Ostriche e mitili sono nostri alleati per tutelare l’ecosistema marino. Rappresentano una delle tante soluzioni sostenute dalla Water Defenders Alliance.
Il mar Mediterraneo è ricchissimo di biodiversità: ospita ben 17mila specie animali e vegetali.
Quest’ultima però è minacciata dai cambiamenti climatici, dall’inquinamento da plastica e idrocarburi, dalle specie aliene invasive.
Mitili e ostriche promuovono la biodiversità grazie alla formazione di reef, come filtratori “puliscono l’acqua” e, attraverso la formazione della loro conchiglia, intrappolano CO2.
Questa è una delle soluzioni sostenute dalla Water Defenders Alliance, l’alleanza di aziende, persone, porti, istituzioni e ricerca per tutelare le nostre acque.
Basta dare uno sguardo superficiale a un planisfero per notare quanto il mar Mediterraneo, quello che ci circonda e che è stato la culla della nostra cultura, sia piccolo. Occupa poco meno di 3 milioni di chilometri quadrati, lo 0,82 del totale degli oceani. Per avere un termine di paragone, l’Atlantico supera i 106 milioni di kmq. Alla luce di questi dati, appare ancora più straordinario come il Mare nostrum ospiti ben 17mila specie animali e vegetali, il 7,5 per cento di quelle esistenti a livello globale. Una biodiversità preziosa che, tuttavia, viene minacciata ogni giorno da tanti fenomeni diversi ma intrecciati tra di loro: i cambiamenti climatici, l’avvento delle specie aliene invasive, l’inquinamento da plastica e da idrocarburi. La Water Defenders Alliance, lanciata e coordinata da LifeGate, si occupa anche di proteggere l’ecosistema marino. Sostenendo alcune soluzioni concrete, efficaci e basate sulla scienza (science based).
Le specie aliene invasive nel mar Mediterraneo
A fine giugno 2023, su diversi giornali è comparsa una notizia: l’avvistamento nelle acque calabresi di due esemplari di Pterois miles, meglio noto come pesce scorpione. Una specie che, pur essendo commestibile, è parecchio pericolosa da maneggiare per le sue spine lunghe, sottili e acuminate che restano velenose anche dopo la sua morte. Una specie che, soprattutto, nell’habitat del mar Mediterraneo non ci dovrebbe stare. È infatti originaria del mar Rosso e ha attraversato il canale di Suez, riuscendo a stabilirsi man mano sempre più a ovest (come dimostrano gli avvistamenti in Calabria) anche per via delle acque sempre più calde.
Il canale di Suez è uno dei due grandi punti d’ingresso, insieme allo stretto di Gibilterra. Ma ormai “le specie alloctone o aliene possono arrivare nel mar Mediterraneo nei modi più disparati”, spiega a LifeGate Emilio Mancuso, biologo marino e presidente dell’associazione Verdeacqua. “Per esempio nelle acque di zavorra delle imbarcazioni, oppure attaccate alle chiglie delle imbarcazioni partite senza effettuare le dovute manovre di pulizia, o addirittura via aereo, insieme a organismi che vengono venduti vivi per acquariofilia o a scopo commerciale”.
Perché le specie alloctone sono un problema per l’ecosistema marino
“Nella migliore delle ipotesi, questi organismi entrati nel mar Mediterraneo vanno a occupare una nicchia ecologica ancora libera, per cui non creano un problema. Questa però è l’ipotesi più rara. Nella stragrande maggioranza dei casi, questi organismi entrano in competizione diretta con una specie mediterranea. Quest’ultima di solito ha la peggio, perché si è evoluta senza un competitore diretto ed è quindi più fragile”, continua Emilio Mancuso.
Il pesce scorpione fa parte a pieno titolo di questa seconda categoria, perché è un carnivoro generalista, si difende dai predatori grazie al suo veleno ed è anche molto prolifico. Non a caso, è protagonista di una campagna di sensibilizzazione chiamata Attenti a quei 4!, insieme ad altre tre specie aliene invasive arrivate attraverso il canale di Suez: il pesce palla maculato, il pesce coniglio scuro e quello striato.
Oltre all’ecosistema marino, anche l’economia ne risente. “Ci sono zone molto colpite dall’arrivo massiccio di specie aliene in cui la pesca artigianale, locale, a cortissimo chilometraggio è andata gambe all’aria perché ci sono stati degli stravolgimenti ecosistemici”, spiega Emilio Mancuso.
Dal Mare nostrum al Mare plasticum
Oltre a essere sempre più tropicalizzato, il mar Mediterraneo è sempre più inquinato. Tant’è che l’Unione internazionale per la conservazione della natura (Iucn) lo ha ribattezzato Mare plasticum. La sua conformazione fisica non aiuta, perché è praticamente chiusa (l’unico sbocco verso l’oceano Atlantico è lo stretto di Gibilterra) e subisce la pressione antropica di quasi mezzo miliardo di abitanti, più 342 milioni di turisti.
I ricercatori dell’Iucn hanno provato a calcolare il volume totale di plastica accumulata nelle sue acque: le stime vanno dalle 53.500 ai 3,5 milioni di tonnellate, ma l’ordine di grandezza ritenuto più credibile è pari a 1,178 milioni di tonnellate. Le bottiglie e i sacchetti che galleggiano in superficie sono soltanto una parte del problema, quella che più facilmente vediamo a occhio nudo. In realtà, si legge nel report, “la maggior parte della plastica sembra essere accumulata sul fondo del mare sia nella forma di microplastiche nei sedimenti, sia con macroplastiche o mesoplastiche sparse sul fondale marino”.
