Dal mischiglio della Basilicata alla zucca malon del Friuli al cappero di Selargius, in Sardegna: i presìdi Slow Food che valorizzano prodotti dimenticati, ma di fondamentale valore per la biodiversità, il territorio e le comunità.
Dopo “mucca pazza”, “pesce pazzo?”
Il saggista James Hamilton-Paterson ha appena pubblicato sul settimanale svizzero “Weltwoche” un’inchiesta sui metodi d’acquacoltura, dal Cile alla Scandinavia. Ci sono quattro gravi problemi fondamentali che riguardano la salute, umana e animale, e l’ambiente. Nelle vasche chiuse, nei recinti in acqua, i pesci sono in sovraffollamento. Le loro deiezioni producono un inquinamento organico, che si
Il saggista James Hamilton-Paterson ha appena pubblicato sul
settimanale svizzero “Weltwoche” un’inchiesta sui metodi
d’acquacoltura, dal Cile alla Scandinavia. Ci sono quattro gravi
problemi fondamentali che riguardano la salute, umana e animale, e
l’ambiente.
Nelle vasche chiuse, nei recinti in acqua, i pesci sono in
sovraffollamento. Le loro deiezioni producono un inquinamento
organico, che si riversa nelle acque circostanti.
In queste condizioni igieniche, si usano composti fungicidi e
battericidi con verde malachite, un veleno. Nel 2003 sono state
bloccate alle frontiere europee dozzine di tonnellate di salmone
cileno contaminate con residui di verde malachite. Il verde
malachite poi si infiltra nei suoli, nelle falde acquifere.
Sempre per combattere infezioni e parassiti, si riversano nelle
acque sostanze chimiche antibiotiche, dall’ivermectina
all’altamente tossica ossitetraciclina-idrocloride. Dalle acque
d’acquacoltura si spargono poi nell’ambiente.
Ai pesci d’allevamento vengono dati mangimi contenenti farine
animali, quelle bandite ai tempi di “mucca pazza”. Ma, essendo per
esempio i salmoni dei pesci predatori, devono anche mangiare altro
pesce. Per ottenere una tonnellata di salmone allevato, occorrono
venti tonnellate di pesce pescato in mare.
Nutrendosi di pesce di mare, i salmoni bioaccumulano tutti i
metalli pesanti nocivi e le sostanze tossiche persitenti, Pcb,
mercurio, composti organoclorurati e organostannici.
Quest’ultimo dato è confermato da una ricerca pubblicata
sulla rivista “Science”. I pesci che arrivano dagli allevamenti
conterrebbero infatti una quantità di diossina e altre
sostanze cancerogene di molto superiore a quella dei salmoni liberi
nei torrenti, a causa dell’alimentazione forzata e delle condizioni
di vita.
La diossina è presente negli animali cresciuti in
cattività con una concentrazione di 1,88 contro 0,17, i pcb,
altri cancerogeni, con 36,6 parti per miliardo contro 4,75 e i
pericoli maggiori si correrebbero consumando i pesci provenienti
dagli allevamenti del Nord Europa.
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