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Dislessia evolutiva. Cosa sono i Dsa, quali sono i sintomi e come ricevere aiuto
La dislessia evolutiva è disturbo che ostacola la rapidità e la correttezza della lettura. Molti studi demarcano la sua origine genetica
Non è la maestra che insegna a leggere ai bambini. Si potrebbe dire che sono sempre papà e mamma che lo fanno, sino da quando il bambino è ancora nella pancia della mamma. Che la capacità di leggere le parole sia un’abilità geneticamente determinata non è più un mistero. I bambini nascono con competenze specifiche che, una volta raggiunti i cinque-sei anni, consentono, con la semplice esposizione alla lingua scritta, di automatizzare questo processo. Tutti i bambini che devono imparare sistemi scritti alfabetici, in breve tempo (due anni circa di scuola) sono in grado di leggere le parole rapidamente e correttamente senza dedicare più a questo atto nessuna attenzione: in automatico, per l’appunto.
Cos’è la dislessia
A tali conoscenze si è arrivati studiando le cause di un disturbo specifico dell’apprendimento (Dsa) che impedisce proprio di automatizzare l’atto di lettura: la dislessia evolutiva, disturbo che ostacola la rapidità e la correttezza della lettura. I dislessici sono molto lenti e commettono molti errori (sostituzioni, elisioni, inversioni, trasposizioni di lettere): per esempio potrebbero leggere la parola “finestra” “vinestra” o “finistera” o “finerta” ecc.).
Dislessia evolutiva, cause
Queste difficoltà non dipendono da un difetto di intelligenza o da scarsa capacità di attenzione, oppure dai metodi usati dalla maestra per insegnare a leggere. Oggi l’universo scientifico riconosce che la dislessia evolutiva è un disordine neurologico di origine genetica, e che tale disordine permane nel tempo e può manifestarsi associato ad altri Dsa: disortografia, disgrafia, discalculia. Le precise cause biologiche e cognitive alla base della dislessia e le sue componenti genetiche sono a ogni modo ancora ampiamente dibattute.
Parlare di dislessia vuol dire anche fare attenzione alle emozioni e reazioni dei genitori, nel momento in cui ricevono la diagnosi di dislessia dei propri figli e si rendono conto di poter essere stati loro ad aver trasmesso tale disabilità. È importante che i professionisti che fanno la diagnosi o associazioni come l’Associazione italiana dislessia (che riunisce circa 2mila genitori) aiutino papà o mamma a elaborare eventuali “falsi sensi di colpa”; spesso la diagnosi del figlio è un’occasione anche per il genitore “portatore” di capire l’origine della sua difficoltà e di rileggere in una nuova luce le frustrazioni vissute spesso in lunghi anni di scuola, o spesso anche nel lavoro. Gli studi sulla familiarità della dislessia evolutiva evidenziano che il 40 per cento dei papà e il 23 per cento delle mamme dei bambini dislessici evolutivi è anche esso affetto dallo stesso disturbo.
Sintomi della dislessia: come riconoscerla
Le conoscenze sulla familiarità della dislessia evolutiva sono sempre più allargate: capita sempre più spesso che i genitori chiedano ai servizi di Neuropsichiatria infantile di accertare se il proprio figlio abbia o no il disturbo. Il consiglio dello psicologo, del medico e dell’Associazione italiana dislessia è quello di non esagerare le preoccupazioni ma di seguire con attenzione i primi passi dei bambini nell’alfabetizzazione: se a gennaio/febbraio della prima elementare sono evidenti delle difficoltà di lettura e di scrittura sarà opportuno rivolgersi a un servizio di Neuropsichiatria infantile.
È importante che genitori, pediatri ed educatori di scuola materna osservino con attenzione lo sviluppo del linguaggio del bambino tra i quattro e i sei anni. Tutti i bambini piccoli, fino a tre anni, parlano “storpiando” le parole; se tale fenomeno perdura in maniera sensibile anche dopo i quattro-cinque anni è bene far visitare il bambino da un neuropsichiatra infantile e da una logopedista. I disturbi della parola nell’80 per cento dei casi sono un forte elemento di rischio di un disturbo dell’automatizzazione della lettura e della scrittura.
La dislessia evolutiva e la lingua inglese
Il rapporto tra dislessia evolutiva e apprendimento della lingua inglese scritta è particolarmente marcato. Perché? Nei paesi anglosassoni il numero dei soggetti dislessici evolutivi è molto più alto di quello relativo all’Italia; tra la popolazione scolastica si passa dal 5 al 7 per cento, e in Inghilterra i dati forniti dalla British dyslexia association parlano, sempre tra la popolazione scolastica, di un 4 per cento di soggetti gravi. Il cervello degli inglesi è forse diverso da quello degli italiani? No. Quella che è molto diversa è la struttura dell’ortografia. La lingua inglese contiene un numero elevato di parole irregolari, ha una regola fono-grafica molto meno regolare di quella italiana (le lingue europee con l’ortografia più regolare sono l’italiano, appunto, il finnico e lo sloveno) e ha un numero elevato di parole monosillabiche. Tali caratteristiche rendono più complesso il processo di lettura e di scrittura della parole e di ciò soffrono particolarmente i soggetti dislessici evolutivi. Se un bambino evidenzia dislessia nella lettura della lingua italiana tale disturbo si presenterebbe in maniera molto più intensa se dovesse trovarsi in Inghilterra o negli Stati Uniti.
L’apprendimento della lingua scritta inglese per i dislessici italiani è un costante motivo di insuccesso e di frustrazione. Ma c’è di più: i bambini inglesi impiegano più tempo di quelli italiani per leggere e scrivere rapidamente e correttamente le parole, infatti solo in quarta elementare raggiungono la piena padronanza della loro lingua, che praticano tutti i giorni; è evidente quindi quanto siano svantaggiati i dislessici italiani nell’apprendimento di questa lingua straniera. Le nuove disposizioni del ministero dell’Istruzione hanno introdotto la lingua inglese sino dalla prima elementare, ma una recente circolare stabilisce che tutti i bambini che hanno una refertazione di dislessia evolutiva possono essere esonerati dall’apprendimento della lingua inglese scritta.
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