Le donne palestinesi potranno viaggiare solo con il permesso di un familiare maschile, lo ha stabilito un giudice vicino ad Hamas. Ma la norma potrebbe essere rivista.
La libertà di movimento per le
donne palestinesi che vivono nella
striscia di Gaza d’ora in poi sarà subordinata a un permesso maschile. Lo ha stabilito una sentenza della
corte islamica.
Il giudice, vicino al movimento Hamas, ha indicato nel padre, nel marito o nel figlio il soggetto tutore a cui le cittadine locali dovranno fare riferimento, mentre per gli uomini è stata pronunciata una diffida non vincolante a viaggiare se ciò dovesse causare danni alla famiglia. La società civile e i movimenti per i diritti umani hanno alzato la voce e sono scesi in piazza contro la sentenza, che presto potrebbe essere modificata.
Una nuova barriera agli spostamenti
Fino a oggi uscire dalla striscia di Gaza era già di per sé un’operazione molto complicata, non solo per le donne palestinesi. Da quando il movimento Hamas ha preso il potere nel territorio nel 2007, la circolazione delle persone ha subito forti limitazioni per le misure messe in atto da Israele per isolare le milizie islamiche. A sud le cose non vanno meglio, dal momento che anche il valico di frontiera di Rafah al confine con l’Egitto è quasi sempre chiuso. Il risultato è che due milioni di persone si ritrovano di fatto in ostaggio in un territorio grande circa due volte il comune di Milano, in quella che viene chiamata la più grande prigione a cielo aperto del mondo.
Questo non vuol dire comunque che viaggiare per un palestinese di Gaza sia una cosa impossibile. Un lungo iter di autorizzazioni e colloqui può concludersi con l’esito positivo e a quel punto, con un po’ di fortuna e lunghe ore di controlli alla frontiera, si potranno raggiungere i territori israeliano o egiziano. Un meccanismo molto complesso, che d’ora in poi sarà ancora più limitante per le donne. Hassan al Jojo, un giudice del Consiglio giuridico della Sharia vicino ad Hamas, ha stabilito in una sentenza che nella striscia di Gaza vige quella regola un tempo propria dell’Arabia Saudita e poi cancellata nel 2019, secondo cui la mobilità internazionale femminile è subordinata al permesso di un tutore maschile appartenente alla famiglia. L’approvazione dovrà essere registrata presso un tribunale e a quel punto alla donna sarà concesso muoversi anche da sola, fatto salvo che è auspicabile l’accompagnamento dell’uomo. Allo stesso tempo viene raccomandato agli uomini di Gaza di non mettersi in viaggio se questo può arrecare danno all’equilibrio familiare.
Verso un dietrofront?
La sentenza ha causato grande malcontento a Gaza. Il giudice si è giustificato dicendo che rispetta i dettami della Sharia, la legge islamica, e che non fa discriminazioni dal momento che si rivolge (seppur in maniera non vincolante) anche agli uomini. L’obiettivo dichiarato è di evitare quelle situazione definite “frequenti” di ragazze che fuggono dalla famiglia o di mariti che abbandonano mogli e figli. Ma tanto le donne palestinesi quanto gli uomini sono scesi in piazza, raggiungendo la sede del parlamento locale per far sentire la propria voce contro le istituzioni.
Il 22 maggio a Gaza dovrebbero tenersi le elezioni legislative e per le associazioni per i diritti umani la sentenza sui permessi di viaggio per le donne è un modo con cui Hamas sta corteggiando l’elettorato più conservatore in un momento in cui la sua popolarità è in forte calo. Il rischio però è che l’iniziativa del giudice, di natura fortemente politica, si risolva in un boomerang in un territorio dove le donne costituiscono la metà della popolazione e dove la sensibilità al tema dei diritti sta iniziando a crescere. Ecco perché dopo le forti proteste dei cittadini e delle opposizioni, il giudice Hassan al Jojo ha dichiarato nelle scorse ore che la sentenza dovrebbe essere rivista, in quella che sarebbe una vittoria importante per la società civile.
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