Per la presidente di Federbio Mammuccini, alcuni disagi degli agricoltori sono oggettivi e comprensibili, ma le proteste contro il Green deal sono inammissibili.
Diritto al cibo, gli esempi virtuosi e le sfide della Rete europea delle città bio
Si è riunita a Milano una rappresentanza della Rete europea delle città bio. A confronto le politiche alimentari urbane di Norimberga, Vienna e Parigi verso gli obiettivi 2030.
Oltre il 50 per cento della popolazione mondiale vive attualmente nelle aree urbane. Entro il 2050 si prevede che questa percentuale aumenti fino a toccare quasi il 70 per cento. Alla luce di questo diventa chiara l’importanza delle politiche alimentari urbane e del protagonismo delle grandi municipalità, le cui scelte determinano ampiamente i modelli di agricoltura, contribuendo alla diffusione di filiere alimentari sostenibili. Per riflettere e confrontarsi sul tema, in relazione all’undicesimo obiettivo di sviluppo sostenibile (Sdg 11) dell’agenda 2030 Onu, che mira ad avere città e comunità sostenibili, lo scorso 3 giugno si è riunita a Milano la Rete europea delle città bio (Organic cities network Europe, Ocne). Un incontro avvenuto presso la Sala Crociera dell’Università degli Studi di Milano, tra i rappresentanti delle città e delle reti che hanno scelto di promuovere il consumo di prodotti biologici come risposta a esigenze alimentari e ambientali.
Città bio, sistemi alimentari e cibo adeguato
In rappresentanza dei quasi 40 milioni di cittadini europei dei sei stati membri della Rete europea delle città bio (Austria, Francia, Germania, Italia, Spagna e Svezia) hanno parlato i rappresentanti di Norimberga, Vienna e Parigi, invitati a Milano da Livia Pomodoro, presidente del Milan center for food law and policy (centro di documentazione e studio sulle norme e le politiche pubbliche in materia di nutrizione fondato nel 2015) e titolare della cattedra Unesco Food: access and law presso l’Università Statale di Milano.
Cofondatore della Rete europea, il Milan center ha organizzato questo incontro contestualmente al Festival dello sviluppo sostenibile, per “ribadire che la sostenibilità dei sistemi alimentari che approvvigionano le città europee è intrinsecamente legata al tema del diritto al cibo adeguato”.
Un tema particolarmente caro alla città di Milano, come sottolineato da Alan Christian Rizzi (sottosegretario con delega ai rapporti con le delegazioni internazionali, Regione Lombardia), che ha ricordato: “La sostenibilità del sistema agroalimentare è la vera eredità di Expo per Milano, che nel 2015 è diventata una delle città più internazionali d’Europa. Noi vogliamo difendere questo risultato con le unghie e con i denti, per continuare ad essere un punto di riferimento”. In quest’ottica anche la candidatura di Milano ad ospitare la Cop26.
All’Università Statale un nuovo Centro di ricerca coordinato sulla sostenibilità
L’evento è stato anche l’occasione per la professoressa Maria Pia Abbracchio, prorettore vicario dell’Università Statale, di annunciare l’imminente apertura di un nuovo Centro di ricerca coordinato (Crc), che sarà approvato entro la fine di giugno: “Il centro unirà le competenze del centro diretto da Livia Pomodoro e di dieci dipartimenti del nostro ateneo, per creare una cabina di regia su temi della sostenibilità, della salute e dell’ambiente, facilitando le iniziative in questo ambito e contribuendo a fare massa critica su queste tematiche, per ottenere appoggio politico con interventi mirati”.
Claudio Serafini, direttore Organic cities network Europe, ha ricordato come la rete sia stata fondata nel 2018 a Parigi, nelle stesse sale dove è stato firmato l’accordo sul clima “per rispondere alla domanda di Expo ‘Come alimentare il pianeta?’. Oggi questo network “unisce città globali a paesi e città più piccole, ma con esperienze specifiche”. Fondamentali in questa fase “l’impegno nel perseverare sul tema delle alleanze (che rappresentano una strada lunga da percorrere e che non porta frutti immediati) e il valore aspirazionale della sostenibilità, che va affrontata in maniera sistematica”.
