Con una sentenza storica, la Cassazione conferma la condanna per il comandante italiano che ha consegnato 101 migranti alla Libia.
La diga di Mosul è un’infrastruttura “strategica”. L’esercito italiano proteggerà i lavori
Sta per entrare nel vivo la missione dei militari italiani in Iraq a protezione dei lavori di consolidamento della diga di Mosul sul fiume Tigri.
Lavori in corso in Iraq per preparare la missione di ripristino della diga di Mosul a rischio crollo: un’infrastruttura strategica, necessaria per consentire la ricostruzione post-conflitto e un effettivo sviluppo sostenibile anche al di là della regione strettamente interessata.
La diga di Mosul, la più grande dell’Iraq, permette di irrigare le terre, controllare la portata del fiume proveniente dalla Turchia e conservare l’acqua per combattere desertificazione e siccità, oltre a produrre energia elettrica per più di nove milioni di persone tra Mosul e Baghdad. Se dovesse crollare causerebbe un disastro e un collasso dell’intera rete elettrica irachena e un allagamento della vallata e delle coltivazioni. Situazione molto grave se si pensa che proprio nella valle del Tigri si coltivano i due terzi dei terreni irrigati e ad alta produzione dell’Iraq. Un eventuale crollo sarebbe fatale, si stima, per circa un milione e mezzo di abitanti, e costituirebbe un forte freno allo sviluppo del Paese, già piegato da decenni di conflitti.
Mosul Dam Special Report: the planned works https://t.co/ksS8Aw5xgJ #ClippedOnIssuu via @Issuu
— Trevi Group (@GruppoTrevi) 31 maggio 2016
Come ha sottolineato a fine aprile il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon in un rapporto al Consiglio di sicurezza l’azione della comunità internazionale è volta a “supportare il governo dell’Iraq nella stabilizzazione delle aree da poco liberate rendendo possibile la fornitura di servizi di base, facendo ripartire l’economia locale e promuovendo la riconciliazione a livello di comunità”.
Parte della politica di messa in sicurezza della diga di Mosul, intrapresa già dal 1988, implicava – come spiega un rapporto compilato nel 2009 da parte di consulenti Onu – che, oltre all’iniezione giornaliera di cemento per contrastare la dissoluzione della base, anche la costruzione di una seconda diga a valle di Mosul, la diga di Badush, che avrebbe trattenuto l’ondata di acqua in caso di cedimento di quella a monte. Mentre l’azione sulle fondamenta è andata avanti abbastanza regolarmente, la costruzione di questa seconda diga, già costruita per il 40 per cento, fu interrotta nel 2003 a causa delle cattive condizioni economiche del Paese.
Sono in molti a sostenere che l’imposizione di sanzioni economiche sull’Iraq da parte delle Nazioni Unite abbia piegato la popolazione e minato la capacità dello stato di portare a termine anche opere necessarie alla protezione e al benessere degli iracheni.
La missione italiana, spiegata dallo Stato Maggiore Difesa
Dopo anni di attesa, a marzo 2016 il governo iracheno ha affidato un appalto per realizzare un intervento risolutivo sulla diga di Mosul alla ditta italiana Trevi. Vista la pericolosità del luogo, ancora vicino alle zone di conflitto, il governo italiano ha ordinato il dispiegamento di un contingente di protezione per l’operazione; il compito è stato affidato agli uomini del 6° Reggimento Bersaglieri di stanza a Trapani. Abbiamo fatto qualche domanda al Colonnello Riccardo Cristoni, Capo Ufficio Pubblica Informazione dello Stato Maggiore Difesa per capire meglio perché a Mosul ci va l’esercito italiano.
Quali considerazioni sono state fatte sulla strategicità della diga per giustificare l’intervento delle forze armate italiane a supporto di una ditta privata?
L’intervento di un contingente italiano a Mosul scaturisce da due fattori principali: il primo è che una ditta italiana, la Trevi, è stata individuata dal governo iracheno quale impresa idonea a svolgere i lavori di consolidamento della diga, aggiudicandosi l’appalto per i lavori. La diga del resto è una infrastruttura di rilievo strategico per l’Iraq, serve ad approvvigionare di acqua centinaia di migliaia di persone che abitano nelle regioni circostanti. Un cedimento della diga metterebbe in grave pericolo le vite di queste persone, e comprometterebbe lo sviluppo e l’economia di tutta l’area, oltre a causare un grave danno ambientale.
