Le novità introdotte dal governo per contenere la pandemia in Italia, a partire dal green pass rafforzato, o super green pass.
Le leader che hanno brillato nel buio della pandemia
I paesi guidati da donne si sono distinti per l’efficacia nel contenere gli impatti del coronavirus, grazie a un approccio basato su risolutezza, fiducia nella scienza ed empatia.
Sarebbe avventato e semplicistico dire che i paesi che meglio hanno reagito all’ondata della pandemia che ha travolto il mondo intero sono guidate da donne. Ma è possibile affermare che praticamente tutti i paesi con a capo donne hanno risposto in maniera eccellente. Pur rappresentando solo il 7 per cento dei leader mondiali, nella pandemia le donne sono riuscite a distinguersi e a far parlare di loro – positivamente – contribuendo a dare un barlume di speranza e umanità nel mezzo di un periodo buio e inedito.
I paesi che guidano sono diversi, si trovano ai poli opposti del globo, hanno geografie distinte, culture lontane, varie dimensioni, bandiere differenti. Ma tutti sono riusciti ad agire per tempo evitando conseguenze disastrose, e potrebbero servire come esempio per l’efficacia dell’azione in situazioni straordinarie.
Risolutezza, scienza ed empatia
Alcuni giornali internazionali – dal New York Times a Forbes – hanno analizzato questo filo comune riscontrando una combinazione di fattori che altri paesi non hanno saputo dimostrare: risolutezza, fiducia nella tecnologia e nella scienza, ed empatia.
Questi tre elementi potrebbero essere considerati la base di ogni decisione in qualsiasi ambito della società e della nostra vita, ma diventano ancor più essenziali e significativi quando in gioco c’è il presente e il futuro di un’intera popolazione. In questo senso, i passaggi fondamentali sono riconoscere immediatamente il pericolo come tale, affidarsi al giudizio e all’opinione degli esperti abbracciando le misure necessarie, e riuscire a instaurare una comunicazione di fiducia con le persone.
Taiwan, Nuova Zelanda e Germania
Taiwan con la sua presidente Tsai Ing Wen è stato uno dei primi paesi ad agire quando ancora il virus era lontano dall’essere definito pandemia. Fin da subito, infatti, quando Ing Wen ha sentito dei casi di Wuhan a dicembre, sono state introdotte oltre 100 misure per contenere una possibile diffusione nel paese, tra cui la riduzione dei voli provenienti dalla vicina Cina, l’ispezione di quelli provenienti da Wuhan, e l’aumento della produzione di materiale sanitario. Così facendo, il paese ha registrato circa 400 casi e solo 7 morti, non dovendo adottare un lockdown come altrove e offrendo successivamente il proprio supporto inviando milioni di mascherine nelle aree più colpite in Europa e Stati Uniti.
Jacinda Ardern, prima ministra della Nuova Zelanda, è stata elogiata per aver non solo contenuto la diffusione del virus, ma per averlo praticamente sconfitto. Agendo con anticipo e in maniera decisiva non appena si iniziavano a registrare i primi casi nel paese ha chiuso i confini e indetto il confinamento della popolazione di quattro settimane, dichiarando l’allerta. Il paese ha registrato circa 1.500 casi e 21 morti. Quello che l’ha fatta emergere è stato anche l’approccio empatico e pragmatico che ha dimostrato il suo essere davvero al fianco dei neozelandesi.
Leggi anche: Il pragmatismo empatico di Jacinda Ardern. Così la Nuova Zelanda sta battendo il coronavirus
A partire dalle dirette Facebook fatte da casa, in vesti non ufficiali per spiegare ai cittadini in maniera chiara e diretta gli aggiornamenti sulle misure di allerta comunicati nelle conferenze stampa precedenti, o le decisioni insieme ad altri ministri di tagliare del 20 per cento il loro stipendio come simbolo di solidarietà nei confronti di chi affronta difficoltà economiche a causa dell’emergenza e di proporre la settimana lavorativa di quattro giorni come modo per ripartire incentivando l’economia, il turismo e migliorando l’equilibrio vita-lavoro delle persone. Fino ad arrivare al ringraziamento della sua “squadra di 5 milioni di persone” – i neozelandesi – per aver accettato e rispettato le regole ed aver quindi permesso di raggiungere i risultati per poter iniziare ad allentare le misure di contenimento.