Alimentazione sostenibile, un trend in crescita tra gli italiani
Enea Roveda, amministratore delegato di LifeGate, presente in qualità di partner dell’evento, ha portato alcuni dati estrapolati dall’ultimo Osservatorio nazionale sullo stile di vita sostenibile, mettendoli in relazione con i trend del passato e con i possibili scenari futuri. “La consapevolezza sui temi della sostenibilità tra gli italiani è cresciuta tantissimo ed è iniziata proprio in rapporto al tema dell’alimentazione. Mi riferisco a tanti eventi del passato, come Chernobyl o la mucca pazza, che hanno portato a un cambiamento nella percezione del tema dell’alimentazione, influendo prima sulle scelte personali per il bene della propria famiglia e poi per quello del pianeta”.
Un’onda partita dunque diversi anni fa e che nei dati dell’osservatorio, con i quali da cinque anni vengono mappate le abitudini degli italiani, ha mostrato un trend in crescita: “Nel 2015 le persone che si dichiaravano interessate alla sostenibilità erano il 18 per cento, mentre oggi sono il 33 per cento”. Per quanto riguarda l’interesse per il biologico Enea Roveda ha evidenziato come esso sia cresciuto anche in tempo di crisi, rimanendo negli anni uno dei temi più sentiti: “Oggi il 34 per cento degli italiani mostra una propensione a spendere o a voler spendere di più per alimenti sostenibili e il dato è cresciuto del 5 per cento rispetto al 2018”.
A Norimberga, lo sviluppo nutrizionale passa per l’integrazione sociale
Cuore dell’incontro milanese è stato il confronto tra alcuni dei rappresentanti della Rete europea delle città bio, introdotti da Stefano Bocchi (professore ordinario, dipartimento di scienze e politiche ambientali, delegato del rettore per la sostenibilità, Osservatorio italiano per l’Agroecologia – Opera, Università degli Studi di Milano).
A portare la propria testimonianza ed esperienza a beneficio di tutti è stato il professor Peter Pluschke, della Organic metropolis Norimberga, che ha sottolineato come il biologico rappresenti un settore in forte espansione in Germania: “Molte città si stanno unendo, seguendo il modello delle città del bio italiane. Due anni fa è stata fondata la German organic cities network, di cui fanno parte grandi città come Amburgo, Monaco e adesso anche Berlino. Le Biostädte (città organiche) in Germania sono 19 e ospitano il 13 per centro della popolazione nazionale”.
Non è un caso se proprio a Norimberga da trent’anni ha luogo Biofach, la più grande fiera del biologico, considerata tra i principali appuntamenti del settore a livello mondiale e che può contare ogni anno su 2500 espositori. “Sull’esempio di Biofach ora esistono altre fiere collegate in Cina, Giappone, America”, prosegue Pluschke, “Il nostro obiettivo è allargare la produzione bio e continuare a dare supporto all’agricoltura locale eliminando gli ogm. Per preservare la biodiversità abbiamo stilato un documento che stabilisce che in Bavaria non ci sarà più niente coltivato con ogm.”
A Norimberga, città multiculturale, lo sviluppo nutrizionale passa anche per l’integrazione sociale: “Qui solo il 42 per cento della popolazione cittadina è nata e cresciuta a Norimberga. Tutti gli altri vengono da altre parti della Germania o da altri paesi europei (Bulgaria e Romania in particolare), ma ci sono anche molti rifugiati di guerra scappati dal Medio Oriente”. Un melting pot da valorizzare e sostenere anche attraverso la cultura alimentare: “Mettere le persone allo stesso tavolo permette uno scambio culturale. Condividendo abitudini e costumi si diventa una comunità più allargata. Anche i sindaci e le istituzioni stanno partecipando sempre di più a queste iniziative, supportandone lo sviluppo”. Un esempio di questo trend è l’iniziativa nata in una parrocchia locale, che nel periodo natalizio ha portato a tavola 50 mila pasti biologici al costo di 1 euro per un open table tra persone di diverse culture e origini”.
