Sono quattro le epidemie in Repubblica Democratica del Congo. Il nuovo focolaio di ebola potrebbe far cadere il Paese in una catastrofe senza precedenti.
Ebola, è guarito anche l’ultimo malato nella Repubblica Democratica del Congo
Dopo 19 mesi è finita la seconda peggior epidemia di ebola della Repubblica Democratica del Congo. Anche l’ultimo paziente è guarito.
Mentre tutto il mondo sta seguendo con apprensione l’evolversi dell’epidemia del nuovo coronavirus che sta travolgendo la salute dell’intero Pianeta, dall’Africa arriva una straordinaria notizia: dopo 19 mesi è cessata in Repubblica Democratica del Congo la seconda peggior epidemia di ebola della storia e la prima in un contesto di guerra.
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Un’epidemia durata un anno e mezzo
In questo anno e mezzo, quello che è considerato il virus più letale al mondo, nelle regioni orientali dello stato africano, ha causato la morte di 2.264 persone e ha provocato oltre 3.400 contagi.
Si è trattato della prima epidemia di ebola della storia per numero di bambini colpiti, il 30 per cento delle vittime infatti sono state minori di 14 anni e a luglio, l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), per la quarta volta nella storia, ha proclamato l’emergenza internazionale.
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Da 14 giorni non si registrano nuovi casi di ebola in Congo
Al momento sono trascorsi quattordici giorni senza alcun nuovo caso. Da un punto di vista medico occorre attendere 42 giorni prima di poter dire che il paese africano sia definitivamente libero dall’infezione ma comunque nelle strade di Beni, la città congolese del Nord Kivu epicentro del focolaio, la gente festeggia ed esulta.
In questi 570 giorni di diffusione del morbo, nella città assediata tra l’altro da gruppi ribelli, comprese le milizie islamiste delle Forze alleate democratiche (Adf), la popolazione ha convissuto con la morte che prepotentemente si è fatta largo nel quotidiano.
Oltre quindici sepolture al giorno, carri funebri e ambulanze a susseguirsi nelle strade, isolamento degli ammalati e prelevamento dei defunti. Un incubo che ora sembra essere finito e a dichiararlo è anche il direttore generale dell’Oms Tedros Adhanom Ghebreyesus che ha così commentato: ”Questa non è una buona notizia solo per me, è una notizia bellissima per tutto il mondo”.
Tarik Jasarevic, portavoce dell’Oms però ha invitato ad essere più cauti in considerazione dello stato di guerra che persiste nelle regioni orientali del Paese africano e per la difficoltà di tracciare i pazienti, infatti si è così espresso: ”Data la complessità della situazione, bisogna essere prudenti con le valutazioni perché un solo caso potrebbe far riesplodere l’epidemia”.
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La società era divisa su come affrontare l’epidemia di ebola
In ogni caso, in Congo, consequenziale all’ebola si è sviluppato un conflitto interno tra coloro che lavoravano per combattere la diffusione del contagio e quella larga fetta della popolazione che invece, mossa da teorie complottiste, dietrologie e superstizioni, considerava il virus come un piano segreto di potenze occulte che miravano a sterminare la popolazione congolese per impossessarsi delle risorse del sottosuolo.
Questa polarizzazione della società è degenerata in scontri armati, alcuni medici sono stati assassinati, diversi centri di salute sono stati dati alle fiamme e alcuni sopravvissuti al virus vivono ancora oggi nascosti perché stigmatizzati e minacciati dai più. ”Io sono sopravvissuta all’ebola ma ho perso tutti i miei parenti. Mia madre, mio padre, mio marito e mio figlio che era un neonato di soli due mesi. Non mi resta più nessuno e devo vivere sola e isolata perché la gente mi accusa di essere la causa della morte dei miei cari”, ha racconto Roseline Kavira Lukando, una donna di Beni perseguitata dal dolore anche dopo essere sopravvissuta alla malattia più letale al mondo.
La sfida quindi che oggi si trova ad affrontare il Congo è quella di trovare coesione e unità sociale, e a spiegarlo è stato Jeanpaul Kapitula, capo della Protezione civile di Beni: ”L’ebola ha provocato una frattura nella popolazione. Terminata l’epidemia la gente del Congo deve essere in grado di reagire e dimostrare una forte resilienza. Solo rimanendo uniti e dimenticando violenze e faziosità pregresse potremo risollevarci altrimenti la crisi perdurerà anche in assenza del virus”.
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