Cade un altro falso mito. La dieta nella preistoria non era a base di sola carne. Da un recente studio sull’evoluzione del microbioma orale negli ultimi 100mila anni, pubblicato sulla rivista scientifica Pnas, è emerso che nelle bocche degli uomini di Neanderthal si trovavano ceppi di batteri adatti a scindere gli amidacei in zuccheri semplici. Questo vuol dire che probabilmente gli uomini si cibavano di alimenti di origine vegetale millenni prima dell’invenzione dell’agricoltura.
Dai denti tutti i segreti della dieta nella preistoria
Il team di ricerca, guidato dal Max Plank Institute, con oltre 50 scienziati di 13 paesi diversi, ha analizzato miliardi di frammenti di Dna conservati nella placca batterica dentale di 124 resti fossilizzati. Si tratta di campioni non solo umani, ma anche di primati, come scimpanzé, gorilla e scimmie urlatrici.
Il risultato più interessante della ricerca riguarda per l’appunto un campione di Neanderthal di oltre 100mila anni fa. I suoi resti, trovati in Serbia, nella grotta di Pešturina, rappresentano il più antico microbioma orale mai sequenziato. Attraverso analisi svolte con strumenti tecnologici innovativi e metodi computazionali, si è capito che questo individuo era in grado di digerire gli amidi.
Il tartaro, quindi, che oggi rappresenta il nemico numero uno della salute dei nostri denti, in questo caso si è rivelato un elemento prezioso per la ricerca e un importante indicatore delle abitudini alimentari degli uomini preistorici.
Ma non solo. Grazie ai residui di tartaro è stato possibile conoscere particolari sull’evoluzione umana perché proprio attraverso la nutrizione si influenzano i processi di sviluppo cerebrale.
A core oral microbiome has been maintained throughout African hominid evolution, but oral biofilms in Homo may have undergone unique changes for starch digestion. In PNAS: https://t.co/FUKgaA9H6Npic.twitter.com/OQrUEalOXO
Tuberi, radici, noci, semi e cereali selvatici sulla tavola dei Neanderthal
I ricercatori hanno rilevato specifici ceppi di batteri, del genere streptococcus, ed è emerso che questi si legano all’enzima della saliva, l’amilasi, che trasforma gli amidi in zuccheri. Questa scoperta perciò ridimensiona il ruolo che aveva la carne per quel che riguarda la dieta nella preistoria. Sembra, infatti, che l’alimentazione degli uomini di Neanderthal e quella dei sapiens fossero simili tra loro e che il menu della giornata fosse vario e comprendesse cibi ricchi di amido, come tuberi, radici, noci, semi e cereali selvatici. Una informazione confermata anche dalle tracce di amidacei trovate sui manufatti utilizzati dai Neanderthal per cucinare.
Il consumo di questi cibi è stato determinante nel processo evolutivo. La produzione di zuccheri permette, infatti, di “alimentare” anche il cervello umano. “Ricostruire la dieta dei nostri antenati più antichi è una sfida difficile, ma dai batteri orali è possibile ottenere indizi importanti per comprendere i primi cambiamenti dietetici che ci hanno resi unicamente umani”, ha commentato Christina Warinner, una delle coautrici dello studio e docente al Max Plank Institute e alle università di Harvard e Oklahoma, che ha aggiunto: “I genomi batterici si evolvono molto più rapidamente del genoma umano e questo rende il nostro microbioma un indicatore particolarmente sensibile per ricostruire i principali eventi del nostro passato evolutivo, lontano e recente”.
Grazie agli alimenti amidacei si è sviluppato il cervello dell’uomo
“Si dice, infatti, che i Neanderthal fossero dotati di un cervello notevole” spiega secondo il professor Marco Peresani, docente delle Scienze Preistoriche e antropologiche dell’Università di Ferrara – che ha partecipato a questo studio in quanto direttore degli scavi realizzati nei siti archeologici diGrotta de Nadale, Vicenza, e di Grotta di Fumane, nel veronese, da cui provengono cinque denti di Neanderthal -, “poi i sapiens hanno avuto un aumento dell’encefalo proprio grazie anche a questa particolare flora batterica che era presente nel nostro cavo orale”.
Insomma, una scoperta determinante negli studi sulla stretta relazione tra l’uomo e il suo microbioma. Secondo James A. Fellows Yates, del dipartimento di Archeogenetica del Max Plank Institute, uno dei primi ricercatori con questa tesi, “studiare il Dna batterico del microbioma orale – che si conserva il doppio del tempo di quanto si credeva in passato – porta risposte importanti per l’uomo”.
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