Un gruppo di studenti universitari ha raggiunto la città di Kaifeng l’8 novembre dopo cinque ore di viaggio in sella a biciclette in sharing
Diritto all’abbraccio. Come ristabiliremo i contatti fisici dopo la pandemia
Come le nuove regole dettate dalla pandemia stanno influenzando la crescita dei più piccoli e il nostro benessere in termini di relazioni umane e non solo.
A distanza di cinque mesi dalla fine del primo lockdown causato dall’emergenza coronavirus, e appena ripiombati in nuove restrizioni, psicologi, esperti e docenti si ritrovano a dover fronteggiare le conseguenze del distanziamento fisico. L’impressione è che una metamorfosi sia già avvenuta. E occorre interrogarsi sulla direzione che prenderanno i rapporti sociali di domani.
Ci si interroga, in particolare, su ciò che stiamo perdendo. Rinunciando a quella che, al di là di ogni relativismo culturale e geografico, rappresenta una delle terapie di benessere psicofisico più efficace: l’abbraccio. Secondo il mental coach Umberto Maggesi, un abbraccio che duri più di 20 secondi consente al corpo di produrre ossitocina.
Questo ormone ha il potere di abbassare lo stress e aumentare la sensazione di serenità, secondo studi empirici condotti da Jürgen Sandkühler, neurofisiologo dell’università di Vienna, sul potere degli abbracci e in generale del contatto fisico. La necessità di limitare questo potente gesto per cause sanitarie fa sorgere spontanee delle domande in merito alle conseguenze che tale rinuncia potrà lasciare in chi si è ritrovato “a smettere di abbracciare”. E in chi (i più piccoli) ha iniziato il proprio percorso di vita all’interno del “clima del distacco fisico”.
Una nuova didattica
Chi da anni si batte per la “didattica della vicinanza agli altri e alla natura”, spiega un’educatrice del nido Primi passi di Novara – realtà che accoglie gratuitamente ogni anno bambini in condizioni di marginalità sociale e difficoltà economiche documentate –, deve “riadattare e strutturare nuove tipologie di insegnamento. Dobbiamo prendere nuove precauzioni nelle attività di orto condiviso nel giardino e nei balli di gruppo tenendosi per mano, come suggeriva anche il filosofo Rudolf Steiner, padre dell’antroposofia. Perché con le mascherine la percezione del labiale svanisce e così anche lo scambio di espressioni non verbali”. Inoltre, i bambini si sporcano, rotolano insieme, spesso si baciano, si spingono con le mani non sempre pulite e costruiscono così i primi contatti con l’altro. Imparando a capire il proprio corpo, a riconoscere i limiti intangibili nella società e i primi rudimenti dell’emozionalità.
In Italia, a partire dal 2013, è nato a questo proposito il primo Asilo nel bosco, una scuola che fa del contatto con la natura, con se stessi e gli altri un mantra di vita. Con l’obiettivo di crescere privi di quella paura della vicinanza con ciò che non si conosce. Con ciò che a prima vista può sembrare sporco e pericoloso. Oggi più che mai sembra che questo metodo possa mettere al riparo, almeno i più piccoli, dai rischi del contagio e dalla paura della solitudine. “Siamo fiduciosi che ciò accada, che l’educazione in natura diventi sempre più diffusa nella scuola italiana. È un bisogno dei bambini”, spiega Paolo Mai, fondatore del primo Asilo nel bosco.
Il diritto all’abbraccio dei bambini
La didattica in natura, quindi, potrebbe risultare una pratica efficace, grazie all’utilizzo degli spazi esterni come un modo per ottimizzare le distanze fisiche. E potrebbe, anche in questo periodo di emergenza, mantenere i suoi principi fondamentali di contatto e relazioni tangibili nella fascia che va da zero a sei anni. Ovvero garantirebbe gli abbracci, quelli che generano ossitocina e fanno scoprire il mondo interiore delle emozioni. In Italia oggi ci sono oltre 150 Asili nel bosco e svariate scuole che applicano questa filosofia e che suggeriscono come l’associazione didattica-natura possa rappresentare un binomio vincente contro il coronavirus. La difficoltà risiederà nel trovare la formula che permetta il proliferare delle “pratiche di vicinanza”. Mantenendo le relazioni, ma con nuove precauzioni.
In che modo saranno differenti questi futuri adulti dalla generazione delle colonie, dei gruppi estivi e delle esperienze di gioco di gruppo? E come tutto questo influenzerà chi è già “grande”? Stiamo vivendo in una, seppur necessaria, violazione del diritto all’abbraccio e all’intimità col prossimo? Per valutare le conseguenze di tutto questo e rispondere a tali quesiti, occorre ancora del tempo.
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