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Edizioni SUI, la casa editrice fondata da italiani di seconda generazione che sfida i pregiudizi
Brhan Tesfay è un italiano di origine eritrea che nel 2012 ha deciso di fondare Edizioni SUI, una casa editrice con una mission ben precisa: pubblicare libri, dando spazio ad una “narrazione senza patria”. Il 2 marzo scorso a Bologna lo abbiamo incontrato, ospite presso la libreria caffè La confraternita dell’uva nell’ambito della rassegna IntegrArti: integrazione, letteratura e produzioni
Brhan Tesfay è un italiano di origine eritrea che nel 2012 ha deciso di fondare Edizioni SUI, una casa editrice con una mission ben precisa: pubblicare libri, dando spazio ad una “narrazione senza patria”.
Il 2 marzo scorso a Bologna lo abbiamo incontrato, ospite presso la libreria caffè La confraternita dell’uva nell’ambito della rassegna IntegrArti: integrazione, letteratura e produzioni artistiche generate dai movimenti migratori Africa-Italia, promossa dalla ong Amani che da più di venti anni opera con i ragazzi di strada in Africa.
Chi è Brhan Tesfay
Tesfay vive a Prato, ha poco più di quaranta anni e ha all’attivo nove libri come scrittore (l’ultimo, in ordine di tempo dal titolo “Il candidato”, è in uscita il prossimo autunno) e circa venticinque volumi come editore. È arrivato in Italia negli anni Ottanta dopo aver passato poco meno di dieci anni nel suo Paese di origine, l’Eritrea. Una volta in Italia, ha potuto conoscere sua madre, Wezenet Zerazione, che lo aveva lasciato in Eritrea con la nonna quando aveva poco più di tre anni.
Ma il ricongiungimento in un Paese, fino a quel momento sconosciuto, come l’Italia non ha rappresentato solo un’esperienza positiva nella vita di Brhan Tesfay, ma anche un momento estremamente delicato: “In Italia ho scoperto per la prima volta di essere nero, di essere eritreo e, qualche anno dopo, di essere anche un immigrato. Per un ragazzino tutte queste cose insieme sono decisamente troppe: un trauma che ho potuto gestire solo grazie all’amore sia di mia madre che di Dio e di alcune preziose persone che ho incontrato durante il mio percorso di vita”.
Le difficoltà come scrittore in Italia
Tesfay sente ben presto la necessità di mettere nero su bianco quelle sensazioni, così inizia a scrivere libri. “Credo che la necessità di scrivere derivi proprio da questo passaggio da un Paese ad un altro, da una lingua ad un’altra, da una popolazione ad un’altra, ma soprattutto il passaggio dall’essere una persona normale all’essere diverso: tutto questo ha comportato una frattura tra me e la realtà esterna e ho dovuto farmi forza della mia fantasia per rimediare a questa frattura. Ho iniziato a scrivere perché non mi trovavo bene con il mondo che mi circondava, ma successivamente la scrittura è diventa anche una necessità per comprendere e, in qualche modo, proiettare un sguardo nuovo non solo in me stesso, ma anche negli altri”.
Ovviamente in questa fase Tesfay ha incontrato non pochi ostacoli: “Le difficoltà come scrittore sono quelle che hanno avuto tutti quelli che scrivono e cercano un editore, con una piccola distinzione: spesso l’arte viene in qualche misura veicolata attraverso stereotipi. In Italia, con la mia faccia e il mio cognome, non rientravo nello stereotipo dello scrittore e per questo ho dovuto faticare un po’ più degli altri”.
Tesfay e la casa editrice SUI
Forse è anche a causa di queste premesse che nel 2012 Tesfay decide di fondare a Prato una sua propria casa editrice – la casa editrice SUI (Sviluppi Umani Immaginati) – per nulla scoraggiato dal difficile momento dell’editoria: “Ogni crisi, oltre a essere un periodo di forte tensione sociale e di difficoltà generale, deve essere anche un momento di rigenerazione, di apertura verso idee e realtà nuove. È proprio in questi momenti che la società dovrebbe dare spazio a individui e tematiche che fino a quel momento ne erano stati esclusi, non sulla base delle loro capacità. Che cosa vuol dire oggi credere nell’editoria, seguendo le trasformazioni che sono in atto? Significa vivere la poesia, questo significa”.
