Nella regione del Sahel, sconvolta da conflitti inter comunitari e dai gruppi jihadisti, 29 milioni di persone hanno bisogno di assistenza umanitaria.
Donatella Di Cesare, filosofa. I migranti economici non sono “intrusi”
“La distinzione tra migranti economici e rifugiati politici è insensata”. Intervista alla filosofa Donatella Di Cesare, nell’epoca dei sovranismi, dei muri e delle discriminazioni in crescita.
La distinzione fra migranti economici e rifugiati politici appare sempre più inadeguata. Per la filosofa Donatella Di Cesare, impegnata nel dibattito pubblico e internazionale, sia accademico che mediatico, è addirittura insensata. “Nel mio libro ‘Stranieri Residenti. Una filosofia della migrazione’ (Bollati Boringhieri 2017, ndr) ho dedicato molte pagine a spiegare che si tratta di una differenziazione fittizia e strumentale”, ci spiega. “Le cause che spingono a migrare sono intrecciate. Per ogni persona che fugge ci sono tante ragioni diverse: miseria, povertà, persecuzione”.
La direttrice generale di Cesvi Daniela Bernacchi – nel corso di un’intervista rilasciata di recente a LifeGate – ha spiegato come la la fame e l’insicurezza alimentare siano connesse ai flussi migratori. Con la professoressa Di Cesare, che insegna Filosofia teoretica alla Sapienza di Roma, approfondiamo la figura dell’esule, le categorie ad esso applicate dal diritto internazionale e le politiche sovraniste che mirano a respingere proprio i più poveri.
L’epoca dello scontro fra Stato, cittadini e migranti “economici”
Di Cesare spiega di essersi dedicata ai migranti perché aveva lavorato “a lungo su alcuni temi, ad esempio quello dello straniero o dell’ospitalità, e anche per il disappunto e la delusione verso il dibattito pubblico in Italia, dove tutto viene semplificato e banalizzato”. In precedenza, aveva affrontato il tema della Shoah in diversi libri: Heidegger e gli ebrei – I quaderni neri e Tortura, entrambi editi da Bollati Boringhieri, Terrore e modernità pubblicato da Einaudi. Nel 2015 le era stata assegnata la scorta per minacce da gruppi neonazisti e neofascisti, che però le è stata tolta qualche mese fa – in concomitanza con il costituirsi del nuovo governo giallo-verde – senza spiegazioni, come da lei stessa denunciato. Gli interrogativi etici e politici sulla violenza nell’età della globalizzazione l’hanno spinta a studiare il fenomeno della tortura e quello del terrore, volto oscuro della guerra civile globale. È in tale contesto che ha ripreso a occuparsi del tema della sovranità, e in particolare dello scontro epocale fra lo Stato e i migranti. E il 25 ottobre esce – sempre con Bollati Boringhieri – un suo nuovo saggio Sulla vocazione politica della filosofia.
La fame è una delle principali cause che spinge le persone ad attraversare il Mediterraneo. Eppure si continua a distinguere fra migranti economici e rifugiati. Si può dire che questa differenziazione è ingiusta?
Non è ingiusta. Non ha proprio ragione di essere. Non ha senso.
Perché?
Nel mio ultimo libro ho dedicato molte pagine a spiegare che si tratta di una distinzione fittizia e strumentale. Serve soltanto per trovare un criterio che argini il fenomeno e metta la coscienza a posto. Le cause che spingono a migrare sono intrecciate. Per ogni persona che fugge ci sono tante ragioni diverse: miseria, povertà, persecuzione. Inoltre, l’asilo politico è un’istituzione antiquata.
Ovvero?
Risale al periodo della Guerra fredda, quando arrivavano in Occidente gli esuli da Polonia, Cecoslovacchia e così via. Oggi non si capisce su quali basi i motivi politici debbano essere più importanti di quelli economici. È un retaggio che non ha alcun senso nel 2018. Viviamo in un’epoca completamente diversa, ma continuiamo a utilizzare schemi inadeguati.
Se all’epoca dei movimenti neo-global e dei World social forum, 20, 10 anni fa, esisteva un germe di dibattito sull’insensatezza di tale distinzione, negli ultimi mesi sembra che si vada in una direzione opposta. Come si può cambiare l’immaginario sui migranti?