Vienna, città leader nel settore biologico
Esempio virtuoso nell’alimentazione sostenibile è quello di Vienna, presentata come città leader nel settore biologico in Europa da Bernhard Kromp, direttore dell’istituto di ricerca di agricoltura biologica Bioforschung Austria. “Vienna è pronta a prendersi carico della presidenza dell’Organic cities network Europe per il mandato 2020-2021”, ha assicurato Kromp, elencando i punti di forza e i traguardi del settore biologico nella capitale austriaca: “Un forte background culturale dell’agricoltura biologica; il sostegno offerto dal comune di Vienna nel promuovere l’agricoltura bio; la propensione all’acquisto dei cittadini (1,8 milioni di persone comprano regolarmente cibo bio); il successo economico del mercato di cibo bio”.
A supporto di ciò Kromp ha mostrato alcuni dati, che confermano l’aumento progressivo dei terreni coltivati con metodi biologici e secondo tecniche all’avanguardia: “La superficie destinata alle coltivazioni bio nel 2018 era pari al 25 per cento del totale (con una crescita del 4 per cento rispetto al 2017) e le aziende agricole bio rappresentano il 21 per cento (con una crescita del 2 per cento rispetto al 2017)”. Un altro dato incoraggiante è quello che segna un incremento del 50 per cento nello shopping bio dei viennesi tra il 2012 e il 2017.
Risultati ottenuti anche grazie a ÖkoKauf Wien, un programma ecologico e sostenibile in vigore dal 1998 che, attraverso appalti pubblici, seleziona e predilige l’acquisto di cibo bio e articoli sostenibili, consentendo, per esempio, di servire 36,5 milioni di pasti biologici all’anno tra mense di ospedali, case di riposo e scuole pubbliche. A favorire la crescita e la disponibilità di cibo bio, spiega Kromp, “sono anche le aree circostanti che contribuiscono all’approvvigionamento cittadino e la fattoria comunale, che può contare su mille campi arabili, certificati bio dal 1989”. Tra le buone pratiche di Vienna ci sono anche la “produzione diretta di ortaggi e cibo bio nelle case di riposo, il boom degli orti cittadini e il sistema di compostaggio Biotonne, che dal 1987 trasforma i rifiuti organici in fertilizzante”.
Parigi, l’obiettivo zero emissioni passa anche dal comparto agricolo
Aurélie Solans, consigliere delegato per l’ambiente della città di Parigi, ha esordito dicendosi “felice di trovarsi a Milano, luogo emblematico per i temi della sostenibilità alimentare” e ricordando il Milan food policy pact, nato il 15 ottobre 2015 nel solco di Expo e che ha visto 191 città di tutto il mondo firmare un patto internazionale, finalizzato ad affrontare le problematiche legate all’alimentazione a livello urbano. Un’azione che oggi prosegue anche con le attività di Organic cities network Europe.
Solans ha sottolineato come per la capitale francese resti cruciale l’obiettivo zero emissioni fissato dall’agenda Onu per il 2030, “attraverso opere di compensazione, di incremento delle energie rinnovabili e una diminuzione del 50 per cento del consumo di energia”. Un piano che mira a ridurre dell’80 per cento l’impronta ecologica della città di Parigi e che passa significativamente da un’azione nel comparto agricolo. “Nel bilancio complessivo delle emissioni l’alimentazione pesa per il 18 per cento, che non è il dato maggiore, ma resta comunque notevole”, spiega Solans. “Tenere sotto controllo le emissioni di questo settore sarà quindi fondamentale”.
In questa direzione va l’impegno della città di passare dall’attuale 26 per cento di parigini che mangiano regolarmente cibo bio a un ambizioso 75 per cento nel 2030. Da qui la particolare attenzione posta nei confronti della regolamentazione delle mense pubbliche. “Dal 2008 è attivo un piano di cibo sostenibile per le mense cittadine, che fornisce 30 milioni di pasti all’anno. Nel 2018 il 41,3 per cento era rappresentato da cibo biologico. Inoltre il comune di Parigi è risultato il principale acquirente di cibo bio in Francia”.
Tra gli obiettivi della food strategy parigina c’è anche quello di “diminuire del 50 per cento gli sprechi alimentari entro il 2025 e del 40 per cento le emissioni di CO2, aumentando il consumo di proteine vegetali e diminuendo quelle animali”. Altri impegni più imminenti, che il comune di Parigi vuole adempiere entro il 2020, sono di garantire almeno il 50 per cento di pasti biologici, di ridurre a zero l’uso di olio di palma, di eliminare gli ogm e i pesci pescati in acque profonde e di utilizzare solo carni bianche allevate all’aria aperta.
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