Profilazione razziale, xenofobia nel dibattito politico e omofobia nel report dell’Ecri. Tra le sue richieste c’è quella di rendere indipendente l’Unar.
Ecco l’economia della felicità. Il documentario
Secondo ?L’Economia della Felicit
In tempi di crisi ambientale, finanziaria,
economica, ecco quello che si può definire il
manifesto di una nuova coscienza collettiva, la
bandiera di un nuovo movimento che mette
l’uomo e lo
sviluppo sostenibile al primo posto, non più solo
l’economia del profitto e della crescita ad ogni costo.
Un film-documentario che analizza il mercato e la società ai
giorni nostri, smontando con otto domande alcuni
idiomi tipici legati alla
globalizzazione. In risposta, forse in maniera
un po’ utopistica, mostra un modo nuovo di
“consumare”, con valori legati alla comunità,
all’autoproduzione, alla famiglia.
Scritto e diretto da
Helena Norberg-Hodge, fondatrice e direttrice
dell’ISEC (Società Internazionale per l’Ecologia e la
Cultura),
“L’Economia della Felicità” non solo
offre una schietta analisi della globalizzazione e delle
ripercussioni che questa ha avuto sulla società e sui rapporti
umani, ma offre alllo spettatore una chiave di lettura
nuova e una speranza per il futuro.
Governi e mercati non possono più essere legati esclusivamente
al
Prodotto Interno Lordo per misurare lo
sviluppo di un Paese (il quale non tiene affatto
conto delle ripercussioni ambientali che ha la produzione di beni),
ma c’è bisogno di un nuovo indicatore, proponendo così
l’adozione del concetto di Felicità Nazionale
Lorda.
Il precursore, il quarto re del Buthan, quarant’anni fa, scelse la
felicità interna lorda come obiettivo da
perseguire per il proprio Paese. Non solo crescita
economica, ma sviluppo sostenibile, cultura, compassione e
comunità. Valori spesso sottovalutati. La ricerca sfrenata del
guadagno sembra abbia portato le persone, nelle zone più
sviluppate del globo, a soffrire di ansia, depressione
solitudine.
Scendere al mercato sotto casa e scegliere
personalmente la verdura, la frutta
coltivata da un contadino che magari
conosciamo, crea invece un legame, si instaura una sorta di fiducia
che non si può trovare con la bilancia del centro commerciale.
Ecco comparire termini quali km 0, economie locali, orti
sociali.
Rinunciare alla forzatura dell’omolagozione,
all’appiattimento dei valori e delle tradizioni non porta ad essere
sottosviluppati e poveri, anzi. La diversità – biologica,
culturale, ambientale, alimentare – ed un’economia localizzata ci
aiuteranno a superare questo delicato momento e a
riscoprire sentimenti e valori che danno significato alle
nostre vite.
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