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Di cosa dobbiamo preoccuparci davvero dopo il caso di malaria autoctona
Dopo le polemiche a sfondo razzista sul ruolo delle migrazioni seguite alla morte per malaria della bambina di Trento, c’è qualcosa a cui è necessario fare attenzione?
Una bambina di Trento è morta di malaria all’ospedale di Brescia nella notte tra sabato 2 e domenica 3 settembre dopo essere stata ricoverata prima a Portogruaro e poi a Trento per complicazioni dovute al fatto che era affetta da diabete mentre si trovava in vacanza con i genitori a Bibione, in provincia di Venezia. La bimba avrebbe – secondo le ricostruzioni – contratto la malaria nell’ospedale di Trento. La morte ha suscitato molte polemiche sulla possibilità che la causa dell’infezione fosse da imputare ai migranti che arrivano in Italia da regioni dove questa malattia è endemica. All’ospedale di Trento due bambini originari del Burkina Faso erano ricoverati per malaria in stanze diverse da quella della bimba di Trento, dopo essere tornati da un viaggio nel paese di origine.
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La realtà dei fatti, però, è ben diversa dalle tesi sostenute da chi ha alimentato le polemiche a sfondo razzista visto che la malattia non può essere trasmessa da una persona all’altra. Una realtà che rende quasi impossibile risalire alla causa di questo episodio che ha pochissimi precedenti nel nostro paese. Per questo è fondamentale capire se le zanzare anofele presenti in Italia abbiano acquisito o meno la capacità di tramettere la malaria con efficienza.
Cos’è la malaria
La malaria è una malattia per cui non esiste vaccino. Questo fatto la rende una delle più letali nella storia dell’umanità. La sua comparsa risale a migliaia di anni fa, ma nessuno è mai riuscito a capire esattamente quale sia stata l’origine. Una persona che prende la malaria subisce danni ai reni e al fegato e generalmente si manifesta con febbre alta. Se diagnosticata e curata in tempi brevi, il paziente guarisce senza eccessive complicazioni. Spesso, però, la malaria contagia persone che vivono in aree rurali di regioni come l’Africa subsahariana e, in misura minore, il Sudest asiatico dove è difficile se non impossibile ricevere tempestivamente cure adeguate. Per tutti questi motivi, l’Organizzazione mondiale della sanità ha stimato che nel 2015 si siano verificati 212 milioni di casi in tutto il mondo che hanno provocato la morte di 429mila persone. Un numero ancora molto alto, ma in calo di quasi il 30 per cento rispetto al 2010 grazie a investimenti importanti da parte di organizzazioni internazionali e filantropiche, come quella del fondatore di Microsoft Bill Gates che ha fatto della lotta alla malaria una delle sfide più importanti della sua fondazione.
Come si trasmette la malaria e qual è il ruolo delle zanzare anofele
Gates insieme alla moglie Melinda, però, hanno come nemico da sconfiggere non tanto la malaria quanto le zanzare. Sono questi esseri insetti minuscoli, infatti, i vettori, cioè i responsabili della trasmissione della malaria all’uomo insieme ad altre patologie quali la febbre gialla, la dengue, la chikungunya e la zika. Ecco perché le zanzare sono gli animali più letali per l’uomo con 830mila morti l’anno.
Tra le zanzare, quelle che possono essere responsabili della trasmissione di queste malattie – se infette – sono le femmine del genere anofele (Anopheles) che vivono nelle regioni sopracitate e in poche altre zone del mondo. Un essere umano non può trasmettere la malaria a un altro essere umano a meno che non vi sia stato un contatto di sangue su larga scala, ad esempio attraverso una trasfusione. Secondo Fabrizio Pregliasco, infettivologo e virologo presso il dipartimento di Scienze biomediche per la Salute dell’Università degli Studi di Milano e direttore sanitario dell’Istituto ortopedico Galeazzi di Milano, raggiunto dal mensile Vita, sono tre le ipotesi di contagio, tutte rarissime: “O delle zanzare infette sono state liberate da un bagaglio di un turista di qualche zona endemica e in qualche modo hanno raggiunto la bambina. O c’è stato un contatto ematico con qualcuno infetto. O, infine, una nostra zanzara anofele è riuscita nell’infezione”.
