Vanautu, Figi e Samoa hanno chiesto alla Corte penale internazionale di riconoscere l’ecocidio come crimine internazionale.
I tre piccoli Paesi del Pacifico sono tra gli stati più a rischio per i cambiamenti climatici.
I grandi assenti in questa battaglia però sono Paesi come Stati Uniti, Cina, India e Russia, i principali emettitori di gas serra.
Vanuatu, Figi e Samoa, tre piccoli Paesi del Pacifico, hanno compiuto un passo decisivo verso una rivoluzione nella lotta contro la crisi climatica e la distruzione ambientale, presentando alla Corte penale internazionale (Cpi) una proposta che mira a far riconoscere l’ecocidio come un crimine internazionale, al pari del genocidio e dei crimini di guerra.
Se la proposta avrà successo, chi causa danni ambientali significativi, come i dirigenti di grandi aziende inquinanti o i capi di Stato, potrebbe essere perseguito penalmente. L’ecocidio, definito come un insieme di atti illeciti o sconsiderati che causano danni gravi, diffusi o a lungo termine all’ambiente, rappresenterebbe una svolta storica nella giurisprudenza internazionale.
Il lungo cammino verso il riconoscimento dell’ecocidio
L’idea di rendere l’ecocidio un crimine riconosciuto internazionalmente non è nuova. Già nel 2019, Vanuatu aveva sollevato la questione, ma solo ora, con la presentazione formale alla Cpi, la proposta potrebbe finalmente entrare nel vivo del dibattito globale. Philippe Sands, importante avvocato internazionale e co-presidente del gruppo che ha redatto la definizione legale di ecocidio, si è detto fiducioso che il crimine verrà riconosciuto: “la vera domanda è solo quando”.
Il processo per il riconoscimento dell’ecocidio, però, non sarà immediato: la modifica alle regole della Cpi richiederà anni di negoziati e incontri, e sicuramente incontrerà resistenze da parte delle grandi aziende inquinanti, come le compagnie petrolifere, i cui dirigenti potrebbero essere direttamente colpiti dalla nuova legislazione. Tuttavia, l’inserimento dell’ecocidio nell’agenda della Cpi rappresenta già un enorme passo avanti, costringendo i Paesi membri a discutere seriamente la questione.
Un crimine ambientale globale
Sebbene l’ecocidio stia già entrando nelle legislazioni nazionali di alcuni Paesi, come il Belgio, e anche l’Unione europea stia prendendo in considerazione l’inserimento del reato nelle sue linee guida sul crimine internazionale, la Cpi potrebbe dare a questa lotta una dimensione globale. Questo riconoscimento permetterebbe di perseguire coloro che, a livello internazionale, commettono crimini contro l’ambiente, spingendo molte nazioni ad agire in modo più deciso nella protezione del pianeta.
Il grande assente in questa battaglia, però, è rappresentato da Paesi come Stati Uniti, Cina, India e Russia, i principali emettitori di gas serra, che non fanno parte della Corte penale internazionale. La loro assenza limita in parte l’efficacia delle azioni internazionali contro l’ecocidio, ma non sminuisce l’importanza della proposta.
Secondo Jojo Mehta, co-fondatrice di Stop Ecocide International, la proposta segna un “momento chiave” nella lotta globale contro la distruzione ambientale. La crescente consapevolezza delle persone riguardo alla crisi climatica e alla devastazione del pianeta ha reso evidente che i danni all’ambiente non sono più accettabili. Questa proposta potrebbe contribuire a un cambiamento culturale globale, spingendo governi e imprese a considerare l’ambiente come un bene comune da proteggere.
Nonostante le sfide, l’iniziativa lanciata da Vanuatu, Figi e Samoa rappresenta una speranza concreta per il futuro. Anche se potrebbero passare anni prima di vedere i primi risultati, il riconoscimento dell’ecocidio potrebbe essere un passo decisivo verso la protezione del pianeta e delle generazioni future.
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