Angela Merkel, cancelliera della Germania, ha dichiarato fin da subito che il coronavirus rappresentava la più grande minaccia dal dopoguerra e che si trattava si una questione seria, e di prenderla quindi come tale. I test sono iniziati subito così come il potenziamento del settore sanitario che in Europa è quello con più unità di terapia intensiva e attività di monitoraggio. La Germania ha infatti registrato molti meno casi e morti dei vicini Italia, Spagna e Francia.
Dai paesi nordici ai Caraibi
Dei cinque paesi nordici – Danimarca, Finlandia, Norvegia, Islanda e Svezia – quattro sono guidati da donne. E anche queste nazioni, a confronto con il resto dell’Europa, sono riuscite ad abbassare e contenere i numeri del contagio. Sanna Marin, prima ministra della Finlandia, e la più giovane al mondo, ha reso subito la capitale Helsinki zona rossa per evitare che il virus dilagasse senza controllo. Al momento i morti sono poco più di 300, neanche un decimo della vicina Svezia (governata da Stefan Löfven). Marin ha inoltre adottato una strategia di comunicazione per arrivare a tutti e, cosciente che non tutta la popolazione legge i giornali, si è avvalsa dell’”aiuto” degli influencer sui social per raggiungere anche i più giovani.
Siamo consapevoli che le comunicazioni del governo non arrivano a tutti. Prima questo era reso possibile attraverso la televisione, ma oggi i giovani in particolare accedono alle notizie attraverso i social media.
In Islanda la prima ministra Katrín Jakobsdóttir ha deciso di offrire test gratuiti a tutta la popolazione, e portando avanti gli esami random che hanno permesso di tracciare l’andamento del virus e scoprire prima di altri paesi che la maggioranza dei risultati positivi era asintomatica. Ad oggi il paese ha meno di duemila contagi e le morti sono state dieci.
In Norvegia la prima ministra Erna Solberg ha lanciato l’idea innovativa di usare la televisione per parlare direttamente ai bambini. Solberg ha infatti tenuto una conferenza stampa dove non erano ammessi adulti, rispondendo alle domande e ai dubbi dai bambini di tutto il paese e spiegandogli che è normale sentirsi spaventati.
Sono stati giorni speciali. Molti bambini pensano tutto ciò sia spaventoso. Va bene sentire paura quando succedono tante cose tutte insieme. Anche se la vostra scuola è stata contaminata, andrà bene. Anche la mamma e il papà staranno bene se si ammalano. Restando a casa aiutate le altre persone. È importante per chi è malato e chi è anziano.Erna Solberg, prima ministra norvegese
Mette Frederiksen, prima ministra della Danimarca, ha agito in anticipo chiudendo i confini del paese all’inizio di marzo e vietando gli assembramenti pubblici con più di dieci persone e chiudendo le scuole fin da subito. A questo ha unito una chiara comunicazione delle istruzioni da seguire, tra conferenze ufficiali e video da casa.
Anche dell’altra parte del mondo nella piccola nazione isola di Sint Maarten, nei Caraibi, la prima ministra Silveria Jacobs ha parlato chiaramente ai poco più dei 40mila abitanti dell’isola che ospita 500mila turisti all’anno descrivendo il virus come un grave rischio. Non volendo ricorrere al lockdown voleva però che le misure di distanziamento fossero osservate e lo ha reso chiaro: “Semplice, non vi dovete muovere. Se non avete il pane che vi piace in casa, mangiate i cracker. Mangiate i cereali, l’avena. Mangiate… le sardine”.
This is Silveria Jacobs, the PM of Sint Maarten & her speech says it all. She’s not playin games!!! pic.twitter.com/EObJKnpm8j
— Amaka Ubaka (@AmakaUbakaTV) April 10, 2020
Un nuovo modello di leadership
Pur adattati alla situazione e alle esigenze del proprio paese, ogni approccio delle leader nei confronti della pandemia ha mostrato e trasmesso calma, sicurezza e sensibilità, distinguendosi da quelli d’esclusione di diversi capi di stato che hanno sottovalutato o negato il problema o lo hanno preso come pretesto per prevaricare. Parole gentili e d’amore che si sono contrapposte a urla d’odio, presentando un modello di leadership diverso da quello a cui siamo abituati – di stampo prettamente maschile e maschilista. Un’abitudine che porta con sé quello che ormai ci si aspetta di vedere in un capo, che esclude le emozioni.