Bisogna riflettere ed essere consapevoli del punto di vista che adottiamo. Noi assumiamo quello dei cittadini. Ci collochiamo all’interno di uno Stato e da una prospettiva interna valutiamo gli avvenimenti, anche sulla base di nostri ‘privilegi’. Il grande iato odierno è fra i diritti dei cittadini da una parte, che sono garantiti dallo Stato, e dall’altra i diritti di coloro che non hanno uno Stato a proteggerli, perché lontano, debole. Per queste persone i diritti umani dovrebbero valere ancora di più, ma nessuno se ne cura. Si assiste, così, a uno scontro fra cittadini e migranti.
Il problema della contrapposizione fra diritti dei cittadini e diritti umani a quando risale?
Già ai tempi della Seconda guerra mondiale, raggiungendo in alcuni momenti vette di astrazione. Con l’hitlerismo, invece, si voleva decidere con chi coabitare, ma secondo me i cittadini non hanno questo diritto. Siamo ancora portati a pensare che i cittadini siano arbitri assoluti, col diritto di discriminare, escludere, non far entrare nel territorio nazionale.
Lo Stato nazione è visto dai sovranisti come fenomeno “naturale”.
Ma non lo è. È un fenomeno storico. Noi viviamo nella nuova età dei muri. Quando qualcuno mette in discussione i confini degli Stati nazione, si hanno come reazioni il sovranismo e il nazionalismo. E’ un fenomeno epocale connesso alla globalizzazione, come la migrazione.
Qual è il ruolo dell’Unione europea?
L’Ue non sarebbe dovuta essere un coacervo di Stati nazione, ma una forma politica nuova, post-nazionale. Anche il concetto di ‘nazione’ basato sulla nascita è un mito greco, ateniese, che ha fatto molti danni. Il problema è che il ‘demos’ non può essere l’’ethnos’, cioè il popolo non può essere circoscritto in base all’etnia. Una democrazia non può reggersi su fondamenta etniche. Tutti, nella loro diversità, debbono avere uguali diritti. Se si discrimina in base all’etnia, si pregiudica la democrazia stessa. Eppure stiamo andando in questa direzione.
A un anno dall’uscita del suo libro sugli “Stranieri Residenti”, sono accadute molte cose. Un nuovo governo italiano con spinte sovraniste, i noti casi delle navi di migranti respinte, altri morti nel Mediterraneo, la fame in crescita.
Nella mia personale esperienza, andando a parlare nei posti più disparati, ho registrato anche una forte opposizione, un grande bisogno di riflessione, di comprendere, di sentire una narrazione diversa, di andare oltre gli slogan. Se non si conoscono le questioni della cittadinanza, dello Stato nazione, come si fa ad affrontare la migrazione? È grave che nel dibattito pubblico non ci sia una discussione. I media hanno molte responsabilità, perché da una parte rinunciano a spiegare e dall’altra assecondano un’opinione pubblica che assume molto superficialmente un atteggiamento xenofobo.
Circolano semplificazioni, come quella di Matteo Salvini “un nigeriano non può venire in Italia perché nel suo Paese non c’è la guerra”. In realtà, in Nigeria c’è stata una carestia, si può parlare di un conflitto aperto, persecuzioni, terrorismo, più problemi che affliggono la popolazione.
La semplificazione più grave, in ordine di tempo, è il decreto dell’attuale governo in cui la migrazione viene collegata alla sicurezza.
E si è parlato erroneamente di invasione.
I migranti, però, non sono considerati ‘nemici’ e neppure ‘stranieri’. Non godono dell’aura dell’altrove. Sono i poveri dei poveri e per questo motivo i malvenuti. Gli intrusi.
Gli ultimi degli ultimi.
Non viene riconosciuta loro alcuna dignità.
Gli affamati, che non possono garantire un’esistenza dignitosa a loro stessi e alle loro famiglie.
Saremmo a un passo dallo sconfiggere la fame, ma ci sono tutti questi ostacoli politici ad allontanarci dall’obiettivo. Mi riferisco alle politiche migratorie sovraniste.
Non crede che anche l’Onu, in particolare l’Alto commissariato Onu per i rifugiati e l’Oim, siano in ritardo nell’adozione di un concetto di flussi misti? E, proprio nel Mediterraneo, la loro presenza sia stata troppo debole nella protezione dei migranti?
Il grande problema di tutte le organizzazioni che operano in difesa dei diritti umani è che agiscono in uno spazio non statuale, al di sopra dello Stato nazione. Se non sono riconosciuti dagli Stati, sono di fatto impotenti.
Immagine di copertina: Migrante viene tratto in salvo nel mare di Lampedusa. 24 maggio 2018 Foto di Chris McGrath/Getty Images
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