Finora sono morte almeno sette persone. Le forze di polizia stanno investigando per capire se gli incendi siano dolosi e hanno arrestato sette persone.
Come i droni aiutano a studiare e prevenire lo scioglimento dei ghiacciai
Come sfruttare le potenzialità dei droni per studiare lo scioglimento dei ghiacciai alpini, nel progetto italiano firmato dall’Università Milano-Bicocca.
Cinque metri più corta e sei metri più bassa: di tanto si è ridotta la fronte del ghiacciaio del Morteratsch che fa parte del massiccio del Bernina, un gruppo montuoso alpino (Alpi Retiche) che si trova al confine tra la Lombardia e la Svizzera. Lo rivela l’innovativa tecnica di monitoraggio con droni e modelli 3D ideata dal gruppo di Telerilevamento del dipartimento di Scienze dell’ambiente, del Territorio e di Scienze della Terra dell’Università di Milano-Bicocca. Sul ghiacciaio dell’Engadina, in particolare, nel cantone svizzero dei Grigioni, sono state organizzate due campagne grazie alla collaborazione con i gruppi di geomatica, glaciologia e microbiologia, al fine di studiare la sua evoluzione durante la stagione estiva. Le rilevazioni sono state effettuate in collaborazione con Eyedrone, per creare dei modelli digitali tridimensionali e stimare il volume di ghiaccio perso durante la stagione di fusione.
I vantaggi di osservare i ghiacciai con un drone
Le rilevazioni tramite drone si sono svolte a 150 metri di altezza rispetto alla superficie terrestre e le immagini sono state scattate a intervalli di pochi secondi: in questo modo è stato possibile ricostruire un modello tridimensionale della lingua del ghiacciaio del Morteratsch, fino a 2.400 metri di altitudine. Il modello permette di effettuare misurazioni fisiche precise in ogni parte del ghiacciaio: gli studiosi sono così in grado di determinare il volume di ghiaccio perso durante la stagione estiva. I periodi ideali per questo tipo di rilevazioni sono stati individuati nei mesi di luglio e settembre intorno all’inizio e alla fine della stagione di fusione, quando le nevi stagionali scompaiono e il ghiaccio vivo è esposto alla radiazione solare diretta.
Il ghiaccio scuro accelera la fusione
Un altro importante obiettivo è quello di capire che cosa renda più scuro l’apparato glaciale: il ghiaccio se diventa più scuro assorbe maggiormente le radiazioni, accelerando il processo di fusione. Fra gli obiettivi di questa ricerca, infatti, c’è anche quello di creare mappe degli indici di “scurimento” del ghiaccio e indagare le cause di questo fenomeno: per questo motivo, sono stati quindi raccolti campioni di “crioconite”, un sedimento scuro che si forma sulla superficie del ghiacciaio, dove si accumulano polveri atmosferiche e microrganismi. Una delle cause di questo annerimento del ghiaccio è stata individuata nelle deposizioni di polveri e sabbia di origini sahariane, ma le ricerche mirano a capire quanto le deposizioni di particelle di origine naturale e antropica influiscano sulla fusione dei ghiacciai. Lo scopo è distinguere l’effetto che deriva dai cambiamenti climatici (variazioni di temperatura e precipitazioni) da un eventuale impatto che dipende dall’attività umana, in particolare dai combustibili fossili.
Un modello replicabile in altri ecosistemi
Le informazioni raccolte saranno integrate con immagini satellitari in modo da applicare i modelli sviluppati ad altri ghiacciai dell’arco alpino. Un’attività che si inserisce nel contesto di un progetto di ricerca più ampio, recentemente approvato dall’Agenzia spaziale italiana (Asi) nell’ambito del bando Osservazione della Terra: attività preparatorie per future missioni e payload. Il progetto, coordinato dal professor Stefano Sanguinetti e dal dottor Roberto Colombo, riguarderà lo sviluppo di nuovi sensori per lo studio delle proprietà ottiche e termiche della criosfera.
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