Ma la scrittura non è solo poesia: per Tesfay la scrittura è fatta per il venti percento di intuizione e per l’ottanta percento di duro lavoro: “Nella quotidianità devi lavorare duro, senza sosta perché il sistema esistente non prevede come dato ovvio un afro-italiano che fa lo scrittore e, ancora meno, che fa l’editore”.
La narrazione senza patria di Edizioni SUI
Dopo cinque anni dalla fondazione di Edizioni SUI, quando si trova alle presentazione dei libri editi dalla sua casa editrice, Brhan Tesfay sente ancora gli sguardi increduli delle persone che lo scoprono editore. Certo, nella nostra società non è ancora una cosa ovvia che un “immigrato come lui” sia editore, magari di uno scrittore italiano. Tesfay spiega: “Sono più di venti anni che lavoro per dare voce ai miei personaggi non ovvi, e nel 2012, dopo due anni di studio, mi sono convinto che era necessario creare uno spazio dove potevano trovare casa quei personaggi non ovvi scritti anche da altri autori, uno spazio d’incontro”
Edizioni SUI non pubblica autori africani, anzi, la nazionalità per Tesfay conta ben poco: gli autori editi da SUI sono scrittori italiani autoctoni, italiani di origine straniera, stranieri e, ancora, italiani emigrati all’estero. “Insieme al mio socio, come editori,”, continua Tesfay, “Ci siamo dati una precisa missione: dare spazio alla narrazione senza patria. Che cosa significa realizzare questo in Italia? In questo periodo storico, tutto sembra essere in movimento, ma, soprattutto nel nostro Paese, le rappresentazioni di esso non lo sono: sono statiche, tendono a ripetere il medesimo rapporto interpersonale, sociale. Per questo, come autore e editore sento la volontà di rappresentare e raccontare il movimento della società”.
Quello che, durante la nostra conversazione, Tesfay tende a sottolineare più volte è come nella nostra società, la maggior parte degli immigrati siano relegati a coprire ruoli marginali e come gli stessi artisti di origine straniera siano destinati a veicolare esclusivamente narrazioni su tematiche migranti, perdendo di vista la reale forza dell’artista, che è quella di raccontare il cambiamento in generale, fornendo nuove rappresentazioni.
Il movimento “Italiani senza cittadinanza” promosso da italiani di seconda generazione
A proposito della manifestazione del movimento “Italiani senza cittadinanza” che si è svolta il 28 febbraio scorso a Roma per chiedere a governo e parlamento di sbloccare la legge sulla cittadinanza, in pratica ferma dal 1992, Tesfay non ha dubbi: “Ho poche certezza nella vita ma posso affermare che il nostro sguardo nei confronti degli italiani figli di immigrati sia completamente sbagliato. Anche per questa ragione ho scritto il libro Specchi sbagliati. La richiesta di essere riconosciuti per quello che si è mi sembra una richiesta legittima, ma così non è perché abbiamo costruito l’ideologia dell’immigrazione. La difficoltà sta quando l’immigrazione viene trasformata in una divinità per lo meno non amichevole, e sul divino c’è poco da ragionare. Ma noi ci proviamo lo stesso, quindi diciamo: a meno che non si consideri ‘il ventre di una madre uno stato’, quei ragazzi sono a tutti gli effetti italiani. Non immigrati di seconda generazione, ma cittadini italiani”.
Per molti versi si può dire che la vera sfida per il nostro Paese sia quella che riguarda il nostro modello culturale, più che il nostro sistema economico e sociale: sicuramente la strada da percorrere per cancellare antichi e nuovi stereotipi su immigrati e stranieri è ancora molto lunga, ma la perseveranza e la voglia di ridurre le distanze culturali di molte altre persone, così come Brhan Tesfay, può fare in modo che l’integrazione venga percepita sempre di più come un arricchimento, piuttosto che come una minaccia.
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