Il tracollo della biodiversità nel mar Mediterraneo
I risultati di tutto questo li vediamo nel Living Mediterranean report, redatto nel 2021 da un team di scienziati coordinati dal centro di ricerca Tour du Valat. Un lavoro mastodontico che ha passato in rassegna gli studi condotti negli ultimi tre decenni su oltre 80mila popolazioni di 775 specie di vertebrati che vivono non solo in mare, ma nell’intero bacino del Mediterraneo. Evidenziando come la sua ricchissima biodiversità risulti già pesantemente compromessa.
Tra il 1993 e il 2016, infatti, l’abbondanza di popolazioni di vertebrati nel bacino del Mediterraneo è scesa del 20 per cento. Negli ecosistemi marini (pelagici e costieri) il crollo è addirittura del 52 per cento, mentre negli ecosistemi di acqua dolce (fiumi e zone umide) è pari al 28 per cento.
“La maggior parte delle specie sta soffrendo molto per gli effetti delle attività umane e dei cambiamenti climatici, la cui entità dovrebbe aumentare nei prossimi decenni”, sottolinea Thomas Galewski, coordinatore della ricerca. Tra le attività umane dannose, la pesca eccessiva (inclusa la cattura accidentale di altre specie), il grande numero di dighe nei fiumi, il prelievo eccessivo di risorse idriche e l’intensificazione delle pratiche agricole. “Inoltre, una parte significativa delle specie è endemica del bacino del Mediterraneo e vive in aree di distribuzione ristrette, il che le rende ancora più vulnerabili”, conclude Galewski.
Le soluzioni basate sulla natura per proteggere l’ecosistema marino
Ma i metodi per tener vivo l’ecosistema marino, difendendolo da queste minacce e rendendolo più resiliente, ci sono. E, spesso, non bisogna nemmeno immaginarsi avveniristiche tecnologie: la natura ha già le risposte, a noi spetta il compito di interpretarle e saperle sfruttare. Qualche esempio? La Posidonia oceanica, quella pianta acquatica endemica del mar Mediterraneo che forma praterie sottomarine, capaci di sequestrare CO2 e produrre ossigeno.
Non tutti sanno che anche i molluschi sono nostri silenziosi alleati. Questa è una delle aree di intervento di Smart bay Santa Teresa, un laboratorio naturale di ricerca, tecnologia, turismo sostenibile e molluschicoltura, nato da una collaborazione tra Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile (Enea), Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr), Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv), comune di Lerici, scuola di mare S. Teresa e Cooperativa mitilicoltori associati. Tutto questo con il contributo fondamentale di chi frequenta la baia di Santa Teresa, nei pressi di Lerici, in Liguria. Un contesto che, pur essendo a pochi passi da località turistiche molto frequentate, è ancora molto selvaggio.
Mitili e ostriche per tenere pulito il mare e creare biodiversità
“La mitilicoltura è un’attività sostenibile che esiste da sempre”, spiega Chiara Lombardi, ricercatrice dell’Enea presso il centro di ricerche di Santa Teresa. “Il fatto di aumentare la concentrazione di mitili e ostriche è positivo perché filtrano l’acqua, creano biodiversità e intrappolano la CO2”. Inoltre, filtrano anche uova e piccole forme larvali che fanno parte del meroplancton presente in acqua: è dunque pensabile che una comunità di filtratori sana e abbondante, oltre a ripristinare gli habitat a vantaggio delle specie autoctone, possa anche avere un’azione positiva nella riduzione di forme larvali delle specie alloctone.
Attraverso un progetto ad hoc, Smart bay Santa Teresa intende anche valorizzare mitili e ostriche in un’ottica di economia circolare. Da oltre vent’anni infatti si ragiona su come gestire i gusci che vengono scartati dalla produzione, ma finora la loro destinazione principale è stata la filiera del pollame e dell’agricoltura, con qualche pecca in termini di sostenibilità. I ricercatori invece hanno avuto un’idea diversa: raccogliere i gusci e posizionarli in mare, all’interno di strutture fatte di canapa. “Qui il fondale è molle e sabbioso e non offre quindi grandi appigli agli organismi marini. Noi creiamo un substrato tridimensionale in cui possono attaccarsi, promuovendo la biodiversità”, continua Chiara Lombardi. I mitili sono anche blue carbon sink, cioè fissano la CO2 marina: ed è questo il nome di un progetto triennale, sempre di Smart bay Santa Teresa, volto a contabilizzare questo servizio ecosistemico.
Come entrare a far parte della Water Defenders Alliance
“Per noi è importante far conoscere questi organismi, far capire che sono loro a difenderci dai danni che noi stessi abbiamo creato”, conclude Lombardi. Ed è anche per questo che Smart bay Santa Teresa è tra i partner della Water Defenders Alliance. Coordinata da LifeGate, quest’alleanza riunisce aziende, persone, porti e istituzioni ed enti del mondo della ricerca. Ciascuno di questi attori, a vario titolo, può contribuire all’adozione di soluzioni concrete per salvare le nostre acque.
Soluzioni come la reintroduzione di ostriche e mitili e la piantumazione di Posidonia oceanica per preservare l’ecosistema marino, appunto; ma ci sono anche le spugne che assorbono idrocarburi, le missioni sub per la raccolta di rifiuti dai fondali, il recupero e il riciclo delle reti da pesca, i dispositivi mangiaplastica da collocare in porti, marine e circoli nautici (Seabin, Trash Collec’Thor e Pixie Drone). Per saperne di più: https://waterdefenders.it/
L’albero potrebbe avere fino a mille anni, ma è stato scoperto solo dal 2009, dopo la segnalazione di una band della zona, che ora gli dedicherà un brano.