Gli ecuadoriani hanno detto di no al petrolio. Cosa farà il governo?
Con un referendum l’Ecuador ha detto di no al petrolio nell’Amazzonia. Ma il ministro dell’Energia ha dichiarato di non voler considerare il risultato. Con il ballottaggio di ottobre, cosa dovremo aspettarci?
Strade semideserte, un divieto di consumo di alcolici per tre giorni, e un dispiegamento di circa 100mila uomini delle forze di polizia chiamati a garantire la sicurezza dei cittadini dopo l’escalation di violenza che, il 9 agosto, è culminata nell’omicidio del candidato alla presidenza Fernando Villavicencio. È questo il clima con cui il 20 agosto il popolo ecuadoriano si è recato alle urne con una grandissima responsabilità: eleggere il nuovo presidente e votare per il futuro del Parco nazionale Yasuní, uno dei luoghi più ricchi di biodiversità al mondo.
¡Hoy hicimos historia!
Esta consulta, nacida desde la ciudadanía, demuestra el mayor consenso nacional en Ecuador. Es la primera vez que un país decide defender la vida y dejar el petróleo bajo tierra.
Si va al ballottaggio: cosa aspettarsi dalla chiamata alle urne di ottobre
Se il referendum popolare su Yasuní ha registrato una netta vittoria a favore dell’ambiente – con il 59 per cento dei votanti sicuri di non voler vedere collassare sotto il peso delle trivelle quello che è uno dei luoghi più biodiversi al mondo – lo stesso non si può dire delle presidenziali che vedranno due candidati scontrarsi al ballottaggio del 15 ottobre: Luisa Gonzales, del partito di sinistra Revolución Ciudadana, e Daniel Noboa, dell’alleanza Acción democrática nacional.
“I risultati presentati dal Consiglio nazionale elettorale (Cne), che danno a González il 33,1 per cento delle preferenze e a Daniel Noboa il 23,66 per cento, illustrano uno scenario parzialmente atteso”, commenta Maria José Hernandez, della Camera industriale e produttiva di Quito, appassionata di politica e profonda conoscitrice del tessuto socio-economico del paese.
“Il cosiddetto correismo – corrente politica afferente all’ex presidente Rafael Correa, in carica dal 2006 al 2017 e attualmente condannato a otto anni di carcere per corruzione, in contumacia – ha storicamente sempre mantenuto una percentuale pari a circa il 33 per cento dei voti durante tutta la sua traiettoria istituzionale. Ora bisogna vedere chi saprà guadagnarsi la fiducia del popolo e, vista la situazione in cui versa il Paese, è chiaro come i temi caldi su cui gli sfidanti si giocheranno la vittoria ad ottobre, saranno questioni essenziali come la sicurezza, e il settore produttivo e finanziario dell’Ecuador”.
E, in effetti, in un momento in cui le bande locali di strada, insieme ai cartelli della droga colombiani e messicani, hanno scatenato un’ondata di violenza mai vista nella storia recente del Paese, portando il tasso di omicidi a livelli record – si parla di un +500 per cento tra il 2016 e il 2022 – a vincere sarà molto probabilmente il candidato che saprà guadagnarsi la fiducia di un popolo tristemente abituato alla corruzione e ai brogli elettorali.
Lo sa bene Carlos, proprietario di uno studio grafico nel centro della Capitale: “Ogni qual volta penso al diritto di voto, che qui in Ecuador è un vero e proprio obbligo pena il pagamento di una multa piuttosto salata e della sospensione della possibilità di accedere ad alcuni servizi pubblici, mi chiedo come faccio a crederci ancora dopo che, alle ultime elezioni, sono riusciti addirittura a far saltare la corrente nei seggi elettorali in fase di scrutinio”.
Uno scenario che sa di fantascienza ma che, purtroppo, qui come in molte altre parti del mondo è una realtà ben nota. Quest’anno, ad esempio, il sistema di voto elettronico utilizzato dagli ecuadoriani residenti all’estero è stato preso di mira da diversi attacchi informatici provenienti da Cina, India e Bangladesh, così come il sito web ufficiale del Consiglio nazionale elettorale è apparso inattivo per tutta la domenica. Incidenti che, fortunatamente, sembra non abbiano comunque messo a rischio il corretto conteggio dei voti.
I veri protagonisti della sfida sono ambiente e sviluppo
Sul banco di prova dei candidati, e del futuro Governo, vi è chiaramente anche la questione ambientale che va al di là del referendum sull’estrazione di petrolio in Amazzonia e le concessioni minerarie nella regione andina del Chocò, e si intreccia indissolubilmente al modello di sviluppo che il paese seguirà nei prossimi anni.
“Sicuramente – continua Hernandez – il risultato del referendum popolare è un segno dell’importanza della protezione e della conservazione dell’ambiente per le nuove generazioni (ricordiamo che la percentuale di giovani elettori in Ecuador è di circa il 40 per cento). Dimostra, inoltre, che gli ecuadoriani intendono il progresso e lo sviluppo come qualcosa che va oltre le infrastrutture e l’accumulo di denaro. Ora dobbiamo solo augurarci che la decisione venga rispettata dal Presidente che verrà eletto a ottobre e che non si ripeta quanto accaduto durante il mandato presidenziale di Rafael Correa, dando inizio così alla tanto auspicata trasformazione della matrice produttiva del paese”.
