La finanza ha la fondamentale responsabilità di traghettare i capitali verso la transizione energetica. Se ne è discusso al Salone del Risparmio 2022.
I capitali in fuga da carbone e petrolio valgono 6.000 miliardi di dollari
Nato dal basso, il movimento per disinvestire da carbone e petrolio ormai è diventato grande. In tutto sono stati ritirati 6mila miliardi di dollari.
Sono quasi mille gli investitori istituzionali (cioè fondi pensione, assicurazioni e così via) che si sono impegnati a disinvestire da carbone e petrolio. Per un totale di seimila miliardi di dollari, poco più di cinquemila miliardi di euro, che sono già stati ritirati o lo saranno a breve. E che quindi non andranno più a finanziare quelle fonti di energia che sono contribuiscono in modo così pesante ai cambiamenti climatici, con tutto ciò che ne consegue per la salute del nostro Pianeta e di cui lo abita. Lo dimostra un report di Arabella Advisors.
Fossil fuel divestment has become a global phenomenon. A new report was released, shows that close to 1000 institutional investors with $6.24 trillion in assets have committed to divest from fossil fuels. #divestinvest #fossilfree https://t.co/mAeIyTmVG7 pic.twitter.com/ZPpCS6kS8T
— 350 dot org (@350) 10 settembre 2018
Fondi sovrani, assicurazioni, fondi pensione: tutti pronti a disinvestire da carbone e petrolio
Ora per la precisione siamo a quota 6.240 miliardi di dollari, ma la precedente edizione dello stesso report (che risale al 2016) arrivava a una stima complessiva di 5.000 miliardi di dollari. Tornando ancora indietro di quattro anni, i miliardi erano soltanto 52. Ciò significa che, in un lasso di tempo così limitato, si è segnato un aumento dell’11.900 per cento.
Ma chi dobbiamo ringraziare per questi progressi così vertiginosi? In primo luogo le compagnie di assicurazione, che da sole coprono circa la metà di questa cifra. Secondo la coalizione di ong Unfriend Coal, sono ormai 15 le assicurazioni che hanno già abbandonato il carbone o l’hanno depennato dalle opzioni per i loro futuri investimenti. Le più note sono la francese Axa e l’inglese Lloyd’s di Londra, ma hanno intrapreso questa strada anche Zurich Insurance Group, Swiss Reinsurance Company, SCOR Se, Storebrand e lo State Compensation Insurance Fund della California.
Anche i fondi sovrani stanno facendo la loro parte. Ha fatto notizia la decisione dell’Irlanda, che ha ceduto tutti i suoi investimenti nei combustibili fossili. Il suo fondo sovrano è molto piccolo rispetto ad altri, con un volume di asset pari a 8,9 miliardi di euro, ma si è trattato pur sempre del primo stato al mondo a prendere una decisione così netta. Il fondo sovrano più grande al mondo, quello norvegese, deve la sua fortuna proprio al petrolio, ma ha deciso che la strada più prudente dal punto di vista puramente economico è quella di liberarsene (già nel 2015 aveva fatto la stessa scelta con il carbone).
A partire dal 2016, continua il report di Arabella Advisors, ben 61 fondi pensione hanno promesso di diventare “fossil free”. All’inizio del 2018 Bill de Blasio, sindaco della città di New York, si è impegnato a disinvestire il fondo pensionistico cittadino dai combustibili fossili.
Continuano a dimostrarsi molto attivi e determinati gli enti filantropici, le organizzazioni religiose e le università: da loro arriva ben il 60 per cento di tutti i nuovi annunci dell’ultimo biennio. D’altra parte, questo movimento aveva mosso i suoi primi passi proprio nei campus americani. A sette anni di distanza, ormai coinvolge 37 paesi in tutto il mondo.
Le big del petrolio e del carbone non possono più chiudere gli occhi
Il movimento per disinvestire da carbone e petrolio, insomma, è iniziato dal basso e ha trovato la sua forza nel sostegno della popolazione, che in questi anni non ha esitato a scendere in piazza. Arrivato a questo punto, è diventato impossibile da ignorare.
Come sottolinea il report di Arabella Advisors, l’ultimo report annuale di Shell sostiene a chiare lettere che questo trend potrebbe ostacolare lo sviluppo di nuovi progetti, far diminuire la domanda per i combustibili fossili e complicare l’accesso ai capitali. Un’ammissione simile arriva da Chevron, che paventa il rischio di dover cambiare radicalmente modello di business.
I loro momenti di incontro con i soci, proprio per questo, sono diventati sempre più delicati. In certi casi, battaglieri. Il quotidiano Guardian cita per esempio i dati di As You Sow, una coalizione di investitori attivi: tra il 2012 e il 2018, alle assemblee degli azionisti di 24 big statunitensi dell’energia sono state presentate ben 160 risoluzioni relative ai cambiamenti climatici.
La transizione energetica, in poche parole, è in corso. E le sue implicazioni di carattere economico e finanziario sono reali e tangibili.
Foto in apertura © 350.org / Flickr
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