Sei anni dopo la firma da parte della Unione europea della Convenzione, che costituisce il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e le ragazze, il testo non è ancora stato ratificato da Bruxelles a causa del rifiuto di alcuni Stati membri, nonostante i molteplici appelli del Parlamento in tal senso. Tuttavia, il parere della Corte di giustizia del 6 ottobre 2021 ha confermato che l’Unione europea può ratificare la Convenzione di Istanbul senza l’accordo di tutti gli Stati. E così con due votazioni diverse, una riguardante gli impegni della pubblica amministrazione dalla Ue, l’altra la cooperazione giudiziaria in materia penale, l’asilo e il non respingimento delle donne vittime di violenza provenienti da fuori dei confini europei, gli eurodeputati hanno dato il proprio assenso alla ratifica. Che non è ancora ufficiale: adesso toccherà al Consiglio europeo, ossia il vertice dei 27 capi di Stato e di governo, procedere con l’adesione dell’Europa alla Convenzione.
MEPs have voted in favour of approving the European Union’s accession to the Istanbul Convention on preventing and combating violence against women ↓
La destra italiana si accoda ai Paesi che non hanno ratificato
Al momento attuale sono 6 i paesi membri che non hanno ancora ratificato la Convenzione: Bulgaria, Repubblica Ceca, Ungheria, Lettonia, Lituania e Slovacchia. L’Italia lo ha fatto nel 2013, prima ancora che essa entrasse in vigore ufficialmente, fatto avvenuto l’anno successivo, nel 2014. Eppure la maggioranza di destra italiana, nella votazione del 10 maggio, si è accodata ai paesi dell’Est Europa, evitando di dare voto favorevole. Perché? La delegazione di Fratelli d’Italia ha cercato di spiegarlo, giustificandosi con una ragione di merito e una di metodo.
L’applauso del Parlamento europeo all’approvazione della Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne. Una grande, grandissima vittoria!#Fdi e #Lega si sono incredibilmente astenute, alcuni di loro hanno votato perfino contro.
Per quanto riguarda la ragione di di metodo, hanno spiegato il capodelegazione di Fratelli d’Italia al parlamento europeo Carlo Fidanza e l’eurodeputato di Fdi Vincenzo Sofo, “riteniamo problematico il fatto che per accelerare la ratifica della Convenzione da parte dell’Unione europea si sia deciso di procedere a maggioranza qualificata e non più all’unanimità”. Una questione tecnica, insomma, giudicata però dalla destra italiana “un precedente pericoloso per future decisioni su nuovi accordi internazionali”: nei meccanismi dell’Unione europea infatti prevale da sempre la logica del voto all’unanimità. Per quanto riguarda la questione di merito, invece, “con la nostra astensione abbiamo voluto ribadire la nostra preoccupazione sulle tematiche legate al gender”, la famosa teoria che, secondo le forze più conservatrici, punterebbe a smantellare le differenze tra genere maschile e genere femminile.
Il fatto che la Convenzione di Istanbul promuova la teoria gender è l’accusa più strumentale che viene fatta a questo testo. La Convenzione di Istanbul infatti è stata la prima a dare una definizione di genere che comprende i ruoli socialmente costruiti, comportamenti, attività e attributi che una data società ritenga appropriati per le donne e gli uomini. Di fatto è essa stessa a distinguere tra genere maschile e femminile. Il tentativo che è alla sua origine è piuttosto quello di abbattere gli stereotipi legati ai generi, opponendosi ai tentativi di confinare donne e uomini in ruoli tradizionali, limitandone quindi lo sviluppo personale, educativo e professionale e le opportunità di vita in generale; giustificare e mantenere il patriarcato, i rapporti di potere storici degli uomini sulle donne, e gli atteggiamenti sessisti che impediscono l’avanzamento della parità di genere; rifiutare il concetto di diritto delle donne di vivere una vita libera dalla violenza.
Ma la cosa più paradossale è che sono proprio gli eurodeputati di Fratelli d’Italia, nella loro dichiarazione, a sottolineare che “la Corte di Giustizia ha ben definito il perimetro dell’adesione alla Convenzione da parte dell’Unione europea: essa non può riguardare le materie che i trattati attribuiscono alla competenza esclusiva degli Stati membri, come sappiamo essere l’educazione e il diritto di famiglia. Non esiste quindi alcuna possibilità che la Convenzione venga usata per imporre normative specifiche ai governi nazionali”.
La Convenzione di Istanbul, firmata proprio l’11 maggio del 2011 in seno al Consiglio d’Europa, è il primo testo internazionale che definisce giuridicamente la violenza contro le donne e stabilisce un quadro completo di misure legali e politiche per prevenire tale violenza, sostenere le vittime e punire i colpevoli. Nell’ottobre 2015 la Commissione ha adottato una tabella di marcia, in cui si concludeva che l’adesione dell’Ue alla convenzione è necessaria per la creazione di un quadro coerente per combattere la violenza contro le donne, migliorare la prevenzione per tutte le donne e offrire maggiore protezione e sostegno alle donne e ai bambini vittime di violenza e gruppi specifici di donne.
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