Nel 2013, infatti, l’allora presidente Correa, disattendendo le richieste popolari e ignorando completamente la raccolta di ben 700mila firme, aveva iniziato le esplorazioni e l’estrazione di petrolio nel blocco 43 dove ci sono attualmente ancora 230 pozzi in funzione. Un’attitudine che, secondo Wilmer Lucitante, appartenente alla popolazione indigena dei Cofan, sarebbe tipica del pensiero politico vicino a Correa a cui afferisce la candidata Luisa Gonzales. “Nonostante l’indubbio sforzo di migliorare tutti i settori sociali, il correismo ha ignorato totalmente la possibilità di consultare il popolo prima di intraprendere scelte strategiche per il paese. La destra a cui appartiene Noboa, d’altro canto, si pone in linea di continuità con il governo di Guillermo Lasso – che ha sciolto le camere il 17 maggio scorso e che rimarrà in carica fino al ballottaggio – incentrato sugli interessi corporativi che hanno portato il Paese alla rovina”.
Temi fondamentali soprattutto per le popolazioni indigene
Con una popolazione stimata che oscilla tra le 1.500 e le 2.100 persone suddivise tra Colombia ed Ecuador, dove vivono nella regione di Sucumbios – nel nordest del paese – i Cofán lottano da anni fianco a fianco con altre popolazioni indigene, per far valere il loro diritto ad un ambiente sano e perché non si ripeta più quanto accaduto con la Chevron-Texaco, compagnia accusata di aver sversato più di 56 mila milioni di sostanze tossiche in natura e di non aver mai messo in sicurezza le circa 800 piscine di petrolio ancora aperte nell’Amazzonia ecuadoriana settentrionale.
Ecco perché, per Lucitante, qualunque dei due governi arrivi è un rischio: “le loro politiche non sono in accordo con la cosmovisione della nazione Kofan, e con il nostro approccio nei confronti dell’ambiente e delle culture indigene. Noi siamo i veri difensori della natura e per le nostre comunità non c’è altra strada che continuare a resistere e a lottare contro l’intervento dei governi al potere e il sistema neoliberale”.
Opinione condivisa da Abdón Yumbo, presidente della Comunità Milenio Cofán, a pochi chilometri da Lago Agrio, teatro del caso Chevron-Texaco arrivato al suo trentesimo anno in tribunale. “Tutti i Governi continuano a pensare ai fondi che possono derivare dall’estrazione del petrolio dimostrando di non aver ancora capito quanto l’ambiente sia di vitale importanza per le popolazioni indigene, per la nostra sopravvivenza e quella delle nostre tradizioni”.
Nessun segno di speranza nei confronti della politica nemmeno da parte di Andres Tapía, coordinatore della comunicazione di Confeniae, la Confederazione delle nazionalità indigene dell’Amazzonia ecuadoriana, secondo cui, ad esempio, “Luisa Gonzales, così come i membri del suo partito, hanno sempre avuto un atteggiamento molto tiepido nei confronti della consultazione sullo Yasuní, il che ci fa capire che non possiamo aspettarci molti progressi in materia ambientale, e che la tensione con le popolazioni indigene rimarrà costante a meno che non si inizino a correggere gli errori del passato”.
“Tuttavia – continua Tapía – va sottolineato come la schiacciante vittoria del sì al referendum popolare sia un segno che per l’Ecuador l’ambiente è qualcosa da proteggere. I cittadini hanno dimostrato al mondo che la volontà popolare può prevalere sulle agende politiche e sulle campagne milionarie del governo, dei media suoi alleati e dei settori che promuovono l’estrattivismo. Quello dell’Ecuador è un voto pieno di dignità che ci riempie di orgoglio”.
“La preferenza degli ecuadoriani, come dimostrato anche dai risultati del referendum, andrà a chi saprà proporre delle alternative a beneficio della società e dell’ambiente. Parlo del tema energetico, ma non solo. Dobbiamo avviare un nuovo paradigma”, spiega Donald Moncayo, coordinatore generale dell’Unione delle persone colpite dalle operazioni petrolifere della Texaco (Udapt – Unión de afectados y afectadas por las operaciones petroleras de Texaco).
Cosa farà il governo
All’indomani della prima tornata elettorale, l’Ecuador si presenta dunque come un paese profondamente diviso, scosso e pieno di sfiducia ma abitato da un popolo altrettanto fiero e desideroso di rialzarsi. Stretto nella morsa del narcotraffico dilagante, da un lato, e degli interessi delle grandi compagnie petrolifere dall’altro, il piccolo paese sudamericano ha davanti a sé la possibilità di cambiare quello che, per molti, potrebbe sembrare un futuro già scritto.
Resta da capire se ad accompagnarlo sarà il giovane candidato rampollo di una delle famiglie più ricche del paese, che nonostante l’istruzione ricevuta tra le aule delle grandi università statunitensi dovrà dimostrare di conoscere davvero il suo popolo, o l’avvocatessa dal pesante fardello politico che, dalla sua parte, ha però una lunga tradizione di riforme sociali di cui l’Ecuador ha ancora indubbiamente bisogno.
Una sfida ancora tutta da giocare visto che, a soli quattro giorni dai risultati del referendum popolare, il ministro dell’Energia Fernando Santos (del governo in carica del presidente Lasso) ha dichiarato di non voler attualmente prendere in considerazione i risultati del referendum. Pertanto, le operazioni di estrazione, almeno per il momento, continueranno.
Nos pronunciamos ante las desafortunadas declaraciones del ministro de @RecNaturalesEC, sobre un posible desacato del mayor consenso nacional. pic.twitter.com/nIlIF1qYVN
E se c’è qualcosa che ho imparato in questi mesi in Sud America, è che niente, qui, può essere dato per scontato. E questo vale sia per la vita che per la politica.
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