Dopo le decisioni di numerosi social network di bloccare gli account del presidente americano Donald Trump, ci si interroga sul potere di tali piattaforme.
La notizia è arrivata venerdì 8 gennaio. Il social network Twitter ha deciso di sospendere l’account del presidente degli Stati Uniti Donald Trump. E di farlo “in modo permanente”. Una decisione giustificata dal fatto che il miliardario americano avrebbe “ancora una volta incitato alla violenza”. Con particolare riferimento a quanto accaduto al Campidoglio, con il congresso assalito da migliaia di rivoltosi chiamati a raccolta proprio dal leader statunitense.
Il botta e risposta tra Twitter e il presidente americano Donald Trump
“Dopo aver esaminato il contenuto dei recenti tweet pubblicati dall’account @realDonaldTrump, e tenuto conto del contesto attuale, abbiamo deciso per la sospensione al fine di limitare i rischi”, si legge nella nota. Un’affermazione alla quale ha risposto immediatamente lo stesso Trump, utilizzando l’account presidenziale @POTUS: “Twitter si è spinto ancora più in là nell’imbrigliare la libertà d’espressione. Questa sera, i suoi impiegati hanno coordinato con i democratici e con la sinistra radicale la cancellazione dell’account. Per fare tacere me e voi, i 75 milioni che hanno votato per me”.
Una rappresaglia, dunque, secondo il presidente uscente. Sul cui capo, però, sono piovute accuse non soltanto dai social, ma anche e soprattutto dalle istituzioni. Il suo vicepresidente Mike Pence lo ha di fatto abbandonato, condannando quanto avvenuto al Campidoglio e affermando che sarà presente alla cerimonia di insediamento del nuovo presidente Joe Biden (mentre Trump ha annunciato che non parteciperà). E la speaker della Camera dei rappresentanti, Nancy Pelosi, ha reso noto che al vaglio c’è la possibilità di una nuova procedura di impeachment contro Trump, proprio a causa del suo comportamento ambiguo rispetto alle manifestazioni degenerate a Washington.
Il dibattito sul potere dei social network
Ma al di là della vicenda in sé, ciò che sta emergendo è un vivo dibattito sul ruolo e sul potere dei social network. Questi ultimi hanno dimostrato, di fatto, di avere la capacità di impedire a qualcuno di esprimersi. Perfino a un presidente in carica. E lo fanno non sulla base di leggi dello stato, o per lo meno non soltanto facendo riferimento ad esse: lo fanno sulla base di regole di cui essi stessi si sono dotati. In totale autonomia. La domanda che ci si pone è dunque: una simile “autogestione” da parte di tali piattaforme si concilia con la necessità di garantire la libertà d’espressione (pur limitata dalla legge, e punita dalle autorità competenti) come richiamato dallo stesso presidente americano? È possibile lasciare a dei privati così tanto potere su un fattore di estrema importanza come l’informazione?
1. Due to the disturbing events that transpired yesterday, and given that the election results have now been certified, starting today *any* channels posting new videos with false claims in violation of our policies will now receive a strike. https://t.co/aq3AVugzL7
Va detto che azioni simili a quella di Twitter, in effetti, sono state avviate anche da numerosi altri social network. A cominciare dalla sospensione temporanea decisa da Facebook. Ma poi anche YouTube ha adeguato le proprie regole sui video pubblicati che presentano “disinformazione”. E in particolare quelli in cui si afferma che le elezioni negli Stati Uniti sarebbero state truccate. Essi ora potranno ricevere direttamente uno strike. Ovvero un blocco del canale per una settimana. E dopo tre strike, l’account viene eliminato.
Le posizioni di Michelle Obama e Rudy Giuliani
Ancora, TikTokha annunciato la cancellazione di numerosi video di discorsi di Donald Trump, nonché il divieto di utilizzo di alcuni hashtag, come nel caso di #patriotparty, utilizzato in forma di sostegno al presidente uscente. Ancor più dura la posizione di Snapchat, che ha bloccato l’account del miliardario americano, esattamente come fatto dal servizio di video in diretta Twitch. Perfino la società canadese Shopify, che ha fornito sistemi di marketing per la campagna elettorale di Donald Trump, ha deciso di chiudere l’account di Trump.
Decisioni che hanno diviso ancor di più la società americana. Da una parte coloro che appoggiano le restrizioni, dall’altra quelli che sottolineano come si tratti di società private che censurano il capo di stato di una nazione democratica. Nel primo campo si è schierata nettamente Michelle Obama, moglie dell’ex presidente democratico Barack: “È ora che la Silicon Valley metta al bando definitivamente quest’uomo e adotti regole che impediscano ai capi di stato di utilizzare le loro piattaforme per incitare alla ribellione”.
Intervenuto anche il presidente del Messico Andres Manuel Lopez Obrador
C’è inoltre chi accusa le “reti” di aver diffuso senza intervenire discorsi estremisti nel corso degli ultimi quattro anni. E di cambiare rotta solo ora che Trump si appresta ad abbandonare la Casa Bianca. Di avviso opposto l’avvocato Rudy Giuliani, che (sempre su Twitter) si è chiesto: “Chi sarà il prossimo ridotto al silenzio?”. Mentre l’ex direttore della campagna di Trump, Brad Parscale, ha posto i seguenti quesiti: “D’ora in poi anche i fornitori di energia elettrica gli taglieranno l’erogazione? Gli toglieranno anche l’acqua? Gli lasceranno la tv via cavo?”. Ancor più duro l’avvocato cospirazionista Sydney Powell, che ha parlato di “fascismo” (anche lui è stato espulso da Twitter).
Attenzione, però, a criticare la decisione dei social network non sono solo i sostenitori di Trump. Il presidente messicano Andres Manuel Lopez Obradorha criticato venerdì 8 gennaio “l’onnipotenza e l’arroganza” di Mark Zuckerberg (fondatore di Facebook), chiedendosi: “Cosa ne sarà della libertà e del diritto all’informazione? E qual il ruolo delle autorità legalmente e legittimamente costituite?”.
I know a lot of folks in the comments read this are like "YAAAAS," which, like—I get it. But imagine for a moment a world that exists for more than the next 13 days, and this becomes a milestone that will endure.
Il whistleblower Edward Snowden: “Pensiamo al futuro”
Sulla vicenda si è poi espresso il whistleblower (informatore) Edward Snowden, di certo non un sostenitore di Trump. Il giorno prima della decisione di Twitter, aveva scritto, commentando la sospensione ordinata da Facebook: “So che molti la prenderanno come un sospiro di sollievo, ma riflettete un attimo al mondo che ci sarà dopo questi 13 giorni”. Il riferimento è al tempo in cui Trump rimarrà ancora in carica prima dell’arrivo ufficiale di Biden. Nel corso del cui mandato la questione della “supervisione democratica” su tutti i mezzi d’informazione sarà inevitabilmente all’ordine del giorno.
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