Giovedì 24 marzo decine di indigeni si sono presentati di fronte alla sede del ministero dell’Energia ecuadoriano, per protestare contro il gas flaring nella foresta amazzonica.
Il gas flaring è una pratica che prevede di bruciare il gas naturale estratto insieme agli idrocarburi.
Il più alto grado di giudizio dell’Ecuador ha già vietato il gas flaring nella foresta amazzonica, ma tale misura deve essere ancora applicata.
Cenaida Alvarado è la leader della comunità indigena di Sinchi Urko che vive a Sucumbios, una provincia dell’Ecuador che si trova nel bacino dell’Amazzonia e ha un’economia strettamente dipendente dalla produzione petrolifera. Giovedì 24 marzo, insieme ad altre decine di persone, Alvarado era di fronte alla sede del ministero dell’Energia, nella capitale Quito. Protestava perché l’acqua è contaminata, così come le piante e gli animali di cui la sua comunità si nutre. Ed è tutta colpa del gas flaring, una pratica nociva che è stata già vietata, invano.
Cos’è il gas flaring
Durante l’estrazione e la produzione di idrocarburi si genera anche una certa quantità di gas naturale. Soprattutto nei paesi in via di sviluppo, costruire le infrastrutture necessarie per trasportarlo e utilizzarlo come fonte di energia è ritenuta una strada troppo costosa o complicata a livello legale. Così, questo gas viene bruciato. La pratica, detta gas flaring (letteralmente, “combustione di gas”), ha enormi conseguenza a livello climatico e ambientale, perché emette gas serra in atmosfera, inquina il suolo e le falde acquifere e favorisce le piogge acide. La Banca mondiale fa sapere che nel 2020 sono stati dati alle fiamme 142 miliardi di metri cubi di gas, il 5 per cento in meno rispetto all’anno precedente. Un calo che senza dubbio è positivo, ma è meno che proporzionale rispetto a quello della produzione di petrolio (pari all’8 per cento).
This wasteful practice is a popular but highly controversial method of burning natural gas from #oil wells as a means to eliminate unwanted gas. It leaves damaging consequences on the Amazon, Indigenous pples & our #climate! pic.twitter.com/u1Q5HcCqO1
Stando a quanto riportato dalla ong Amazon frontlines, nella foresta amazzonica ecuadoriana ci sono 447 siti in cui viene praticato il gas flaring. Se ne contano 79 attivi addirittura all’interno della riserva della biosfera Unesco di Yasuní, l’area che ospita la più ricca biodiversità in tutto il Pianeta. Bruciano per 24 ore al giorno a una temperatura media di 400 gradi centigradi, talvolta a pochi passi dalle case abitate.
Per questo, a febbraio 2020 un gruppo di bambini e ragazzi ha fatto causa a Petroamazonas, società petrolifera controllata dallo stato, e ai ministeri dell’Ambiente e dell’Energia, chiedendo di porre fine al gas flaring nei loro villaggi. La loro battaglia legale è andata avanti fino al più alto grado di giudizio e si è conclusa nel 2021 con una vittoria. La corte ha infatti disposto lo spegnimento delle fiamme del gas flaring nelle zone residenziali delle province di Orellana e Sucumbios nell’arco di 18 mesi. Nelle aree rurali, invece, la pratica potrà continuare fino al 2030.
Ad oggi, però, il gas continua a bruciare, avvelenando il territorio e chi lo abita. E gli indigeni non hanno nessuna intenzione di stare a guardare, come hanno dimostrato presentandosi di fronte alla sede ministeriale. In risposta, il colosso petrolifero statale ha fatto sapere di essersi messo all’opera per catturare il gas naturale rilasciato dai suoi 355 siti di gas flaring.
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