Perché gli immigrati non c’entrano nulla con il caso di malaria
Queste ipotesi, dunque, smontano qualsiasi teoria volta a colpevolizzare i migranti, i rifugiati o i richiedenti asilo che giungono nel nostro paese con mezzi di trasporto marittimi e che attraccano nei porti e nelle regioni meridionali del nostro paese. Nonostante le allusioni di alcuni quotidiani italiani che hanno suscitato una discussione piuttosto animata, non è colpa di chi scappa (ad esempio) dall’Africa subsahariana a bordo di barconi se una bambina è morta di malaria nell’ospedale di Trento, a inizio settembre. Il vero problema è capire come sia possibile che una bimba di 4 anni, che non era mai stata all’estero, né tantomeno in aree dove vige la probabilità di contrarre la malattia, sia stata contagiata in Italia visto che da noi non c’è la “malaria autoctona”, endemica, perché non dovrebbero esistere zanzare anofele infette in grado di trasmettere la malaria.
Ora c’è da capire una cosa fondamentale
Questa situazione ci porta a un’altra domanda. È possibile che le zanzare anofele locali (comunque presenti in numero esiguo in Italia) abbiano raggiunto lo stadio di “infette” nonostante il numero ridotto di casi di malaria registrati in Italia? Già perché, anche se non esiste la “malaria autoctona”, in Italia si registrano comunque poche centinaia di casi all’anno (726 all’anno nel periodo che va dal 2011 al 2015 secondo i dati del ministero della Salute) la cui malattia si è sviluppata in seguito a viaggi all’estero. Nel caso di italiani contagiati, questi hanno spesso viaggiato per lavoro, turismo o volontariato. Nel caso di stranieri (circa l’80 per cento del totale), si tratta soprattutto di persone che sono venute in Italia in visita a parenti o amici. Solo 4 persone sono decedute.
Adesso, quindi, è fondamentale che gli entomologi, ovvero coloro che studiano gli insetti, capiscano se esiste la possibilità che questo tipo di zanzara sia tornata in Italia o meno. Molti rapporti che studiano gli effetti dei cambiamenti climatici sulla salute affermano che patologie tipiche delle regioni tropicali potrebbero dilagare anche in aree dove queste sono assenti a causa dell’aumento delle temperature e della tropicalizzazione del clima di alcune aree prima miti o temperate. Sempre secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, la diffusione della malaria è molto condizionata dal clima anche se “misurare gli effetti sulla salute del riscaldamento globale è molto difficile”. Nonostante questo, l’Oms stima che i cambiamenti climatici potrebbero causare 250mila decessi in più all’anno tra il 2030 e il 2050. Di questi 60mila sarebbero causati proprio dalla malaria, mentre gli altri sono divisi tra malnutrizione infantile, colpi di calore e dissenteria.
La tropicalizzazione del clima aumenta il rischio malaria
Tra le cause della diffusione della malaria ci sarebbe la cosiddetta “tropicalizzazione” che potrebbe “reintrodurre o aumentare la trasmissione della malaria in paesi dal clima tropicale o temperato (come quelli del Mediterraneo, ndr) che hanno eliminato o sono riusciti a tenere controllata la trasmissione” della malattia, secondo quanto riportato dall’articolo dal titolo “Climate change and malaria – A complex relationship” apparso già nel 2010 sul magazine delle Nazioni Unite.
“Il ricorso a titoli sensazionalistici e privi di riscontri oggettivi nei confronti di persone straniere, oltre a minare la credibilità dell’informazione, viola il testo unico dei doveri del giornalisti, in particolare in materia di diffusione di notizie sanitarie, ingenerando nell’opinione pubblica timori infondati. Le generalizzazioni finalizzate ad incitare sentimenti di odio e di risentimento per motivi razziali contrastano, al di là dell’etica e delle regole professionali, con la missione primaria del giornalismo che deve saper costruire la fiducia dei lettori rispettando sempre la verità sostanziale dei fatti e la tutela delle personalità altrui”
(Nicola Marini Presidente Odg, Beppe Giulietti Presidente Fnsi, Raffaele Lorusso Segretario Fnsi)
Pur evitando ogni forma di allarmismo ed escludendo l’eventualità di un errore umano, sarebbe quantomeno apprezzabile che i mezzi d’informazione tentassero di indagare o di “cogliere l’occasione” per fare informazione di qualità e aumentare la consapevolezza delle persone su una delle minacce più gravi per la sicurezza degli esseri umani, come i cambiamenti climatici, invece di coltivare la paura, l’odio e la tensione tra gli stessi. Perché se una bimba di 4 anni di Trento è morta di malaria nel 2017, e come lei centinaia di altri bambini in tutto il mondo, il motivo principale è che non esiste un vaccino e bisogna continuare sulla strada della ricerca affinché si trovi presto l’antidoto.
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