattamente quelli della sostenibilità, che coincidono con i 17 goals delle Nazioni Unite, che prevedono che la difesa del pianeta, la riduzione dei rifiuti, la ricerca di parità di condizioni per le persone e la lotta al cambiamento climatico. Il sottotitolo comunicativo, il pay-off di questo nuovo brand, è proprio ‘Design for a better world’, quindi siamo in pieno nello spirito di cui abbiamo appena parlato.
Possiamo dunque affermare che l’obiettivo principale di architetti e designer è quello di ridisegnare in maniera sostenibile il nostro mondo?
Esattamente. Contribuire a fare prodotti migliori e città migliori. E siccome sappiamo che nella fase di progettazione si possono fissare le regole per la sostenibilità dei prodotti, è tanto più importante fare capire come in questo sia fondamentale l’apporto del design, che si relaziona con chi produce.
Il design è uno strumento fondamentale oggi per cambiare i costumi delle persone e agire anche sulle problematiche del cambiamento climatico. Secondo il tuo punto di vista da presidente del Wdo ed ex presidente dell’Adi (Associazione design industriale), com’è percepito questo tema?
Siamo in una fase di cambiamento: durante la mia presidenza in Adi avevo introdotto delle nuove categorie, tra cui il design per i servizi e il design per il sociale, che si avvicinano a questa visione più ampia del design. Negli anni passati quando le aziende si avvicinavano ai temi della sostenibilità si parlava di ‘green washing’, e quindi era inteso più come un argomento di conversazione e comunicazione che come argomento reale. Ma negli ultimi due o tre anni la situazione è cambiata e c’è sempre più consapevolezza da parte di chi produce e di chi progetta nell’inserire questi temi della sostenibilità come criteri fondativi del progetto.
Si parla molto di sostenibilità in questa Design Week: corrisponde a tuo parere a una vera crescita consapevole da parte del pubblico generalista e quanto è moda, marketing, tema del momento?
Sicuramente c’è un fattore in parte di moda e di comunicazione, ma credo che nel profondo le persone siano consapevoli di quanto sia necessario un cambiamento. Sono cambiati anche le parole: infatti si parla meno di ‘consumatore’ e più di ‘utilizzatore’. Questo perché la persona dall’altra parte non è più passiva del progetto e del prodotto, ma molto spesso interviene a modificare retroattivamente anche la progettazione. Si parla di ‘prosumer’. Non definire gli individui più consumatori, ma utenti, cittadini o persone ci fa capire come il rapporto stia ritornando verso l’uomo, le sue esigenze e la qualità.
Quindi la persona è al centro del processo del design. Qual è la tua “call for action”, una “chiamata all’azione” per stimolare un passo in avanti verso il futuro?
Il messaggio soprattutto per i designer è quello di non pensare a progettare sempre e soltanto sedie, lampade, mobili, automobili, ma di progettare tutto ciò che permetterà di consumare meglio, di ridurre gli sprechi e di proteggere il pianeta e le risorse che abbiamo. Credo che sia uno sforzo di intelligenza, e forse un po’ meno di personalizzazione; manca un atto di umiltà in questo tipo di progettazione, perché è indubbio che occorre mettere da parte un po’ il proprio ego e condividere il progetto insieme a altre persone.
L’intervista è stata realizzata in collaborazione con gli studenti del Micri–Master in Comunicazione per le Relazioni Internazionali – Iulm, Milano, nell’ambito del progetto Design4Climate Action. Trascrizione e traduzione a cura di Greta Caputo, Chiara Parma, Eleonora Pupa e Marika Verdicchio.
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