Il secondo fattore è connesso al fatto che il cantiere si trova in un territorio controllato e difeso dai peshmerga, ma non lontano da zone oggi controllate dal Da’esh.
Con i peshmerga c’è una sperimentata collaborazione; sul terreno inoltre è attivo anche un monitoraggio dell’intelligence. L’ intervento italiano è esclusivamente a protezione della diga (non è quindi in alcun modo una missione di combattimento), avviene in accordo con le autorità irachene, e si aggiungerà alla missione già in corso in Iraq, dove contingenti italiani addestrano le forze di sicurezza curdo irachene (ad Erbil con l’Esercito) e di polizia locali (a Baghdad con i Carabinieri), oltre a fornire supporto alla Coalizione con un contingente dell’Aeronautica che opera dal Kuwait.
Quando sono partiti i primi militari, quando arriverà il grosso del contingente?
I primi uomini sono arrivati circa due mesi fa per compiere ricognizioni ed attività tecnico-logistiche. Ad oggi i militari presenti sono circa 100. Il contingente dovrebbe completarsi entro fine estate, prima dell’inizio dei lavori preannunciato dalla Trevi per settembre/ottobre, raggiungendo una quota che dovrebbe arrivare a 500 unità. Ciò, come di consueto, è legato ai dovuti passaggi parlamentari, ovvero alla legge periodica di rifinanziamento delle missioni internazionali.
Ci sono altri corpi italiani o militari di altre nazioni in supporto ai bersaglieri italiani?
No, la zona della Diga è e sarà controllato solo dalle forze Italiane e da quelle locali, dai peshmerga.
È corretto dire che Mosul è ancora in mano alle forze dello Stato Islamico e che il fronte è a poche decine di chilometri dal luogo del presidio dei nostri militari?
I nostri militari operano con compiti di addestramento ad Erbil e Baghdad, nonchè a Mosul a protezione della Diga e del relativo cantiere che verrà avviato dalla Trevi. Per quanto riguarda la situazione a Mosul non siamo direttamente coinvolti e quindi non siamo in grado di dire quale sia la situazione sul terreno.
Quali sono le regole di ingaggio del personale impiegato?
Sulle specifiche regole d’ingaggio che verranno adottate per la missione non possiamo rilasciare nessuna informazione, ma confermiamo che esse sono ispirate ai principi del rispetto del Diritto internazionale umanitario a cui l’Italia storicamente si conforma, e dei diritti dell’Uomo. L’uso della forza, come previsto anche dai Codici di diritto nazionali, viene contemplata per esigenze di autodifesa e/o per la difesa della popolazione civile e la tutela del territorio e la salvaguardia del patrimonio culturale, ambientale ed archeologico nazionale. Il tutto nel pieno rispetto del principio di proporzionalità. Queste sono norme generali, che vengono già applicate in tutti i contesti esteri dove l’Italia opera con i propri militari.
Siamo anche su WhatsApp. Segui il canale ufficiale LifeGate per restare aggiornata, aggiornato sulle ultime notizie e sulle nostre attività.
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.
Numerose ong hanno sottolineato la situazione drammatica della popolazione palestinese a Gaza, chiedendo a Israele di rispettare il diritto umanitario.
Vida Diba, mente di Radical voice, ci parla della genesi della mostra che, grazie all’arte, racconta cosa significhi davvero la libertà. Ed esserne prive.
L’agenzia delle Nazioni Unite per la salute sessuale e riproduttiva (Unfpa) e il gruppo Prada hanno lanciato un programma di formazione per le donne africane.
Amnesty International ha pubblicato un manifesto elettorale in 10 punti rivolto ai partiti italiani: “I diritti umani non sono mai controversi”.
Si tratta di Zahra Seddiqi Hamedani ed Elham Choubdar colpevoli, secondo un tribunale, di aver promosso la “diffusione della corruzione sulla terra”.
Dal 2 al 4 settembre Emergency ricorderà che la pace è una scelta realmente perseguibile a partire dalla conoscenza e dalla pratica dei diritti umani.
Il Comune di Milano lo faceva già ma smise, attendendo una legge nazionale che ancora non c’è. Non si può più rimandare: si riparte per garantire diritti.
Le persone transgender hanno ora il diritto alla piena autodeterminazione a Milano grazie al primo registro di genere in Italia.