Non vedo nessuna contraddizione nell’essere empatici ed essere buoni leader. Non è debolezza, è forza.Ellen Johnson Sirleaf, ex presidente della Liberia
“Non vedo nessuna contraddizione nell’essere empatici e umani ed essere buoni leader. Non è debolezza, è forza”, ha commentato Ellen Johnson Sirleaf, ex presidente della Liberia parlando della sua esperienza nell’aver guidato il suo paese durante la diffusione del virus ebola nel 2014. Ricorda infatti di aver preso una decisione molto difficile nei confronti della popolazione, ovvero quella di cremare i corpi dei defunti per limitare la diffusione del virus, pratica però non ammessa nella tradizione buddista della maggioranza delle persone nel paese. “Queste decisioni devono arrivare da compassione e comprensione per poter guadagnare il supporto del pubblico”.
Come sottolinea il New York Times, i leader uomini hanno certamente dato prove di poter superare le aspettative, ma “per le donne potrebbe essere meno costoso in termini politici perché non devono violare nessuna norma percepita di genere per adottare politiche delicate o conservatrici”.
Eppure, secondo le Nazioni Unite, al primo gennaio di quest’anno, solo 10 dei 152 capi di stato in carica erano donne, e gli uomini rappresentavano il 75 per cento dei parlamentari, il 73 per cento dei manager e il 76 per cento delle persone nei mezzi di comunicazione. “Abbiamo creato un mondo dove le donne sono schiacciate in un piccolo 25 per cento di spazio, sia nei luoghi dove si prendono le decisioni sia nelle storie che raccontiamo. Un quarto non è abbastanza”, ha detto la direttrice esecutiva di UN Women, Phumzile Mlambo-Ngcuka.
Abbiamo creato un mondo dove le donne sono schiacciate in un piccolo 25 per centoPhumzile Mlambo-Ngcuka, direttrice esecutiva di UN Women
La pandemia, quindi, è stata un banco di prova per ogni leader del mondo e la dimostrazione che c’è molto da imparare da alcuni di loro, mettendo in mostra quali sono gli elementi per agire con successo anche in altre emergenze, come quella climatica e ambientale. Infine, è l’opportunità, da non perdere, per capire che è finalmente tempo di cancellare quelle linee tracciate ormai anacronistiche – un po’ come ci ha insegnato il virus che non bada a età, sesso o nazionalità – superando qualsiasi tipo di distinzione. E che dovremmo eleggere più donne perché occupino il posto che si meritano.
Siamo anche su WhatsApp. Segui il canale ufficiale LifeGate per restare aggiornata, aggiornato sulle ultime notizie e sulle nostre attività.
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.
In Africa solo 15 stati hanno vaccinato il 10 per cento della popolazione entro settembre, centrando l’obiettivo dell’Organizzazione mondiale della sanità.
Geograficamente isolati e assenti dalle statistiche, i popoli indigeni pagano a caro prezzo la pandemia. Accade nell’Himalaya come in Brasile.
Due le ipotesi al vaglio: il passaggio da animale a uomo, o l’incidente nel laboratorio di Wuhan. I primi aggiornamenti sono attesi tra 90 giorni.
Continua a peggiorare la situazione in India: sono 300mila le persone uccise dalla Covid-19. Ad aggravare il quadro l’arrivo del ciclone Yaas.
I cani sarebbero più affidabili e veloci dei test rapidi per individuare la Covid-19 nel nostro organismo. E il loro aiuto è decisamente più economico.
L’accesso ai vaccini in Africa resta difficile così come la distribuzione. Il continente rappresenta solo l’1 per cento delle dosi somministrate nel mondo.
In India è stato registrato il numero più alto di decessi per Covid-19 in un singolo giorno. Intanto il virus si sposta dalle città alle zone rurali.
La sospensione dei brevetti permetterebbe a tutte le industrie di produrre i vaccini, ma serve l’approvazione dell’Organizzazione mondiale del commercio.