Nel campo profughi di Burj al-Barajneh, le donne palestinesi preparano pasti e distribuiscono aiuti alle persone in difficoltà nella città di Beirut.
Yemen, come la guerra sta peggiorando anche la condizione delle donne
Gli huthi in Yemen stanno adottando misure che ledono i diritti delle donne. Ora potranno spostarsi solo se accompagnate da un uomo.
- Il conflitto tra ribelli huthi e governo sta peggiorando le condizioni di vita nello Yemen.
- Gli huthi stanno adottando misure restrittive nei confronti delle donne.
Il conflitto in Yemen tra i ribelli sciiti huthi (o houthi) e il governo sostenuto dalla comunità internazionale è in fase di stallo. Iniziato nel 2014, lo scontro ha causato finora almeno quattro milioni di sfollati e ucciso più di 380mila persone (secondo il rapporto più recente delle Nazioni Unite si parla di 377mila morti) sia direttamente che indirettamente a causa della fame e delle malattie: il 70 per cento di queste morti sono bambini.
In un contesto simile, a peggiorare sono pure le condizioni delle donne, soprattutto nelle zone controllate dagli huthi, i quali hanno posto una serie di divieti tra cui quello di potersi spostare dentro e fuori il paese senza un tutore maschio, oppure quello di entrare nelle piscine e nelle palestre. In un rapporto pubblicato all’inizio di settembre, Amnesty international ha denunciato che le restrizioni sempre più severe degli huthi hanno impedito alle donne di svolgere il loro lavoro, soprattutto se questo implica degli spostamenti.
La condizione delle donne sta peggiorando
La società yemenita, a maggioranza sunnita, è sempre stata conservatrice, ma secondo Radhya al Mutawakel, tra le fondatrici dell’organizzazione per la difesa dei diritti umani Mwatana, citata dalla giornalista Francesca Gnetti, “è la prima volta che una decisione per limitare la libertà di movimento delle donne è emanata da un’autorità ufficiale”. L’imposizione di un mahram, un accompagnatore uomo, “non fa parte della legge yemenita ed è messa in atto tramite direttive verbali”.
Le nuove regole ricalcano una tendenza già vista in Afghanistan dopo il ritorno dei talebani e sono entrate in vigore a novembre. Il fatto di non poter camminare per strada da sole non solo complica la loro vita quotidiana ma limita anche l’accesso alle cure: in un territorio dove una donna muore ogni due ore a causa del parto, non poter recarsi in ospedale significa rischiare la vita.
Inoltre, negli ultimi mesi sono state chiuse palestre e piscine ed è stata istituita la zainabiyat, la polizia delle donne che ha il compito di far rispettare la disciplina nei luoghi femminili. A questo fardello si aggiungono molestie, violenze fisiche e psicologiche che spesso non vengono denunciati, matrimoni precoci e condizioni di povertà estrema.
Ci sono alcuni baluardi di resistenza, soprattutto nelle città più popolose, dove le donne stanno resistendo ai “tentativi di talebanizzazione della società”, riporta ancora la giornalista Francesca Gnetti traducendo le parole di un’altra attivista, Bouchra al Awlaki: grazie alle battaglie di al Awlaki e altre donne, gli huthi hanno dovuto fare marcia indietro su alcune decisioni come vietare la musica nelle cerimonie o imporre la separazione dei sessi nei ristoranti o durante la consegna dei diplomi all’università.
Chi fa la guerra in Yemen
Gli huthi provengono dal nord dello Yemen e si sono formati come movimento negli anni Novanta per combattere contro lo stato accusato di trascurare la loro regione. Gli huthi hanno accompagnato gli ultimi anni di storia yemenita, una storia fatta di guerra civile, violenta e per lo più ignorata dalla società occidentale.
Ma la vera decadenza dello Yemen è iniziata con la primavera araba del 2011, quando profonde proteste portarono alla destituzione del presidente Ali Abdullah Saleh, sostituito dal suo vice, Abdrabbuh Mansour Hadi, malvisto dal movimento ribelle musulmano sciita, fedele al suo predecessore.
