Dopo cinque anni i rifiuti giacciono ancora in fondo al mare. Ma continua il passaggio di responsabilità tra ministero, regione Toscana e i commissari del governo.
“Il Santuario dei Cetacei è diventato, a causa dell’inazione delle autorità, una vera discarica sottomarina di plastica”. Lo descrive così Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna Inquinamento di Greenpeace, in un’inchiesta pubblicata lo scorso 26 giugno e intitolata Un santuario di balle. Solo dieci giorni prima il commissario Aurelio Caligiore, incaricato dal governo per il recupero dei rifiuti, in un’intervista al quotidiano locale Quinews, spiegava che delle 56 balle abbandonate nei fondali al largo di Follonica, ne restavano 40 “dato che dalle nostre ricerche effettuate in mare con il V nucleo operatori subacquei di Genova ne sono state individuate e localizzate 41 nei mesi scorsi, di cui 28 sicure perché sono state ispezionate con il robot sottomarino e abbiamo la certezza che si tratti di balle di combustibile solido secondario. Per le rimanenti pensiamo che si tratti sempre dello stesso carico, dato che si trovano comunque nello stesso tratto di mare che abbiamo circoscritto in circa 2 miglia e mezzo”. Oggi si stima ci siano dalle 45 alle 60 tonnellate di plastica abbandonate in mare da cinque anni, da quando si “persero” da un carico di rifiuti diretti in Bulgaria.
La storia delle 56 ecoballe “perse” in fondo al mare
Ma andiamo con ordine. Il 23 luglio 2015 la nave cargo Ivy salpa da Piombino diretta a Varna, in Bulgaria, con un carico di 1.888 balle di rifiuti di plastica da incenerire. Ma dopo un’ora dalla partenza il comandante dà ordine di sversare in mare parte del carico pari a 56 balle, colpa un’avaria. La nave arriva a destinazione il 2 agosto e, procedendo allo scarico, ci si rende conto che mancano le ecoballe finite nelle acque protette del Santuario dei Cetacei. Ma nessuno ne sapeva nulla, tanto che solo il 31 luglio 2015 si viene a conoscenza del problema, quando una balla finisce accidentalmente nelle reti di un peschereccio nel golfo di Follonica. Oggi, secondo l’accurata inchiesta di Greenpeace sono “oltre 45 le tonnellate di rifiuti in plastica si trovano in mare da quasi 5 anni, con gravissime ripercussioni sull’ecosistema marino”.
Ma è solo lo scorso maggio, quando l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambiental (Ispra) dichiara l’emergenza ambientale che se ne torna a parlare. Da lì parte lo scarico di responsabilità tra ministero dell’Ambiente, Regione Toscana, Arpat e Guardia costiera che porta i rifiuti ad essere ancora sul fondale del Tirreno, in balia di correnti e dell’inevitabile sversamento in acque aperte.
La burocrazia ferma il recupero
Il “giallo” si infittisce quando si legge la motivazione per cui l’associazione ambientalista ha presentato un esposto alla Corte dei Conti contro la regione Toscana con l’accusa di danno erariale. Infatti la regione, per garantire il trasporto dei rifiuti in Bulgaria, firma una fidejussione con la società incaricata dello smaltimento di circa 3 milioni di euro (2.807.717,93) che dovrebbero servire nel caso di un possibile recupero. Lo svincolo della somma sarebbe subordinato al ricevimento da parte della provincia dei certificati di avvenuto corretto smaltimento del carico coperto. “Eppure – scrive Greenpeace – nonostante parte di questi rifiuti non sia mai stata correttamente recuperata visto che si trova in fondo al mare, e nonostante lo stato stia sostenendo spese per la sua dispersione in mare, la Eco Valsabbia ottiene lo svincolo della fideiussione”. A firma dell’attuale presidente Enrico Rossi, che però spiega che la regione “non ha competenze specifiche” in merito.
Ma è solo a giugno 2019 che il contrammiraglio Aurelio Caligiore, capo del reparto ambientale marino (Ram), viene nominato commissario straordinario del governo per il recupero delle ecoballe. A quel punto ci si aspetterebbe il via libera della protezione civile per il recupero e il finanziamento delle attività, grazie allo stato di emergenza; che però non viene mai attivato. Nonostante da gennaio 2020 siano arrivate ben quattro richieste da parte del commissario Cagliore, del presidente Rossi, del ministero dell’Ambiente e dell’Ispra.
Qualcosa sembra muoversi lo scorso febbraio, poche settimane prima dello scoppio della pandemia in Italia, come scrive il Wwf Italia: “Apprendiamo con piacere che le operazioni di recupero sono riprese nei giorni del 15-16 febbraio, a cura del personale del nucleo operatori subacquei di Genova, portando all’individuazione di 28 ecoballe. Proprio per giungere alla conclusione della già troppo lunga vicenda, chiediamo azioni urgenti da parte del governo e della regione Toscana e ai comuni coinvolti, per premere verso una soluzione definitiva e per la messa in sicurezza del materiale raccolto”.
Nel frattempo passano i mesi e lo scorso 25 giugno 2020 decade l’incarico di commissario straordinario dato al contrammiraglio Aurelio Caligiore la cui nomina, come scrive Il Tirreno “da mesi è al centro di una contestazione da parte dell’Autorità garante per la concorrenza del mercato”.
A maggio 2020 anche Legambiente lancia un appello, con le parole del presidente Stefano Ciafani, che afferma che lo scarico di responsabilità debba essere fermato. “Legambiente ha collaborato fattivamente in questi anni al raggiungimento di importanti risultati per favorire la pratica del plastic free, soprattutto in territori e litorali importanti e delicati come quelli in questione. Ha organizzato campagne di recupero rifiuti sulle spiagge, sensibilizzato e coinvolto le categorie produttive, il mondo della pesca e della balneazione, la cittadinanza, le associazioni e le amministrazioni locali in un percorso virtuoso per sostituire la plastica usa e getta e favorire il recupero di quella dispersa nell’ambiente”.
Si arriva così all’otto luglio scorso, quando Alessandro Tortorella e Francesco Ferrari, sindaci di Follonica e Piombino, scrivono al presidente del Consiglio. “Ci appelliamo perché sia garantita la continuità operativa dell’ufficio deputato al recupero – spiegano Alessandro Tortorella e Francesco Ferrari -: sono oltre 40 le ecoballe che giacciono ancora nei fondali da oltre quattro anni, il loro stato di conservazione si è nel tempo alterato e la rottura di una di esse comporterebbe la dispersione di microplastiche nel mare con danni incalcolabili per il mare, il pescato, le spiagge e non ultima l’economia turistica con la stagione estiva alle porte. Secondo il cronoprogramma dell’ammiraglio le operazioni dovevano iniziare lo scorso maggio per concludersi in una decina di giorni. Purtroppo per un vizio di forma sollevato dall’Agcm tutto si è di nuovo fermato. Non possiamo permetterci di aspettare ancora: ci auguriamo che il governo ci ascolti”.
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