Roberta Redaelli, nel suo saggio Italy & Moda, raccoglie le voci del tessile. E invita il consumatore a fare scelte che lo spingano alla sostenibilità.
Storie di una moda possibile, il documentario che spiega l’impatto della fast fashion
Il documentario realizzato da Stefano Girardi spiega l’impatto della fast fashion e un’altra moda possibile, attraverso le voci di tre realtà virtuose.
C’è un’altra moda possibile, oltre a quella usa e getta, dai ritmi forsennati, oltre alla fast fashion cui tutti siamo ormai abituati. Ed è quella che si vede nel documentario Storie di una moda possibile, realizzato da Stefano Girardi e prodotto da Mani tese e istituto Oikos, che spiega non solo gli impatti della moda veloce, ma attraverso le voci di tre realtà produttive virtuose ci racconta anche che è fattibile adottare un modello di produzione efficiente e allo stesso tempo gentile nei confronti del Pianeta.
Il documentario Storie di una moda possibile
L’industria dell’abbigliamento è una delle più impattanti a livello globale dal punto di vista ambientale e sociale. Ancor più da quando è iniziata l’era dalla fast fashion: i prezzi si abbassano, e così anche la qualità dei capi, raddoppiano le collezioni, la domanda si impenna, aumentano i volumi degli ordini e la velocità di produzione – sulla pelle dei lavoratori che la maggior parte delle volte si trovano nei paesi dove il costo della manodopera è più basso –, si riduce il ciclo di vita dei prodotti. È un circolo vizioso che potenzialmente non avrebbe mai fine, se non fosse per quelle realtà che decidono di adottare modelli di produzione più sostenibili da un punto di vista ambientale e sociale.
Realtà come Manigolde, Rifò lab e Produzione lenta, cioè le tre aziende protagoniste del documentario Storie di una moda possibile – visibile gratuitamente online sui canali Youtube di Mani tese e di istituto Oikos –, in cui Stefano Girardi ha voluto mostrare un modo diverso di produrre i nostri vestiti attraverso i protagonisti di chi quegli abiti li fa adottando modelli di business e pratiche virtuosi.
Il documentario, realizzato nell’ambito del progetto Cambia moda! – Dalla fast fashion a una filiera tessile trasparente e sostenibile, co-finanziato dall’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo, mira a dimostrare come ci siano tante realtà produttive italiane in controtendenza rispetto alle logiche di business dominanti. Aziende che pongono l’attenzione verso la qualità, l’ambiente e le persone al centro del proprio operato.
Chi sono i protagonisti del documentario
Il 60 per cento dei vestiti in circolazione finisce in discarica entro un anno dal momento in cui viene realizzato e per la produzione di un chilogrammo di tessuto ne vengono emessi 17 di anidride carbonica. Sono le conseguenze della moda usa e getta, cui Manigolde, Rifò lab e Produzione lenta tentano di opporsi. Sono infatti loro i protagonisti del documentario.
Manigolde è una sartoria sociale al femminile, lanciata nel 2019 sulla base dell’esperienza ventennale di Mani tese Finale Emilia nella gestione di mercatini dell’usato, e crea intere collezioni a partire da eccedenze di tessuti, accessori industriali e dai capi d’abbigliamento che vengono donati.
Rifò lab, invece, sposa la filosofia dell’economia circolare e produce capi e accessori di alta qualità con fibre tessili rigenerate e rigenerabili, attingendo dal sapere artigianale dei “cenciaioli” toscani. Di Produzione lenta, infine, ci dice tutto il nome: si tratta di una micro-impresa della provincia di Cuneo che basa la propria produzione su una filosofia 100 per cento slow fashion, da cui prendono vita capi di abbigliamento biologici e sostenibili – “oltre che belli!”, come ci tengono a precisare – legati al territorio e alla natura. Sono tre esempi, ma come loro ce ne sono tanti altri, di come sia possibile fare moda senza trascurare la qualità, l’ambiente e le persone.
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