Roberta Redaelli, nel suo saggio Italy & Moda, raccoglie le voci del tessile. E invita il consumatore a fare scelte che lo spingano alla sostenibilità.
Donne maasai e Istituto Oikos, insieme per una linea di accessori solidali in pelle lavorata naturalmente
Grazie all’Istituto Oikos prende il via una startup di accessori fatti dalle donne maasai in Tanzania lavorando la pelle con un metodo antico e sostenibile. A raccontarci l’impresa è la stilista di moda etica Marina Spadafora.
Una startup di moda sostenibile che realizza accessori fatti dalle donne maasai in Tanzania usando la pelle conciata con una tecnica vegetale, ovvero completamente naturale. Pelle ottenuta dal bestiame che allevano le comunità maasai, la cui cultura è tradizionalmente basata sulla pastorizia. Dietro c’è l’Istituto Oikos, organizzazione no profit nata a Milano nel 1996 e impegnata nei paesi in via di sviluppo con progetti per la gestione responsabile delle risorse naturali.
Forte del successo ottenuto con Tanzania maasai women art, una linea di gioielli di alta qualità che combina lo stile tradizionale africano con l’eleganza italiana, Oikos lancia questa nuova impresa sociale all’interno del progetto Terra, finanziato dall’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo e supportato dal Comune di Milano, dalla storica conceria toscana Newport che ha messo a disposizione dell’iniziativa le sue competenze nel settore della pelletteria, e dalla Nuova accademia di belle arti (Naba) con cui si intende avviare un programma di interscambio dedicato agli studenti di design di moda.
Le donne maasai e la lavorazione sostenibile della pelle
La startup è costituita da due differenti realtà situate nella regione di Arusha nel nord della Tanzania: la piccola conceria ai piedi del monte Meru che trasforma le pelli scartate dai capi di bestiame conciandole al naturale, e il laboratorio dove prende vita una collezione di borse, cinture e altri accessori di piccola pelletteria. La linea è interamente fatta a mano da 25 donne maasai guidate dalla designer di moda etica Marina Spadafora, impegnata in prima persona in qualità di direttrice creativa del progetto, secondo la quale ci sono tutte le prerogative per convertire questa semplice iniziativa solidale in una vera e propria impresa.
Abbiamo parlato con la stilista, coordinatrice della sezione italiana del movimento internazionale Fashion revolution, in occasione della presentazione dell’impresa sociale all’Acquario civico di Milano il 14 dicembre. Ci ha riportato che, trattandosi di una collezione pilota non ancora commerciabile, “si erano ipotizzati due tipi di business: uno proprio della vendita diretta di pelli conciate alle case di lusso in Italia con marchio Maasai’s leather. Poi quello degli oggetti finiti per cui avevo pensato di convincere i grandi tour operator a fare una sorta di busta con dentro il biglietto e l’itinerario per i viaggi africani in maniera tale da assicurare un’entrata cospicua e continuativa per le donne maasai”.
Valorizzare una tecnica dimenticata
A causa della siccità che sta colpendo questa zona decimando il bestiame, la comunità maasai sta attraversando una crisi economica senza precedenti. Così, in collaborazione con enti locali e partner italiani, l’Istituto Oikos ha deciso di avviare un’impresa tutta al femminile traendo spunto da una delle più antiche tradizioni di questo popolo, la lavorazione della pelle. “Le popolazioni maasai – racconta Spadafora – avevano da sempre lavorato la pelle ma si erano un po’ dimenticate di questa cosa perché la Cina ha completamente invaso l’Africa con i suoi prodotti, quindi questa tradizione è andata perduta. L’idea è quella di tirare fuori quest’arte abbandonata e nascosta per dare una fonte di reddito in più alle donne maasai”.
Un’alternativa sostenibile per le donne maasai
“L’istituto Oikos, che si occupa prevalentemente di forestazione e progetti etici, in realtà vuole dare alle popolazioni la possibilità di guadagnare senza tagliare gli alberi“, continua Spadafora. “Perché oltre alla legna che devono comunque usare per cucinare nelle loro case, le comunità maasai tagliano qualsiasi arbusto ci sia nel circondario per fare la carbonella, venderla al mercato e ricavarne qualche soldo in più. Allora succede che questa zona, già arida e desertica di suo, chiaramente lo sta diventando ancora di più a causa di questa attività”. Dietro la startup di accessori c’è dunque l’intento di proteggere questo territorio da attività dannose per l’equilibrio ambientale investendo invece nella concia vegetale, in grado di garantire un reddito stabile e di valorizzare una tradizione tanto antica quanto preziosa che caratterizza da sempre l’identità maasai.
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