L’economia circolare è la soluzione alla crisi, ma l’Europa fa finta di non sapere

L’economia circolare sarebbe la soluzione alle crisi energetica e climatica, ma l’Europa non ci crede.

  • In Europa tra il 2018 e il 2020 il tasso di circolarità è sceso dal 9,1 per cento a un desolante 8,6 per cento.
  • Il tasso di circolarità è la quota di risorse materiali utilizzate che provenivano da materiali di scarto riciclati: ne sprechiamo ancota troppe.
  • In Europa nel 2020 sono state consumate circa 13 tonnellate pro capite di materiali

Sarebbe la soluzione a tutti i problemi, o quasi. Alla scarsità di materie prime ai loro costi schizzati alle stelle a causa della guerra, per esempio, ma anche alla crisi climatica che diminuisce la capacità degli ecosistemi di offrire risorse, o alla pandemia che ha fermato l’economia globale. Eppure l’economia circolare in Europa ancora non decolla: in Italia come nel resto d’Europa, ogni volta che sentiamo dire che aumenta il prodotto interno lordo, aumenta anche, inesorabilmente, il consumo di materiali.

Lo certifica il rapporto nazionale presentato dal Circular economy network, promossa dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile assieme a un gruppo di aziende e associazioni di impresa da cui si evince che tra il 2018 e il 2020, gli anni presi in considerazione dalla ricerca, il tasso di circolarità (ovvero la quota di risorse materiali utilizzate che provenivano da materiali di scarto riciclati) è sceso dal 9,1 per cento a un desolante 8,6 per cento. E anche l’Italia, nonostante sia all’avanguardia rispetto alla media del continente nel riciclo, non ha centrato l’obiettivo del disaccoppiamento tra crescita economica e uso delle risorse. 

 

La diminuzione del tasso di circolarità, spiega il rapporto, è dato dal fatto che negli ultimi anni i consumi sono cresciuti di oltre l’8 per cento, superando i 100 miliardi di tonnellate di materia prima utilizzata in un anno, mentre il riutilizzo non è riuscito a stare al passo, aumentando di appena il 3 per cento (da 8,4 a 8,65 miliardi di tonnellate): in sostanza sprechiamo ancora una gran parte dei materiali estratti dagli ecosistemi.

L’Italia contiene i danni, ma non basta

In media, in Europa nel 2020 sono state consumate circa 13 tonnellate pro capite di materiali. Un dato che di per sé vale già tanto, ma che va disaggregato per comprendere meglio le differenze da paese a paese: tra le cinque maggiori economie al centro dell’analisi di questo rapporto (Italia, Francia, Germania, Polonia, Spagna), infatti, è difficile trovare analogie, e per fortuna l’Italia risulta tra i più virtuosi: si va dalle 7,4 tonnellate per abitante dell’Italia alle 17,5 della Polonia.

La Germania è a quota 13,4 tonnellate, la Francia a 8,1, la Spagna a 10,3. E siamo primi anche per produttività delle risorse (ogni chilogrammo di risorse consumate genera 3,5 euro di prodotto interno lordo, la media europea è 2,1 euro) oltre che secondi dietro alla Francia per tasso di utilizzo di materie provenienti dal riciclo (il 21,6 per cento, la Germania per fare un esempio è appena al 13,4)

Notizie positive per l’Italia anche sul fronte rifiuti: la percentuale di riciclo di tutti i rifiuti ha raggiunto quasi il 68 per cento: è il dato più elevato dell’Unione europea. Tra le cinque economie osservate, l’Italia è quella che al 2018 ha avviato a riciclo la quota maggiore di rifiuti speciali (quelli provenienti da industrie e aziende): circa il 75 per cento. Nel 2020 nell’Unione europea è stato riciclato meno della metà dei rifiuti urbani, il 48,4 per cento; in Italia più della metà, il 54,4 per cento.

Consumo di suolo e innovazione, le note dolenti

Ci sono invece settori in cui l’Italia è in netta difficoltà. Uno è il consumo di suolo: nel 2018 nella Ue a 27 Paesi risultava coperto da superficie artificiale il 4,2 per cento del territorio, ma limitatamente alla sola Italia la percentuale saliva al 7,1 per cento. Anche per l’innovazione sostenibile siamo agli ultimi posti: nel 2021 negli investimenti in questo settore l’Italia è solo tredicesima in Europa. Su questo punto, il ministro del Lavoro Andrea Orlando ha voluto allontanare l’idea che subdolamente si è fatta strada nella politica italiana nelle ultime settimane, ovvero “che la transizione ecologica sia un lusso da tempi di pace e che gli obiettivi che ci siamo dati con il Recovery plan, in fondo, erano eccessivamente ambiziosi”. Per Orlando “qualcuno ha detto che Putin ha cancellato Greta Thunberg“, ma proprio l’innovazione deve essere la leva per accelerare la transizione.

Infine, la riparazione dei beni: in Italia nel 2019 oltre 23mila aziende lavoravano alla riparazione di beni elettronici e di altri beni personali (vestiario, calzature, orologi, gioielli, mobilia): siamo dietro alla Francia (oltre 33.700 imprese) e alla Spagna (poco più di 28.300). In questo settore abbiamo perso quasi 5mila aziende rispetto al 2010.

Rifiuti plastici in un cestino in Germania
Per uscire da quella che viene chiamata economia estrattivista, contraddistinta dall’avvento dei prodotti usa e getta è necessario effettuare la transizione verso l’economia circolare © Sean Gallup/Getty Images

Secondo Edo Ronchi, presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibile “la crisi climatica e gli eventi drammatici degli ultimi due anni, con l’impennata dei prezzi di molte materie prime, dimostrano che il tempo dell’attesa è finito. È arrivato il momento di far decollare senza ulteriori incertezze le politiche europee a sostegno dell’economia circolare”.

Il riferimento anche in questo caso è ovviamente alla guerra in Ucraina, che ha fatto schizzare i prezzi del gas, ma anche ai cambiamenti climatici e alla pandemia, che rendono più fragili i territori e le economie nazionali. In Italia, gli obiettivi fissati dal decreto Rifiuti del 2020 si sono allineati a quelli fissati dall’Unione Europea, stabilendo un minimo di riciclo del 55 per cento entro il 2025, del 60 per cento al 2030 e del 70 per cento al 2035. Secondo il rapporto del Consorzio nazionale imballaggi già nel 2019 l’Italia aveva raggiunto l’obiettivo fissato per il 2025, con una sola ma grande eccezione: i rifiuti in plastica.

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