In Ecuador, la corte costituzionale ha tenuto per la prima volta un’udienza in territori indigeni. Un’opportunità per la tutela dei diritti dei nativi.
La mattina del 15 novembre, cinque giudici della corte costituzionale dell’Ecuador sono arrivati in canoa nella comunità indigena Cofàn a Sinangoe, nella foresta amazzonica a nord del paese sudamericano. Si tratta di una visita storica: per la prima volta, infatti, i magistrati della più alta corte ecuadoregna hanno tenuto un’udienza in territorio indigeno, per rendere più accessibile il sistema giudiziario a coloro che normalmente non possono recarsi nelle aule dei tribunali in città.
Anche l’udienza stessa riveste un’importanza storica: i giudici della corte hanno ascoltato la comunità Cofàn per verificare che sia stato rispettato il loro diritto a esprimere un consenso preventivo, libero e informato, prima di procedere con attività estrattive o di costruzione nelle terre da loro popolate.
Avviata una legge di consultazione con i popoli nativi dell’Ecuador
I giudici della corte hanno fatto riferimento a un caso specifico: nel 2018, il popolo Cofàn aveva citato in giudizio il governo dell’Ecuador dopo che una società mineraria aveva avviato lavori di estrazione nei pressi del fiume Aguarico, a ridosso del parco nazionale di Cayambe Coca. La comunità indigena non era mai stata consultata circa alcun progetto minerario nel loro territorio, come invece prevede la costituzione ecuadoriana.
Dopo oltre un anno di resistenza e di battaglie legali il popolo indigeno Cofán di Sinangoe ha visto riconosciuti i propri diritti: l’attività mineraria è stata sospesa e la compagnia è stata obbligata a risanare le aree già contaminate dai lavori di estrazione. Da quel caso è stata sviluppata una legge di consultazione preliminare, proprio per assicurare un confronto con le popolazioni indigene prima dell’avvio di progetti estrattivi nei loro territori.
Una maggiore autonomia sulla propria terra
Ora la novità sta nel fatto che, nell’esaminare il caso di Sinangoe, la corte costituzionale valuterà se il processo di consultazione, come funziona oggi, aderisce ai diritti costituzionali. Se il tribunale decidesse che tali diritti non siano stati rispettati, potrebbe stabilire nuovi standard per la consultazione, che potrebbero garantire alle comunità indigene una maggiore autonomia sulla propria terra.
“Questo non è solo un bene per noi, ma anche per le altre comunità: tale decisione potrà fare da guida per la difesa del territorio”, ha spiegato all’organizzazione non profit Mongabay Nixon Andy, ex coordinatore del Cofàn guardia, un gruppo di autodifesa, aggiungendo che “se le comunità indigene dicono no miningsignifica niente miniere”.
Più di 300 leader in rappresentanza delle altre comunità indigene hanno raggiunto Sinangoe per assistere all’udienza: la corte costituzionale, infatti, ha selezionato anche altri processi nei quali verificare il rispetto dei diritti dei nativi. Per esempio il caso dei Waorani: anche loro avevano intentato una causa – poi vinta – contro il governo per la svendita di alcuni territori in favore delle attività di estrazione di petrolio.
Non si conosce la data della sentenza
L’udienza è durata quasi quattro ore, durante le quali sei dei nove giudici della corte costituzionale (di cui cinque presenti e uno collegato in remoto) hanno ascoltato le testimonianze di 10 indigeni, nonché dei rappresentanti dei ministeri coinvolti nella causa originaria: il ministero dell’energia e delle risorse naturali non rinnovabili (ex-ministero degli idrocarburi) è stato l’unico a inviare un avvocato a Sinangoe, mentre gli altri (tra cui il ministero della Transizione ecologica) si sono collegati in streaming.
Ecuador's constitutional court judges traveled to the heart of the Amazon to hear indigenous communities defend their right to oppose mining projects in their territories during a historic hearing in the jungle. https://t.co/UTWvkiItBj
Durante l’udienza, l’avvocato presente ha invitato i giudici a considerare che la corte costituzionale deve anche tutelare i diritti dello stato di gestire i suoi settori strategici, come quello petrolifero e minerario: queste due voci rappresentano oltre l’8 per cento del pil dell’Ecuador.
Lo stesso presidente Guillermo Lasso – che durante la Cop26 ha annunciato l’ampliamento della riserva marina delle Galapagos come misura di salvaguardia della biodiversità dell’isola – subito dopo il suo insediamento aveva chiesto la rapida espansione dei settori petrolifero e minerario attraverso due decreti, in modo da affrontare i problemi economici del paese che hanno visto aumentare disoccupazione e povertà durante la pandemia.
Accelerare l’espansione di queste industrie, però, aumenterebbe la pressione sui territori indigeni. Ora la corte costituzionale ha l’opportunità, definita “storica” dagli esperti in diritti delle popolazioni indigene, di proteggere la natura e garantire la vita dei popoli nativi. Ancora però non è chiaro quando arriverà la sentenza.
Nell’Amazzonia ecuadoriana la tragedia sanitaria rischia di avere conseguenze drammatiche. Il governo non agisce, privilegiando gli interessi estrattivi alla salute delle comunità indigene, che si stanno organizzando per affrontare da soli la pandemia.
Profilazione razziale, xenofobia nel dibattito politico e omofobia nel report dell’Ecri. Tra le sue richieste c’è quella di rendere indipendente l’Unar.
Gli indigeni Waorani hanno portato in tribunale il governo dell’Ecuador che voleva vendere 200mila ettari di Amazzonia all’industria petrolifera. Hanno vinto creando un precedente storico per i diritti di tutti i popoli indigeni.
Il popolo Cofán ha vinto la propria battaglia contro una compagnia mineraria che lo scorso anno aveva avviato i lavori nella loro terra senza consultarli.