La transizione politica è stata accompagnata da scontri regionali, sfociati in una vera e propria guerra civile nel 2014. In quell’anno, gli huthi presero il controllo di una provincia al nord, Saada, per poi spostarsi verso sud fino ad arrivare a conquistare la capitale Sana’a. Una volta costretto il presidente a lasciare il palazzo presidenziale, gli huthi annunciarono un nuovo governo ma la comunità internazionale continuò a riconoscere il presidente uscente Hadi come rappresentante della nazione.
Che situazione c’è in questo momento nello Yemen
Gli huthi continuarono a espandersi nel paese e così, nel 2015, l’Arabia Saudita, insieme ad altri stati dell’area (Emirati Arabi, Barhain, Sudan, Kuwait, Egitto, Qatar) e con il sostegno degli Stati Uniti intervennero militarmente, compiendo bombardamenti contestati dalle Nazioni Unite (Onu) contro le milizie ribelli, appoggiate dall’Iran.
Dopo migliaia di morti e milioni di sfollati tra i civili, lo Yemen è oggi diviso in tre realtà: quasi tutta la parte occidentale, compresa la capitale – in tutto circa un quarto del territorio – è in mano agli huthi, mentre il 60 per cento del territorio è controllato dal governo riconosciuto dalla comunità internazionale, che fa capo al presidente Hadi e vede il suo epicentro nella città di Aden.
C’è poi un terzo soggetto che detiene il potere: una vasta porzione del sud del paese è controllata dal Consiglio di transizione del sud. Si tratta di un’organizzazione secessionista che esiste dal 2007 – quando il presidente era Saleh – ma che è stato ufficializzato nel 2017 quando il presidente Hadi ha licenziato il governatore di Aden con l’accusa di tradimento del governo centrale. In poche parole, il Consiglio di transizione del sud ha lo scopo di rendere indipendente il territorio meridionale dello Yemen ed è stato sostenuto in passato dagli Emirati Arabi Uniti. Di questo caos politico hanno approfittato i militanti di al-Qaeda (Aqap) e Ansar al-Shari’a, altro organizzazione terroristica fondamentalista jihadista.
La peggior catastrofe umanitaria del mondo
Dopo otto anni di conflitti la popolazione è allo stremo. 14,5 milioni di persone su 30 milioni non ha cibo a sufficienza, secondo il World food programme. Quasi la metà (47,5 per cento, per la precisione) dei bambini sotto i cinque anni soffre di malnutrizione cronica.
In termini economici, la guerra civile è costata finora 126 miliardi di dollari in termini di potenziale crescita economica. D’altronde, lo Yemen è tra i paesi più poveri del mondo: la guerra ha invertito lo sviluppo umano dello Yemen negli ultimi 20 anni: nel 2014, la percentuale della popolazione che viveva sotto la soglie di povertà era del 47 per cento, secondo il Programma di sviluppo delle Nazioni Unite. Ora è diventato circa l’80 per cento.
Yemen, quali scenari per il futuro
La stabilità a lungo termine nello Yemen rimane un obiettivo irraggiungibile secondo il ricercatore politico e autore yemenita Adel Dashela. A 2023 appena iniziato, il ricercatore prevede tre scenari per lo Yemen.
“Le potenze regionali possono spingere le parti in guerra dello Yemen a negoziare una soluzione pacifica duratura. Ma uno scenario del genere è inverosimile data la testardaggine degli huthi e l’inflessibilità dei separatisti meridionali”, ha detto Dashela, riferendosi al Consiglio di transizione del sud, che, pur essendo ufficialmente parte della coalizione guidata dai sauditi che sostiene il governo, ha combattuto contro il governo in passato e de facto controlla la città portuale di Aden.
Il secondo scenario è la perpetuazione dello status quo, con il gruppo huthi che governa il nord mentre il governo e i secessionisti controllano il sud. “Questo sembra lo scenario meno violento”, sostiene Dashela. “Tuttavia, è uno scenario che espanderà e rafforzerà l’influenza dei gruppi militanti nel paese”.
Lo scoppio di una guerra totale è il terzo scenario. “Questa è la direzione più pericolosa e devasterà ulteriormente lo Yemen”, ritiene Dashela. “Tutti gli indicatori mostrano che la pace non si realizzerà facilmente data la complessità del conflitto e l’egemonia degli attori regionali”. Ma una guerra totale è uno scenario che lascia in bilico la vita di milioni di yemeniti.
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